“Il partito laburista non è riuscito a rendere credibile la propria offerta di politica economica agli occhi degli elettori delle aree provinciali e dei sobborghi delle metropoli australiane”. Questo che potrebbe essere il perfetto incipit della relazione di revisione della campagna elettorale resa pubblica qualche giorno fa dal partito guidato da Anthony Albanese (articoli a pagina 11) altro non è invece che un articolo risalente al 2004 firmato da Bill Shorten, ai tempi segretario nazionale dell’Australian Workers Union.
Quindici anni fa il leader sindacale, di cui tutti prevedevano un brillante futuro in politica, commentava così la sconfitta laburista alle elezioni politiche vinte da John Howard, affermando che il partito, guidato ai tempi da Mark Latham (attuale parlamentare statale nel NSW tra le fila di One Nation), avesse avuto “priorità politiche non sbagliate, ma che hanno acquisito un ruolo così rilevante che è diventato un ostacolo alla riconnessione della propria base di lavoratori”.
Il fatto che questa analisi suoni così attuale e che ad averla sviluppata sia stato colui a cui oggi, soprattutto dopo la pubblicazione della revisione Weatherill - Emerson, si imputano esattamente gli stessi errori, è indicativo. Intanto, banalmente, l’analisi ex post di un avvenimento articolato come una tornata elettorale in un Paese dalla demografia così complessa come l’Australia, è sempre, almeno nelle conclusioni, più semplice ed esaustiva rispetto a quanto avviene nel corso dei frenetici momenti della campagna elettorale.
E queste conclusioni spesso sono raccomandazioni già lette ed ascoltate anni prima, che appaiono piuttosto esercizi di analisi autoreferenziale di problematiche interne al partito, evidentemente mai risolte.
È anche questa la riflessione che viene alla mente leggendo il rapporto redatto dall’ex premier del South Australia Jay Weatherill e dall’ex ministro federale Craig Emerson, al quale si può riconoscere un valore in termini di trasparenza e analisi politica, la qual cosa non guasta mai soprattutto in un momento in cui la fiducia e la partecipazione dei cittadini rispetto alla vita istituzionale è forse ai suoi minimi storici.
Cosa produrrà però in termini concreti questa analisi, con le sue sessanta evidenze e le ventisei raccomandazioni, ovviamente lo si vedrà soprattutto fra tre anni, alle prossime elezioni federali del 2022.
Ed è proprio a quella data che ha fatto riferimento Anthony Albanese ai microfoni di Insiders ieri mattina: “Avendo una piattaforma chiara e un’agenda politica, che non sia ingombrante alle prossime elezioni, possiamo riunire le nostre forze che faranno dei laburisti ciò che credo debbano essere, ovvero il naturale partito di governo per questo Paese”.
Il leader laburista non ha voluto svelare singole proposte politiche come riflesso delle raccomandazioni del rapporto di revisione, o dichiarare superate quelle proposte ritenute tra i maggiori problemi che hanno condotto alla sconfitta dello scorso maggio: “Voglio che il partito delinei le nostre proposte politiche in maniera strategica e ordinata, gradualmente, prima delle prossime elezioni. C’è ancora molto tempo e dovremmo avere imparato, dalla precedente sconfitta, che le elezioni non si decidono due anni prima. Abbiamo avuto sondaggi elettorali nei due anni precedenti che ci davano sempre in vantaggio, tranne quando lo saremmo dovuto essere, ovvero il 18 maggio 2019. Il mio compito non è di essere in vantaggio adesso, ma quando gli elettori si recheranno alle urne nel 2022 o alla fine del 2021. Abbiamo una chiara strategia e la nostra squadra è già al lavoro per questo obiettivo”.
Ma Albanese ha anche ammesso di essere stato tra coloro che, nel corso della precedente campagna elettorale, avevano manifestato alcune preoccupazioni rispetto alla strategia che si stava mettendo in campo: “Non ero a conoscenza che non ci fosse un comitato elettorale che si occupasse della campagna, ma non ero un membro del gruppo dirigente che stava prendendo quelle decisioni”, ha precisato il leader laburista.
E infatti tra le raccomandazioni elencate, la numero nove evidenzia proprio la necessità di stabilire, all’interno del partito, un formale comitato dedicato alla campagna elettorale “che dovrebbe essere organizzato al più presto e includere rappresentanti del Partito e del gruppo dirigente. Dovrebbe inoltre collaborare con i segretari statali del Partito nel formulare la strategia della campagna e incoraggiare la cultura del dialogo”.
A ribadire il percorso avviato, seppur a piccoli e cauti passi, da quando si è insediato, Albanese è tornato sul tema del ‘riposizionamento’ del partito da lui guidato, sempre più necessario per connettere le anime elettorali più progressiste a quelle storicamente più vicine al partito laburista, ovvero la classe operaia. Certo è che su quel fronte il percorso da fare sembra essere ancora molto lungo se è vero che, come scrivono i redattori della revisione al punto 36, nella precedente campagna elettorale: “il partito non ha strutturato una convincente narrazione che parlasse di lavoro e di crescita economica che potesse aumentare la propria missione per ridurre le ineguaglianze”.
E se un partito storicamente di sinistra dimentica di parlare ai lavoratori, allora sì che diventa sempre più difficile, per l’elettore, tracciare la linea di demarcazione rispetto agli altri partiti conservatori, i cui messaggi sembrano, come a maggio, riuscire ad avere maggiore forza di penetrazione su quelle fasce sociali che hanno perso fiducia proprio nel partito da cui ci si attendono le risposte ai proprio immediati bisogni.
Dall’analisi emerge chiaramente che il partito abbia perso l’appoggio della tradizionale base elettorale di riferimento, quella dei lavoratori “a basso reddito. Lavoratori economicamente vulnerabili che hanno perso fiducia nei politici e nelle istituzioni. Non solo - si legge nella revisione - sono alienati dal processo politico, sono troppo impegnati a lavorare e prendersi cura delle proprie famiglie per preoccuparsi di questioni che considerano irrilevanti nella loro vita. Spesso, anzi, provano del risentimento nei confronti di partiti progressisti che danno, si ritiene a proprie spese, attenzione a gruppi minoritari e a ciò che si definisce politica identitaria”.
E fin qui, come analisi, ci siamo. Il passo successivo sarebbe, si spera, quello di non cadere più negli errori già commessi, evitando magari che la formazione laburista sia dominata da temi e persone che rappresentino esclusivamente una elite progressista, una classe intellettuale di media e alta borghesia che, magari, è anche capace di affrontare tematiche particolarmente vicine a una maggioranza di cittadini, working class compresa, ma con quel piglio e quell’approccio che, al netto della retorica dell’inclusività, ottiene esattamente l’effetto opposto.