Mancano due settimane all’inizio dei lavori del nuovo Parlamento, con una Coalizione che ha la maggioranza alla Camera e spazi di manovra molto più complessi, come più volte ribadito, al Senato.
Da quando le urne hanno confermato l’incredibile vittoria della Coalizione, il tema più ricorrente, una sorta di prima, decisiva, prova d’esame per la coppia Morrison - Frydenberg, è quello delle riforme economiche.
Al Paese infatti non è bastato, non possono bastare, i numeri del budget presentato dal ministro del Tesoro in aprile. Intanto perché chi ha prodotto e reso noti quei numeri, quelle proposte economiche, in quel momento pensava di avere poche o nulle speranze di restare in sella.
Un surplus e proiezioni economiche, immaginiamo sperasse Frydenberg, contro i quali si sarebbero scontrate le riforme economiche dei laburisti, una volta arrivati al governo.
La conclusione delle elezioni è ormai storia. E invece che su Shorten e il confusionario programma di riforme sconfitti alle urne, tutti i riflettori sono adesso puntati sul rappresentante del seggio di Koyoong e sul primo ministro.
Da aprile a oggi, fanno rilevare molti osservatori, la situazione economica generale del Paese è andata deteriorandosi in molti degli indicatori.
Nel momento in cui è stato presentato quel bilancio, ad esempio, gli ultimi dati sul mercato del lavoro parlavano della disoccupazione al 4,9% - il minimo in otto anni - e il livello tendenziale di disoccupazione era stabile al 5% per tre mesi. Ora il tasso destagionalizzato arriva al 5,2% e il tasso tendenziale è aumentato per quattro mesi consecutivi.
Aumentato anche il tasso degli adulti in età 35-54 disoccupati o sotto utilizzati, dal 9.7% di gennaio 2019 oggi siamo al 10.5%.
E, come fa notare Greg Jericho dalle colonne del Guardian, “quando c’è sotto utilizzazione che cresce, la crescita dei salari rallenta”. Insomma, continua Jericho, “in breve, le cose sono cambiate e cambiate per il peggio”.
Il Paese ha bisogno di riforme e questo è decisamente lapalissiano, visti i numeri e la situazione in corso. Ciò che attendiamo di verificare è se Scott Morrison sia consapevole dell’importanza di attuare scelte politiche in chiave di riforme strutturali su temi cardini per l’incremento della produttività e, quindi, del tenore di vita degli australiani. L’attuale trend, soprattutto in termini di crescita salariale, lascia supporre che, se non si farà nulla per cambiarlo, le nuove generazioni non potranno godere di un tenore di vita migliore rispetto a quello dei propri genitori.
Qualche indicazione sulla consapevolezza e sulla direzione che il governo Morrison sembrerebbe voler prendere nelle parole di Josh Frydenberg nel corso di un’intervista con Fran Kelly su ABC Radio, quando ha parlato di “fondamentali dell’economia australiana molto solidi” e, alla replica della giornalista sui più recenti segnali di rallentamento, il ministro del Tesoro ha ammesso che vi siano sfide importanti da affrontare e ha ribadito la linea del taglio delle tasse per agevolare la crescita dei salari che, ha precisato Frydenberg, “sono comunque cresciuti sopra il tasso di inflazione”. Inoltre, ha sottolineato il tesoriere del governo Morrison, “stiamo mettendo in campo una strategia pro-crescita, iniziative per supportare la produttività economica, con una proposta di spesa sulle infrastrutture di cento miliardi di dollari, con ottantamila nuovi apprendistati e con un piano di riduzione fiscale che metterà fino a 1.080 dollari nelle tasche degli Australiani che guadagnano fino a 126mila dollari”.
Il mantra della produttività, la parola d’ordine per dare una speranza a un’economia che rallenta, è stata al centro di una interessante intervista rilasciata al quotidiano The Age da parte del capo della Commissione Produttività, Michael Brennan che da settembre è ai vertici dell’ente, le cui raccomandazioni e la cui agenda segnano una sorta di percorso entro cui muoversi per garantire agli australiani di continuare a vivere in una condizione di benessere diffuso come hanno fatto finora.
“La produttività riguarda l’efficienza con la quale noi usiamo lavoro e capitale per creare ricchezza nell’economia - ha precisato Brennan -. E facendolo al meglio possiamo avere maggiore ricchezza pro-capite e redditi più alti.
“Non abbiamo una lista di riforme nei cassetti, ma se la avessimo - ha confermato Brennan - ai primi posti delle nostre priorità ci sarebbe la formazione e la sanità”.
Il sistema della formazione è disgregato e frastagliato e, secondo il capo della Commissione Produttività, ci sarebbe bisogno di maggiori controlli per garantirne qualità ed efficienza. Così come sul fronte della sanità, “una delle più grandi industrie del Paese, dove c’è spazio per attivare riforme che riescano a garantire un sistema sanitario integrato concentrato sulle necessità del paziente”.
Michael Brennan inoltre è tra quelli che spingono per l’abolizione delle imposte di bollo sulle transazioni immobiliari, da sostituire con una tassa fondiaria di più ampia portata.
Anche le accise sui carburanti dovrebbero essere abolite e sostituite, secondo Brennan, da un sistema più articolato di tassazione degli utenti della strada, ivi comprese le ipotesi di tasse per decongestionare il traffico, come quelle già utilizzate in molte città europee per chiunque entri in particolare aree della città in determinati orari della giornata.
Le indicazioni di Michael Brennan e della Commissione sono soltanto alcune delle valutazioni che, a nostro parere, dovrebbero essere prese nel prossimo futuro dai vertici della Coalizione, senza dimenticare che, se i numeri presentati ad aprile saranno confermati, anche su singoli dettagli come, ad esempio, il costo delle materie prime in aumento, il governo si troverà, con una bella spinta grazie alle entrate fiscali, a raggiungere la tanto sbandierata eccedenza di bilancio.
A quel punto, allora, si vedrà se Frydenberg avrà la capacità e la stoffa del grande statista e, utilizzando quel surplus, riuscirà a stimolare la ripresa economica così come ha promesso di fare.