Con i riflettori ancora accesi sulla visita negli Stati Uniti del primo ministro Scott Morrison e, soprattutto a Melbourne, sulla trionfante vittoria dei Tigers contro i Giants nella Grand Final di AFL, le cronache politiche della settimana appena trascorsa hanno dato spazio anche un annuncio destinato a sollevare molte riflessioni e legittime aspettative, poiché tocca uno dei temi più rilevanti e sensibili nella vita quotidiana e nel futuro di tutti: la struttura del sistema pensionistico australiano.
Josh Frydenberg, in un comunicato congiunto emesso con la senatrice Jane Hume, vice ministro responsabile per la superannuation e i servizi finanziari, ha annunciato un’attività di revisione indipendente sul sistema pensionistico, elencando il dettaglio dei termini a cui dovranno fare riferimento i tre esperti scelti dal governo.
Il processo di revisione che, sulla base delle raccomandazioni della Commissione produttività, avrà il compito di ‘valutare efficienza e competitività’ dell’intero sistema, arriva a 27 anni dall’istituzione della superannuation obbligatoria.
In un momento di grande attenzione per la solidità dell’economia australiana, alle prese con sfide molto importanti anche e soprattutto in materia di equità sociale e intergenerazionale, i tre commissari individuati dal governo non hanno il compito di consegnare raccomandazioni al legislatore ma, in un rapporto finale da presentare entro il mese di giugno del prossimo anno, dovranno fornire un quadro quanto più completo possibile dell’intera struttura basato su evidenze di fatto.
A guidare la commissione di revisione sarà Michael Callaghan, ex direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale e già a capo dello staff del ministro del Tesoro Peter Costello, che verrà affiancato da due stimate professioniste nel settore della finanza pubblica: Carolyn Kay, con più di 30 anni di esperienza nel settore finanziario e attuale membro del board del Future Fund, lo speciale strumento di investimento pubblico controllato dal governo e Deborah Ralston, professore associato presso la Monash University, membro di uno dei due board della Reserve Bank.
Al centro dell’attenzione dei lavori dei tre esperti, l’intera infrastruttura che regola l’attuale sistema previdenziale basata su tre pilastri: la pensione di anzianità, la superannuation obbligatoria e i piani di risparmio volontario.
Così come specificato nelle indicazioni a cui si dovrà fare riferimento in fase di revisione, è importante per il governo, “che il sistema [previdenziale] consenta agli australiani di ottenere un’adeguata entrata pensionistica che sia fiscalmente sostenibile e possa fornire incentivi adeguati all’autosufficienza nel corso della vita da pensionato.”
L’analisi dei tre pilastri dovrà consentire di avere un quadro di quale sarà la tenuta del sistema, soprattutto in un futuro dove la popolazione continuerà a invecchiare e l’aspettativa di vita destinata ad aumentare.
Un documento di consultazione pubblica sarà reso noto nel prossimo mese di novembre.
È chiaro come l’intento del governo Morrison sia di avere, numeri alla mano, un’analisi di quelli che sono i benefici, e i costi, del sistema previdenziale nell’attuale configurazione, all’esito del quale tuttavia, sembrerebbe molto difficile che si mettano in campo azioni politiche determinanti per cambiare l’intera infrastruttura previdenziale.
Si tratta di percorrere con grande cautela un terreno politicamente e molto pericoloso e ne è decisamente consapevole il primo ministro che ricorda molto bene la sua esperienza da ministro del Tesoro quando, nel 2016, si impegnò nell’ultima riforma della superannuation.
Tra l’altro sembrerebbe alquanto inevitabile che i tre esperti andranno ad analizzare anche la prevista ipotesi di aumento del contributo obbligatorio di superannuation che, secondo l’attuale programma, dovrebbe gradualmente aumentare dal 9.5% al 12% tra il 2021 e il 2025. Ipotesi che ha già visto la netta opposizione di almeno una dozzina di parlamentari liberali.
Preoccupati, a buon motivo, che, in un momento, come questo, di bassa crescita salariale e, elemento certamente da non sottovalutare, con un tasso di indebitamento delle famiglie australiane che, dati della Reserve Bank, ha raggiunto il 191% rispetto alle entrate, i lavoratori siano costretti a sacrificare parte della propria retribuzione da investire in un piano di risparmio a lungo termine gestito, e forse proprio questo è il tema centrale a cui dare risposte, da un settore finanziario molto più interessato ai propri ritorni che al futuro dei contribuenti.
A leggere le stime ufficiali in materia, si dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, poter esser tranquilli: secondo il Tesoro, infatti, l’attuale contributo del 9,5% consentirà ai pensionati di ottenere oltre il 90% della retribuzione percepita al momento in cui si è andati in pensionein età lavorativa in pensione, ben oltre il 70% del “tasso di sostituzione” consigliato dall’OCSE.
Ma, oltre alla sostenibilità finanziaria dell’intero sistema, ciò che si auspica la revisione riuscirà a evidenziare, è se i ‘tre pilastri’ stiano effettivamente garantendo stabilità ed equilibrio al sistema previdenziale, ma soprattutto se riusciranno a continuare a farlo in futuro.
I numeri, in termini di condizione demografica, sono impietosi, forse non necessariamente drammatici, per carità, ma necessitano riflessioni, e scelte, importanti: l’ultimo rapporto intergenerazionale del governo, pubblicato nel 2015, rileva che sarà sempre meno la popolazione in età lavorativa rispetto ai minori e agli anziani. Se nel 1975, infatti, il rapporto era di 7.3 persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni per ogni australiano di età pari o superiore ai 65 anni, nel 2015 il numero era calato a 4.5 e il trend, già molto evidente, ha una proiezione, entro il 2054-2055, di ulteriore riduzione di quasi la metà, 2.7 persone per ogni over 65 anni.
Il sistema previdenziale, con un quadro del genere, dovrà essere il più stabile e solido possibile, per tutti, non solo per i baby boomers.