Le rassicurazioni sono sempre le stesse: l’economia australiana è resiliente e stabile anche di fronte alle turbolenze internazionali. La posizione del Tesoriere  Josh Frydenberg resta quindi immutata ed è stata ribadita con forza nei giorni scorsi nel corso di recenti interventi in Parlamento.

Di ritorno da Washington, dove ha partecipato al G20 dei ministri delle Finanze, Josh Frydenberg ha replicato alle pressanti obiezioni dell’opposizione laburista che continua a chiedere al governo quali siano gli strumenti che ha intenzione di mettere in campo per garantire un vero stimolo a un’economia che appare, nonostante le rassicurazioni di ‘forti fondamenta’, in pieno rallentamento.

“La questione è seria - ha spiegato Frydenberg - ma non c’è panico mentre i governi di tutto il mondo attraversano un nuovo paradigma di bassa inflazione, bassa disoccupazione e tassi di interessi bassi”.

Quasi a voler spostare l’attenzione sul panorama internazionale il ministro del Tesoro ha nuovamente parlato delle tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti come di “una nuvola scura che aleggia sull’economia globale”.

“Perché - ha continuato Frydenberg - con dazi applicati su oltre $700 miliardi di merci, l’impatto sulla fiducia e sugli investimenti è stato profondo. La crescita dei volumi degli scambi globali è scesa all’1%, le decisioni sugli investimenti rinviate, i flussi di capitale sono rallentati e il Fondo Monetario Internazionale stima che, qualora le dispute tra Washington e Pechino non dovessero trovare una soluzione positiva, potrebbe ridurre la crescita dello 0,8%”.

Ma quando si parla di Australia, Frydenberg si mostra tranquillo: “L’economia australiana continua a funzionare relativamente bene. Siamo nella posizione migliore per rispondere a shock esterni”, e giù a ribadire, tra gli altri esempi di solidità, i dati dell’occupazione che sale “da tre anni ogni mese, a un ritmo due volte più veloce rispetto alla media OCSE” e la tripla AAA del rating di Standard & Poor’s.

Il tema tuttavia resta sempre lo stesso, ovvero quello dello stimolo all’economia, a fronte della stagnazione degli stipendi e, soprattutto, nonostante l’entusiasmo nelle parole di Frydenberg quando parla di aumento dell’occupazione, di un cambio di paradigma nella qualità dell’offerta lavorativa, sempre meno stabile.

Dalla prima pagina de The Weekend Australian, l’ex primo ministro Paul Keating ha parlato molto chiaramente: “La politica monetaria ha fatto il suo corso. Non c’è molto di più che la Reserve Bank possa fare. Anche se dovesse decidere per una versione australiana del Quantitative Easing, l’impatto sarebbe così economicamente marginale che potrebbe non valere la pena effettuarlo.

“La crescita mondiale rallenta,  la politica monetaria non è capace di dare risposta quindi - ha suggerito l’ex primo ministro laburista - un grande piano infrastrutturale dove, anche agendo di concerto, pubblico e privato potrebbero dare la soluzione alla ripresa dell’economia”.

Keating è stato molto duro, ed è una obiezione che da molte parti si sta muovendo nei confronti dell’attuale governo, sul tema del surplus di bilancio, uno dei cavalli di battaglia del duo Morrison - Frydenberg.

“I numeri parlano di una crescita economica dell’1.4 per cento - ha continuato Keating - la metà della nostra crescita media degli ultimi trent’anni”.

La sollecitazione, quindi, a non fissarsi con l’idea del surplus: “I conti di un Paese non sono come quelli di una famiglia, non dobbiamo avere un attivo di bilancio, perché, come nazione, c’è sempre lo strumento fiscale per la crescita, che deve essere reso molto più stimolante in tempi rapidi”.

Il taglio dei tassi di interesse da parte della Reserve Bank, secondo Keating, dovrebbe dare la spinta per un audace programma di investimento infrastrutturale: “Ciò che ha cambiato gli Stati Uniti non è stato il capitalismo finanziario, ma i grandi programmi del governo, come il piano infrastrutturale approvato dal presidente Dwight D. Eisenhower che negli anni ‘50 costruì quarantamila miglia di autostrade in tutto il Paese”.

Keating, che ha puntato il dito contro “gli eccessi della deregolamentazione degli anni’80 che hanno portato a enormi crescite dei redditi per una piccola parte della popolazione”,  ha anche spinto il governo perché possa impegnarsi sul tema dell’aumento della superannuation dal 9,5% al 12% entro il 2025, ma teme che il governo non lo alzerà oltre il previsto aumento del 10% nel 2021.

La parola stimolo però non piace molto né a Frydenberg né a Morrison soprattutto quando la si affianca alla parola “spesa pubblica”, perché, è evidente che quel tipo di stimolo andrebbe a toccare il grande totem del surplus di bilancio su cui è stato costruito gran parte del successo elettorale.

E allora meglio andare ‘sul sicuro’ del mercato immobiliare, ma anche in quel caso, senza esagerare con l’investimento: proprio ieri il governo ha infatti svelato qualche dettaglio del piano, annunciato prima delle ultime elezioni, che mira a consentire a chi voglia acquistare la prima casa di poterlo farlo anche solo con 5% di deposito. Secondo il programma , saranno diecimila i beneficiari a basso e medio reddito che dall’anno prossimo potranno accedere a tali benefici.

Il governo ha anche annunciato i massimali entro cui si potrà accedere a tale piano: le garanzie per accedere ai mutui prestate dal governo potranno essere richieste per l’acquisto di proprietà del valore non superiore ai $700.000 sul mercato immobiliare di Sydney e $600.000 per quello di Melbourne.

Il ministro competente per gli immobili, Michael Sukkar ha confermato che soltanto due delle ‘Big Four Banks’ sono state scelte per far parte di questo progetto, con il cinquanta per cento delle garanzie pubbliche riservate a istituzioni finanziarie più piccole.

Il leader dell’opposizione Anthony Albanese ha sollecitato il governo nel dare il più presto possibile maggiori dettagli “in modo che le persone possano beneficiare di un progetto destinato a partire tra due mesi”.