Sanità, tasse, energia e Pauline Hanson, non necessariamente in quest’ordine, protagonisti a Longman per le prove generali delle federali del prossimo anno. Nel seggio del Queensland, più che in quello della Tasmania di Braddon e sicuramente più che a Mayo nel South Australia, ci sarà battaglia vera e un’indicazione piuttosto chiara su quello che funziona e non funziona, in termini elettorali, per progettare la campagna del 2019. Ininfluenti e dall’esito scontato le altre due suppletive in programma il 28 luglio a Fremantle e Perth.
Politicamente ininfluenti perché i laburisti non hanno praticamente avversari dato che i liberali hanno scelto di non partecipare per non spendere inutilmente, a loro dire, centinaia di migliaia di dollari da investire quando ci sarà la gara che conta. Una scelta di comodo, senz’altro sbagliata nei confronti delle decine di migliaia di australiani che hanno votato per loro nelle ultime elezioni nei seggi in questione e di chi fa politica nelle loro file in tutti i collegi dove le possibilità di affermazione sono minime o addirittura inesistenti.
Longman banco di prova perché il seggio è un misto tra l’urbano e il rurale, con i suoi confini praticamente in periferia di Brisbane, ma con caratteristiche ed esigenze tipiche delle zone extraurbane del Queensland, dove fanno particolarmente presa le semplificazioni politiche e la comunicazione senza fronzoli di One Nation (altro servizio a pag.13).
Un collegio creato solo nel 1994 che ha cambiato colore politico ad ogni elezione: dal 1996 al 2007 ha avuto come rappresentante il liberale Mal Brough, quindi il laburista Jon Sullivan, poi il più giovane parlamentare di sempre, Wyatt Roy (LNP), per ritornare nel 2016 all’Alp con Susan Lamb, costretta al ritorno anticipato alle urne per la sua doppia cittadinanza. Nessuna continuità e molto malcontento nei confronti di Canberra. Lamb e l’alternativa presentata dalla Coalizione, Trevor Ruthenberg, non hanno un particolare seguito personale, secondo i sondaggi, a Longman e, in modo particolare nel centro più popolato del collegio, la cittadina di Caboolture dove crescono le lamentele per la campagna, già sperimentata nel 2016, via sms e chiamate ‘robotizzate’ a tutte le ore dei maggiori partiti. Messaggi preregistrati di slogan, promesse e, soprattutto, paure trasmesse utilizzando con mezze verità perfettamente confezionate per creare dubbi e sospetti. I laburisti dopo il successo elettorale della campagna-frode, soprannominata del ‘‘Mediscare’, sulla graduale privatizzazione del sistema sanitario e tagli dei servizi per le fasce più deboli della popolazione, ci riprovano insistendo nel fertilissimo campo della sanità. A Longman si punta su presunti tagli di finanziamenti per l’ospedale di Caboolture ricorrendo, per dare un minimo di credibilità allo spauracchio, ad un creativo calcolo delle spese in preventivo nei prossimi anni nel settore, diviso per ogni singolo ospedale del Paese fino ad arrivare ad un taglio di 2,9 milioni di dollari per l’ospedale in questione.
I liberal-nazionali non sono da meno e, cercando di sfruttare al meglio la tattica laburista anti-riduzioni fiscali per le imprese, si rivolgono soprattutto alle numerose piccole attività commerciali del collegio dando grande enfasi al ‘pericolo Shorten’. ‘Con i laburisti pagherete più tasse’ è lo slogan scelto per seminare un po’ di paura in una battaglia dove entra in gioco, in anteprima, anche la questione energetica, con i suoi costi, il suo futuro pieno di incognite come quello delle centrali a carbone che i nazionali si sono impegnati a difendere cercando di non compromettere, allo stesso tempo, i negoziati con gli Stati avviati dal ministro dell’Energia Josh Frydenberg per l’approvazione del progetto NEG (National Energy Guarantee). A dare una mano in questo campo ai laburisti proprio la conferenza statale dei liberal-nazionali, tenutasi sabato a Brisbane, nel corso della quale è rispuntata per un attimo anche l’opzione del nucleare. Nessun governo australiano si sogna minimamente di riprendere un discorso che ha avuto vita brevissima nel 2006, quando un apposito studio sul futuro dell’energia, commissionato dal governo Howard, aveva inserito anche l’ipotesi del nucleare, con la possibilità di costruire una ventina di centrali e, guarda caso, una proprio a Bribie Island nel collegio di Longman. Nessuno ne ha più riparlato, ma è bastata la parola ‘nucleare’ per scatenare le fantasie di qualche stratega laburista. Tutto può aiutare la causa.
In questo show pre-elettorale non poteva di certo mancare Pauline Hanson che a Longman e dintorni gioca in casa: il Queensland è il suo territorio. Da parte sua e del candidato scelto da One Nation, Matthew Stephen, nessuna chiamata robotizzata, nessuna particolare promessa se non l’invito di ‘mandare un messaggio di insoddisfazione a Canberra’, sia ai liberali che ai laburisti. Votare insomma per Stephen e i candidati indipendenti prima di arrivare ai ‘soliti noti’. Nel 2016 i voti preferenziali di One Nation hanno permesso a Susan Lamb di strappare il seggio a Roy, ma questa volta non sarà così. Niente accordi con l’Alp, tanto che Shorten è già passato al contrattacco dicendo: “Un voto per One Nation è un voto per l’LNP”.
Nessun preciso accordo neanche con i liberali che però preferiscono non sbilanciarsi in merito, perché si rendono perfettamente conto che l’insoddisfazione c’è nei confronti dei maggiori partiti e che con Hanson è comunque difficile raggiungere un’intesa che possa resistere inalterata per due o tre settimane.
Strappare Longman all’opposizione non significherebbe molto per gli equilibri parlamentari, ma sarebbe una vittoria importante per il morale della Coalizione in un momento in cui si registra qualche timido segnale di risalita. Sicuramente un test che servirà un po’ a tutti a capire meglio cosa va e non va nella loro tattica elettorale, quanti sono i delusi, quanto conta la semplificazione, se i programmi finora annunciati, soprattutto in campo fiscale (che la scorsa settimana si sono arricchiti del capitolo GST), sono stati compresi e ritenuti concreti e praticabili.
E’ da tempo che non ci sono differenze così marcate tra liberali e laburisti per ciò che riguarda riforme e ‘stimoli’ per sostenere la crescita e l’occupazione: Shorten sta cercando in tutti i modi di evidenziare le ‘distanze’, facendo un po’ il Trump (‘prima gli australiani’ e qualche tentazione protezionistica) e un po’ il Corbyn (scelte di campo a favore di chi è rimasto indietro, impegno via tasse di ridurre le disuguaglianze); Turnbull assicura di avere la ricetta giusta ed è convinto che lo sta già dimostrando agli australiani con un programma che guarda al futuro senza fare la guerra a nessuno, soprattutto a chi produce e genera impiego.
A Longman un primo e importante verdetto, senza sottovalutare ovviamente quello che comunicheranno a Canberra gli elettori di Braddon dove però manca la componente One Nation.