Al di là delle scelte politiche che sono state fatte il 18 maggio, se si è votato cioè per i liberali, i laburisti o qualsiasi altro partito, il risultato uscito dalle urne due risvolti positivi, almeno a breve termine, li ha avuti: a Canberra, infatti, sembra essere ritornato un minimo di ‘normalità’, nei toni e nei proposti; il secondo aspetto positivo del verdetto di due mesi e mezzo fa è la perdita di credibilità dei sondaggi, con il primo rilevamento del dopo elezioni che, di conseguenza, è passato quasi inosservato con i liberali, comunque, in ‘luna di miele’ in fatto di consensi virtuali, Scott Morrison popolare come Malcolm Turnbull dopo aver scalzato Tony Abbott,  Anthony Albanese di gran lunga più gradito di Bill Shorten: tutto scontato, con numeri che non significano molto in questo momento e che comunque sono ormai accompagnati da mille ‘sospetti’ visto quello che è successo lo scorso maggio in fatto di accuratezza.

Per ciò che riguarda invece il dibattito parlamentare siamo già ad una nuova pausa: la sessione invernale si è conclusa con un altro paio di successi di un certo rilievo del governo, ‘appoggiato’ a malincuore dai laburisti, senza troppi sussulti in un Senato che il voto ha fatto ritornare ad essere molto meno complicato e ostruzionista. Dopo la riforma fiscale approvata in tempi record nel breve ritorno in Aula post-elezioni, via libera, nella prima sessione completa di lavori, ai provvedimenti a sostegno degli agricoltori e allevatori alle prese con il problema della siccità e al nuovo giro di vite sulla sicurezza legato ai ‘foreign fighters’. Nessuna novità invece per ciò che riguarda Newstart. Morrison ha detto ‘no’ al coro dei ritocchi, un po’ per convinzione sul sussidio di disoccupazione che, secondo il primo ministro, è nella maggior parte dei casi integrato con altri tipi di assistenza e, soprattutto, perché l’obiettivo numero uno è il rientro del deficit e nessuna spesa extra può metterlo a rischio.

E, dato che l’autorità del leader liberale in questo momento è fuori discussione, sono immediatamente rientrate le richieste, anche all’interno della Coalizione, per una maggiore generosità. Il primo ministro è in perfetto controllo della sua squadra che ha ritrovato una certa serenità dopo la stagione delle divisioni e degli scontri continui fra i sostenitori di Abbott e quelli di Turnbull.

Morrison ha riportato la pace e, avendo vinto praticamente ‘da solo’ l’elezione che era quasi impossibile vincere, non deve assolutamente nulla a nessuno e tutti devono invece qualcosa a lui: la loro ‘sopravvivenza’ politica, il loro ruolo, nuovo o riconfermato che sia, grazie a quell’agenda minimalista che a più di qualcuno era apparsa come un punto di debolezza e che ora è diventata un punto di forza. Perché permette a Morrison e alla sua squadra di avere la massima libertà d’azione: poche le promesse da mantenere e possibilità di prendere qualsiasi tipo di direzione futura. Ecco quindi all’orizzonte di primavera un po’ più di severità nel campo del welfare (rilancio dei controlli sull’uso di droghe) e un affondo sulle relazioni industriali, con i laburisti che partono col forte handicap del boss sindacale del settore edilizio John Setka da cui lo stesso Albanese vorrebbe prendere le distanze.

Morrison ha vinto interpretando i sentimenti, pieni di paure e sospetti, della gente comune, ‘leggendo’ perfettamente i bisogni immediati di una rappresentanza con i piedi ben saldi per terra, senza un continuo inseguimento a qualche riforma, a qualche obiettivo che non sia traducibile in dati e numeri facilmente comprensibili. Niente grandi ‘disegni’, niente ambizioni che potrebbero essere fuori portata: nessun azzardo, nessun cambiamento ideologico di rotta, ma uno schierarsi dalla parte di quella famosa ‘maggioranza silenziosa’ che, magari non scende in piazza per il clima o i richiedenti asilo di Manus e Nauru, ma non per questo non è sintonizzata sulle possibili soluzioni dei ‘problemi’ da affrontare, accettando la complessità delle soluzioni, senza facili illusioni. Non è il massimo, ma di questi tempi del ‘tutto e subito’, può funzionare, anzi sembra stia funzionando.

Sulla sua strada Morrison però si ritrova una difficoltà che sta montando e che richiederà il massimo della sensibilità, dell’attenzione, della capacità di negoziare, spiegare e coinvolgere l’intero Paese in un progetto che non può essere più rimandato. La questione aborigena, almeno per ciò che riguarda il riconoscimento costituzionale, è arrivata a destinazione. L’ha detto apertamente venerdì scorso, all’apertura della 21 edizione del ‘Garma festival’- l’annuale celebrazione della cultura aborigena, che si tiene nel Northern Territory -,  il nuovo Governatore generale David Hurley, dopo quella specie di ultimatum lanciato da uno dei più rispettati leader della comunità indigena, Galarrwuy Yunupingu, che ha chiesto risposte concrete al governo, rivolgendosi direttamente al ministro per l’Australia Indigena, Ken Wyatt, dicendo:  “Ora o per quello che ci riguarda possiamo buttare l’attuale Costituzione a mare” . “Chiediamo il diritto di essere ufficialmente accettati dal Commonwealth e da tutta la popolazione australiana”. Il leader aborigeno ha anche insistito sulla ‘voce in Parlamento’ (richiesta ufficialmente con il Documento di Uluru del 2017) chiedendo la sua inclusione nella Costituzione stessa.

Un ultimatum ‘pesante’ nei toni, ma che rispecchia quelle che ormai sono le aspettative della minoranza indigena di questo paese. Un ultimatum che indubbiamente farà discutere e non faciliterà il lungo e tortuoso processo di riconciliazione. Wyatt ha ribadito la sua promessa di arrivare ad un referendum già in questo mandato sul riconoscimento costituzionale della popolazione indigena; e ci sono già state numerose ‘aperture’ bipartisan su un ‘Consiglio di rappresentanza’ a diretto contatto con il Parlamento, ma sull’inclusione di questo nuovo ente consultivo nella Costituzione ci sono ancora parecchi dubbi e ostacoli. Mentre Albanese, ieri, in diretta da Yirrkala (nell’Arnhem Land del NT dove si tiene la quattro giorni del Garma), ha sostenuto la necessità di fare questo importante passo lasciando poi al Parlamento il compito di definire nei particolari il ruolo dell’ente in questione, Morrison non sembra convinto di muoversi in quella direzione. Massima prudenza del primo ministro, nel rispetto di quella ‘maggioranza silenziosa” che deve abbracciare il progetto, altrimenti, come hanno fatto osservare sia Hurley che Wyatt, si rischia di rinviare il tutto a data da destinarsi, possibilmente lontana qualche decennio. Il ‘no’ in un referendum in Australia non ammette ripensamenti per un lunghissimo tempo.