Appena cinque mesi fa, il ministro dei Servizi finanziari, Kelly O’Dwyer, aveva definito “talkfest” (praticamente tutte parole e niente sostanza) una possibile Commissione reale d’inchiesta sulle banche che l’opposizione stava chiedendo a gran voce.
Alla fine, il 30 novembre dello scorso anno, il primo ministro Malcolm Turnbull aveva ceduto alle pressioni di diversi parlamentari dissidenti in seno alla Coalizione e delle stesse banche, e aveva annunciato la “spiacevole ma necessaria” Commissione d’inchiesta.
Quanto necessaria fosse si è capito ancora di più la settimana scorsa, quando direttori e consulenti di banche e fondi pensionistici sono stati sottoposti a lunghi interrogatori che hanno rivelato la profondità della malamministrazione nel settore dei servizi finanziari (articoli alle pagine 11 e 12). Dalle fatturazioni a clienti morti da tempo della Commonwealth Bank fino alle fatturazioni per servizi mai forniti da parte di AMP, la Commissione reale ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora che il governo aveva provato per mesi a non aprire.
A questo punto, Turnbull e compagnia avrebbero fatto più bella figura ad ammettere il proprio errore di giudizio nel ritardare l’avvio dell’inchiesta e a scusarsi con gli elettori, invece hanno cercato di riversare le colpe sull’opposizione e di dipingere la tempistica come assolutamente voluta. Bill Shorten era ministro dei Servizi finanziari quando lo scandalo del settore bancario scoppiò per la prima volta e non fece nulla, ha accusato O’Dwyer. Il governo ha fatto in modo di ampliare il campo di azione della Commissione, includendo non solo le banche ma anche i fondi pensionistici e le assicurazioni, e ha avuto ragione, viste le cose emerse sull’AMP che hanno fatto rotolare anche la testa del Ceo dell’azienda, Craig Meller, ha detto il ministro del Tesoro Scott Morrison.
Gli ha fatto eco Turnbull che ha sottolineato l’ampio raggio della Commissione reale, “molto più ampio di quello proposto dai nostri avversari”. Il primo ministro è intervenuto dal Regno Unito, dove nel fine settimana ha incontrato il suo omologo britannico Theresa May nella tenuta di campagna di Chequers. I due hanno parlato principalmente di commercio e attacchi informatici, con in mente un possibile accordo di libero scambio tra Australia e Gran Bretagna (Bafta) e la possibilità di un ingresso di Londra nel partenariato trans-pacifico (TPP) dopo la Brexit.
O’Dwyer ha mantenuto la stessa linea di Turnbull e Morrison, dicendo che i laburisti avevano richiesto una commissione con uno scopo molto ristretto, che prendesse in esame solo le banche, contraddicendo quello da lei stessa affermato lo scorso dicembre quando, rispondendo a delle critiche sull’inclusione dei fondi di superannuation, aveva fatto notare che “richieste precedenti di una Commissione reale, da parte sia dei laburisti che dei verdi, avevano anch’esse incluso i fondi pensionistici”.
Tra contraddizioni e tentativi di eludere le domande dei giornalisti, il ministro dei Servizi finanziari si è fatta lo specchio di un governo poco trasparente che ha tentato di evitare una questione urgente fino a quando non è più stato possibile.
“Abbiamo proceduto sobriamente e attentamente” ha insistito ieri O’Dwyer intervistata durante il programma Insiders sulla Abc. Il ministro, che aveva definito “pericolosa” una Commissione reale sulle banche per le ripercussioni negative che avrebbe potuto aver sull’economia, ha difeso l’operato del governo dalle accuse di aver agito in ritardo, dicendo che il governo deve occuparsi non solo di punire i casi di corruzione, ma anche di garantire la stabilità economica del Paese: “Il settore dei servizi finanziari vale il 10% della nostra economia, non è possibile fare queste cose alla svelta senza riflettere” ha continuato, puntando il dito contro quella che ha descritto come un’opposizione disorganizzata che ora cerca di assumersi il merito dell’inchiesta.
Nei mesi scorsi, O’Dwyer aveva anche dichiarato che avviare una Commissione reale “non avrebbe portato alcun beneficio ai consumatori”. Ora si dice convinta che sia stata la cosa giusta da fare, ma continua a essere riluttante ad ammettere gli errori di giudizio commessi in passato e a scusarsi con agli elettori.
Come cantava Sir Elton John, “sorry seems to be the hardest word”. Ma ancora più difficile potrebbe essere non dirla. Sarà impossibile infatti che l’esito della Commissione reale d’inchiesta non avrà alcuna ripercussione, sull’economia australiana, ma anche e soprattutto sulla fiducia degli australiani nei confronti delle istituzioni. Ad esempio, sarà difficile per il governo riuscire a convincere gli elettori che i considerevoli tagli fiscali alle grandi aziende (banche incluse) alla fine beneficeranno i lavoratori. Perché mai la gente dovrebbe credere che delle aziende che hanno costantemente truffato i consumatori useranno i miliardi provenienti dagli sgravi fiscali per alzare gli stipendi e creare più posti di lavoro?
Il ministro O’Dwyer si illude che questi temi, da una parte i tagli alle aziende, dall’altra gli scandali che coinvolgono banche e fondi pensionistici, non siano collegati. Ma l’immagine che il governo dà di sé non funziona a compartimenti stagni e quello che verrà percepito sarà che, tra cittadini e grandi business, questi ultimi hanno più importanza.
Il processo pubblico che sta vedendo i pezzi da novanta dei maggiori gruppi finanziari del Paese messi di fronte alle prove delle loro malefatte è un mezzo incredibilmente potente. Questi gruppi se ne sono resi conto e hanno già fatto mea culpa, il governo ancora no. E potrebbe rischiare di pentirsene.