Per fortuna ha, al massimo, ancora un paio di mesi di vita parlamentare. Più o meno a metà maggio il senatore del Queensland Fraser Anning non sarà più della partita. Prima ancora, fra un paio di settimane, ci sarà una mozione di censura nei suoi confronti in Parlamento. L’ha annunciata il primo ministro Scott Morrison, la sosterrà senza riserve il leader dell’opposizione Bill Shorten.

Nel frattempo sta circolando in rete una petizione, lanciata ieri, per l’espulsione immediata dal Parlamento di Anning. In meno di 24 ore sono state raccolte già quasi un milione di firme.

L’anomalia di un parlamentare eletto con 19 voti, e un sistema di distribuzione delle preferenze che per ciò che riguarda il Senato presenta ancora troppe falle (c’è già stato un intervento correttivo, ma evidentemente non basta) avrà comunque presto fine: Anning è arrivato in Parlamento via One Nation (in seguito alle dimissioni forzate per doppia cittadinanza di Malcolm Roberts);  pressoché immediato l’abbandono del partito di Pauline Hanson, poi l’abbraccio, durato qualche settimana, di Bob Katter prima di una presa di distanze anche del leader di un mini-partito che non può sicuramente vantare di essere di grande apertura, per le continue dichiarazioni e i messaggi anti-Islam. Assidua partecipazione a manifestazioni dell’estrema destra (con occhio di riguardo al Victoria) e, proprio nella giornata dell’angoscia nazionale e internazionale per l’assurda strage di Christchurch, in Nuova Zelanda, nuovi incredibili commenti su legami, a suo dire, tra immigrazione musulmana e atti di violenza. E, come se non bastasse, via Twitter, Anning ha fatto osservare che quello che è accaduto nelle due moschee “non è una buona scusa per dimenticare le vite perse a causa di attentati islamici”.

Giorni contati sui banchi del Senato, nei corridoi e le stanze del Parlamento per un uomo che non rappresenta nessuno. Dopo la sua infelice esperienza parlamentare anche i 19 che lo hanno votato poco meno di tre anni fa qualche dubbio sulla loro scelta devono averlo. Assurda anche la reazione di Anning ad un deplorevole ‘attacco’ di un giovane contestatore che, sabato, ha colpito il senatore con un uovo, durante un’intervista a Melbourne. Schiaffo a mano aperta in faccia come reazione istintiva, ma assolutamente da biasimare l’attacco che ne è seguito. Violenza bella e buona di un politico (per modo di dire) che non può e non deve rimanere un minuto più del necessario in Parlamento.

Un attentato e un incidente che, con ovviamente moltissimi gradi di separazione, rappresentano la drammaticità di una nuova realtà che stiamo vivendo: conseguenze di una rabbia e una violenza che ci circonda, con quel seme dell’odio troppo spesso ormai gettato qua e là, che talvolta germoglia pericolosamente.

Un giovane che spara all’impazzata su persone inermi che pregano e riprende tutto su video, che fa circolare  in rete col proposito di stimolare la ‘fantasia’ di altri fanatici, di far alzare il livello di rabbia e odio. Un politico che risponde ad un atto di straordinaria crudeltà criticando le vittime e reagisce ad un atto di ‘violenza’ con ancora maggiore violenza.

In questo clima di una realtà che sembra ormai danzare sull’orlo di un abisso è difficile ovviamente cercare di focalizzare l’attenzione sulla politica, che ha la sua parte di responsabilità su quello che sta succedendo, con vari livelli di gravità. E ci sono comunque due prove elettorali ormai vicinissime da affrontare, due elezioni che, forse mai come in questa occasione, sono legate da molti temi che si intrecciano, si sovrappongono, si inseguono come quelli dall’ambiente, dell’energia, dei salari, della crisi del settore immobiliare, dei progetti infrastrutturali, del costo della vita.

Fra cinque giorni il New South Wales andrà alle urne in un’elezione che, secondo i maggiori osservatori, è destinata a concludersi al fotofinish.

I sondaggi danno la Coalizione in crescente difficoltà, ma i consensi dei laburisti non sono abbastanza solidi da indicare un cambio della guardia senza compromessi.  Governo di minoranza sempre più probabile insomma, con almeno sette o otto giocatori esterni che decideranno chi avrà il compito di amministrare lo Stato nei prossimi quattro anni.

Campagna a zig-zag, con alto livello di improvvisazione quella del premier Gladys Berejiklian che, su base personale, piace agli elettori; campagna ordinata invece quella dei laburisti che hanno beneficiato del cambio in corsa di leader, passando dal non amatissimo Foley ad un sobrio ma sufficientemente rispettato Daley.

Maxiprogetti iniziati ma non ultimati al centro della campagna in cui Morrison e Shorten, con le loro apparizioni (ampiamente anticipata la prima, decisa solo all’ultimo la seconda) alla presentazione ufficiale dei programmi elettorali, hanno dato un po’ il quadro della situazione anche a livello federale. Il primo ministro silenzioso al fianco della Berejiklian, Shorten mattatore dello show laburista perché in questo momento il Partito se lo può permettere, anzi, dato il mix di temi statali e federali che stanno accompagnando una campagna che solo nella penultima settimana è riuscita a ritagliarsi un po’ di attenzione, potrebbe essere l’uomo in più nella partita del New South Wales.

L’aria che tira a livello nazionale è ormai inequivocabile: a maggio si cambia perché gli elettori hanno già deciso, nonostante alcuni timori per ciò che riguarda tassazione e irrigidimento delle regole nel mondo del lavoro. Si cambia perché i liberali e i nazionali hanno fatto harakiri dal punto di vista dell’immagine (siamo ormai arrivati ad un disordinato ed evidente ognuno per sé) e hanno fallito completamente su uno dei temi-chiave del momento, quello che venerdì scorso ha portato in piazza anche in Australia, come nel resto del mondo, decine di migliaia di giovani per chiedere azioni concrete  per salvare il Pianeta. La Coalizione in questo caso, presa dalle sue lotte in famiglia, ha regalato il campo ai laburisti, liberi di proporre qualsiasi cosa, che è sempre meglio del vuoto offerto dai liberali e dell’incredibile voglia di passato ‘fossile’ dei nazionali.

A pochi giorni dal voto una piccola ‘pausa’ dovuta al peggior  massacro mai avvenuto in tempo di pace in Nuova Zelanda per mano di un australiano, di un ‘lupo solitario’, di un’estremista islamofobo che non aveva alcun precedente penale, che ha potuto colpire senza poter essere intercettato perché - come ha spiegato la polizia chiamata a rispondere della libertà d’azione dell’omicida originario di Grafton (NSW) -, con tutto il rumore sinistro che circola  in rete è impossibile prevedere chi, in qualche momento, possa decidere di  impugnare un AR15 (che John Howard con la sua coraggiosa presa di posizione dopo il massacri di Port Arthur, nel 1996, ha tolto dalla circolazione in Australia) e fare quello che è stato fatto venerdì scorso. La Nuova Zelanda adesso cambierà la legge, ma nella nebulosa rete si esternano con troppa facilità odio e vendetta e, purtroppo, spesso dalle piazze virtuali le parole violente talvolta si trasformano in violenza vera, che nessuna legge può garantire di poter evitare.