Ben venga la possibilità di indagare e smascherare tutto quello che non va (abusi, scarsi controlli), come si sta facendo, scoprendo clamorose verità, in campo finanziario. Un intervento deciso dopo un’altra serie di giorni torridi per il governo a causa di una specie di gioco al massacro. I liberali, infatti, non riescono a trovare pace.

Chi si illudeva che la settimana degli orrori - quella che ha travolto Malcolm Turnbull, tolto qualsiasi possibilità di diventare primo ministro a Peter Dutton e portato Scott Morrison alla guida del Paese -avesse posto fine a divisioni e veleni, ha sbagliato di brutto. Niente ‘luna di miele’ per il nuovo leader, né dentro il partito né fuori. Anzi è proprio dentro che non c’è alcun rasserenamento: Turnbull si è messo subito a fare il Rudd e l’Abbott e, invece di godersi la sua meritata lunga vacanza a New York, è rimasto politicamente in contatto con il Paese sostenendo, via Twitter (deve essere l’aria Usa), la teoria laburista della necessità del ricorso all’Alta Corte per determinare la legittimità della presenza in Parlamento di Dutton. Colpo sotto la cintura di un ex che non ha minimamente digerito il ‘licenziamento’, doppiato da un’altra super delusa e fortemente penalizzata dagli eventi di tre settimane fa: Julie Bishop infatti si è immediatamente schierata dalla parte dell’ex capo e non ha escluso di votare con l’opposizione qualora si dovesse arrivare a pronunciarsi in aula sulla questione del possibile conflitto d’interessi del ministro dell’Interno. Un avvertimento a voce alta dopo l’aperto sostegno a Julia Banks sul bullismo e l’inadeguatezza del Partito liberale per ciò che riguarda la rappresentanza femminile.

Come se non bastasse, a gettare altra benzina sul fuoco di divisioni e controversie ci hanno pensato gli iscritti al partito del collegio di Wentworth che hanno deciso di ‘pensare in proprio’ snobbando le speranze del nuovo primo ministro di un candidato-donna per le suppletive del 20 ottobre: con massima indipendenza hanno scelto l’ex ambasciatore in Israele Dave Sharma, il “preferito” di Turnbull e di John Howard. Morrison ha incassato il colpo come solo i politici riescono a fare e si è detto “orgoglioso di poter avere Sharma” nella sua squadra, mostrando un ottimismo forse un po’ esagerato in quanto per fare entrare il talentuoso aspirante deputato nella formazione ‘ScoMo’ bisogna prima vincere la prova di Wentworth, cosa tutt’altro che scontata. Turnbull era riuscito, in questo caso per merito personalissimo abbinato ad un altrettanto personalissimo investimento, a far diventare uno dei collegi che comprende alcuni dei sobborghi più prestigiosi d’Australia un seggio ‘sicuro’, con un margine di vantaggio del 17,7 per cento. Un seggio diventato negli ultimi anni politicamente piuttosto ‘progressista’ al punto che i temi che sembrano andare per la maggiore sono quelli non proprio di primissima fascia per il resto del Paese come la presenza femminile in Parlamento e la protezione dei diritti della minoranza LGBTIQ. Importanti anche i cambiamenti climatici, un po’ meno i costi per combatterli. Non proprio le priorità del nuovo corso liberale.

A Wentworth comunque il pericolo per la difesa del seggio non arriva dai laburisti che, sapendo di avere minime possibilità di successo, sono più che mai propensi a fare tutto il necessario per fare arrivare a Canberra un’indipendente di qualità come l’ex presidente dell’Associazione nazionale dei medici, grande sostenitrice della campagna a favore dei matrimoni gay, Kerryn Phelps.

Morrison (può fare altro?) continua ad assicurare di avere le misure dei laburisti, ma non ha decisamente quelle del suo partito che, forse, non si rende conto che continuando con le sue contestazioni interne, il già imbarazzante svantaggio che ha accumulato nei confronti dell’opposizione (44 a 56 la situazione su base bipartitica secondo gli ultimi sondaggi Newspoll) potrebbe diventare ancora più imbarazzante.

D’altra parte era estremamente ottimistico pensare che ‘scaricare’ un altro primo ministro non avesse qualche ripercussione sia a ‘destra’ che a ‘sinistra’. Chi voleva una sterzata vera non l’ha avuta e chi non la voleva non riesce a digerire tutto quello che è inutilmente successo per portare alla Lodge una possibile copia di quello che già c’era.

Morrison chiede una tregua, vuole concentrare le sue attenzioni su Bill Shorten e non su Turnbull e Dutton. Insiste su una rottura col passato, sull’opportunità che si è creata (e più i giorni passano e più sorgono i dubbi sulla sua completa estraneità all’intera operazione che l’ha portato alla Lodge) di un cambio generazionale al vertice, ma deve fare i conti con la realtà di un’impossibilità di distinguersi da subito dal punto di vista programmatico: ha scaricato il NEG, ma non ha pronto alcun piano B; ha parlato di relazioni industriali ma ha ammesso che non esiste ancora una nuova politica in materia; nessuna novità per ora neppure nel campo dell’immigrazione nonostante le pressioni della destra e massima prudenza sulle denunce di bullismo e l’insufficiente presenza femminile nella Canberra liberale. Un tema, quest’ultimo, che potrebbe sembrare meno ingombrante di quello che effettivamente è: il sasso lanciato nello stagno del malcontento da Julia Banks ha procurato diverse onde di disappunto. L’imbarazzo di una scarsa rappresentanza femminile non è nuovo e le quote rosa sembrano rimanere un tabù nelle fila della Coalizione. Certo che la realtà di avere solo 13 donne in una squadra di 76 deputati salta agli occhi. E non aiuta di certo chi insiste sullo status quo il gesto che sembra confermare proprio l’attitudine che prevale nel Partito liberale: Andrew Bragg, il favorito nella corsa per la preselezione per Wentworth, ha infatti ritirato la sua candidatura “perché - ha detto, con grande magnanimità- il seggio dovrebbe andare ad una donna”. Quasi a voler dire: è impossibile per una donna battermi, quindi mi faccio da parte a suo favore. E si è pure preso gli applausi, anche se invece di ‘generosità’ sarebbe più opportuno parlare di presunzione e quando poi si scopre che il ritiro è arrivato dopo la garanzia di un seggio nel Senato allora addio davvero a principi, valori e convinzioni.

La sempre più scarsa presenza femminile fra i liberali deve per forza far riflettere e ancora più preoccupante, in termini pratici, per Morrison e la sua squadra, dovrebbe essere un’altra realtà: solo il 35 per cento dell’elettorato femminile ha votato per la Coalizione nel 2016, il peggior risultato degli ultimi 30 anni.