A volte basta un viaggio per cambiare tutto. Una città, un’opera d’arte vista da vicino e ciò che sembrava impossibile diventa una strada percorribile.

Per l’artista australiana d’origine pakistana Shazia Imran, quel luogo si chiama Firenze. E quel momento ha segnato l’inizio di una nuova vita.

È partita da qui, da questo nodo emotivo e creativo, la serata inaugurale della rassegna ‘My Italian Connections’ all’Istituto Italiano di Cultura di Sydney, una serie di incontri pensati per raccontare come l’Italia abbia lasciato un’impronta profonda nel percorso di artisti australiani.

Ideatore e promotore della rassegna, il console generale d’Italia a Sydney, Gianluca Rubagotti, ha preso la parola per delineare il senso della rassegna: “Promuovere la cultura italiana con una caratterizzazione locale è il nostro obiettivo. Questi eventi sono pensati per l’Australia e mostrano diversi livelli di contaminazione culturale italo-australiana. Iniziamo con una sorta di forma triangolare, perché nella conversazione entra anche un altro Paese: il Pakistan”.

Tra il pubblico Qamar Zaman, console generale del Pakistan per Australia, Nuova Zelanda e Fiji, la cui presenza ha sottolineato la dimensione multiculturale dell’iniziativa.

Micol Tagliapietra, funzionaria del consolato generale d’Italia a Sydney, con la sua sensibilità per l’arte ha condotto la conversazione con Shazia Imran favorendo un dialogo aperto e coinvolgente con il pubblico.

Artista poliedrica, con un passato nel design digitale e una laurea in textile art al prestigioso National College of Arts di Lahore, Imran ha confessato: “A casa mia nessuno pensava che avrei fatto l’artista, mio padre era avvocato, i miei zii giudici, ingegneri. Era più facile immaginarmi in un ufficio che con un pennello in mano”.

Dopo oltre vent’anni di lavoro nel settore del design digitale, tra multinazionali, settore pubblico e aziende private, nel 2015 è arrivato il punto di svolta: il Premio Lorenzo il Magnifico alla Biennale di Firenze: “Tra oltre 10mila candidature ne selezionarono 486. E io non solo fui scelta, ma fui tra i vincitori. È stato il timbro che mi serviva per capire che l’arte poteva davvero essere il mio futuro”.

Ma l’archetipo di quel cambiamento affonda le radici in un viaggio del 2014, quando Imran aveva viaggiato per la prima volta in Italia: da Venezia a Roma, passando per piccoli borghi dell’Umbria e del Lazio come Casperia e Montefalco. “Ogni angolo era un viaggio nel tempo. Camminare per quelle strade era come entrare nei manuali d’arte che avevo studiato all’università. Solo che ora quei dipinti, quelle sculture, erano proprio lì, davanti a me”. Questo legame profondo è percepibile nelle sue opere: stratificazioni di acquarelli, collage, fili cuciti a mano e oro, che uniscono edifici religiosi di varie culture, moschee, chiese, templi, in una narrazione visiva che l’artista stessa definisce di pace, armonia e connessione umana.

Un altro filone centrale della sua ricerca è la serie dedicata ai mandala, simboli universali di spiritualità, che nella sua mano diventano mappe emotive, attraversate da geometrie e colori luminosi: “La mia arte vuole portare luce, gioia e bellezza. L’arte appartiene a tutti”.

Proprietaria di una galleria a The Rocks, afferma di essere la prima artista donna a gestire uno spazio di quelle dimensioni nella zona. Espone in Asia, in Europa, in Medio Oriente, e ogni anno organizza una mostra collettiva Women in Art, con l’obiettivo di sostenere altre artiste emergenti. Nel corso della serata, il pubblico ha potuto ammirare una selezione delle sue opere e ascoltare la storia dietro ognuna: dalle vedute di Firenze e Lahore ai paesaggi astratti ispirati alla terra australiana.

Durante l’evento è stata proiettata anche una breve clip video con l’intervento del professor Quddus Mirza, artista, critico d’arte e docente presso lo stesso ateneo. Mirza ha spiegato che, pur non esistendo corsi specificamente dedicati all’arte italiana, molti dei grandi maestri studiati nel curriculum sono proprio italiani, un riconoscimento implicito dell’influenza profonda esercitata dalla cultura visiva italiana a livello globale.

In chiusura, Shazia Imran ha voluto omaggiare il console Rubagotti con un quadro raffigurante la Sydney Opera House, come segno di gratitudine e simbolo del dialogo tra le culture che la sua arte incarna.
‘My Italian Connections’ è appena iniziata, ma ha già dimostrato quanto sia potente una narrazione che passa per le emozioni, gli intrecci culturali, le storie di vita.