Sette giorni dopo il ‘miracolo’ di Morrison, grandi manovre su entrambi i fronti politici per prepararsi alla nuova realtà, ai prossimi tre anni di governo da una parte e altri tre all’opposizione dall’altra. Ieri il primo ministro ha annunciato la sua nuova squadra, scelta in tutta libertà data l’indiscussa autorità guadagnata sul campo dopo la sua straordinaria campagna elettorale, all’insegna della continuità. Oggi in casa laburista scade invece il tempo massimo per candidarsi alla leadership: non ci saranno alternative ad Anthony Albanese. A questo punto sarebbe un’inutile perdita di tempo, meglio continuare con le analisi, le riflessioni e la riformulazione del progetto per il futuro.
Le recriminazioni sono tenute attentamente sotto controllo, ma non durerà a lungo. L’unità, che è stata la parola d’ordine degli ultimi cinque anni e mezzo, ha già cominciato a dare qualche inevitabile segno di cedimento: il fine ultimo del ‘vogliamoci bene’ ad ogni costo non è stato raggiunto, quindi certe amicizie di convenienza non hanno più ragione di esistere. A più o meno dieci ore dall’annuncio, elegante e dovuto, di Bill Shorten di abbandono della leadership il suo rivale (dal 2013), ha subito dato la sua disponibilità ad assumere la guida del partito, seguito dai ‘ci sto pensando’ di Tanya Plibersek e Jim Chalmers. Tra il ritiro della possibilità di candidarsi da parte dell’ex vice leader laburista e il superstite di spicco del Queensland, c’è stata la tentazione, rientrata nel giro di 24 ore, di Chris Bowen.
Morrison non ha perso tempo per scegliere la sua squadra. Anche se i conteggi in alcuni seggi non sono ancora ultimati, il quadro della vittoria è piuttosto definito: quota 78 solo da ufficializzare. Il primo ministro, con nessun debito di riconoscenza, senza nessun bisogno di bilanciare destra e sinistra, uomini e donne, ex ministri e nuovi e vecchi pretendenti, ha scritto sulla tela bianca che gli è stata consegnata per la sua vittoria una formazione con più conferme che novità: Josh Frydenberg inamovibile al Tesoro; Peter Dutton, premiato dai consensi popolari con maggioranza allargata nel suo seggio di Dickson (Queensland), resta agli Interni; non solo Giustizia per Christian Porter che diventa anche il responsabile delle Relazioni industriali; Michaelia Cash si riprende le Piccole aziende e il Lavoro; Marise Payne resta agli Esteri, ma diventa anche il ministro per le Pari opportunità; status quo anche per Simon Birmingham al Commercio estero, con conferma anche del ruolo di vice leader nel Senato; non cambia nulla per Dan Tehan (Istruzione), Mathias Cormann (Finanze), Michael McCormak (Infrastrutture e Trasporti), Karen Andrews (Industria), David Coleman (Immigrazione, Cittadinanza e Affari multiculturali), Matthew Canavan (Risorse e NT). Come promesso Linda Reynolds diventa ministro della Difesa e a Darren Chester restano Veterani e Personale della difesa. Per Angus Taylor (Energia) responsabilità allargate alle politiche per la riduzione delle emissioni; più lavoro anche per Greg Hunt che mantiene la Sanità, ma sarà anche ministro assistente per la Pubblica Amministrazione. L’invisibile ex ministro dell’Ambiente Melissa Price passa al ministero esterno dei Servizi per la Difesa, Paul Fletcher diventa il ministro delle Comunicazioni, mentre Alan Tudge mantiene l’incarico delle Infrastrutture urbane, Città e Popolazione; ad Anne Ruston Famiglia e Servizi sociali e rientra nel giro ministeriale Sussan Ley (dopo le dimissioni forzate da Turnbull in seguito a presunte irregolarità sui rimborsi per spese parlamentari) con l’incarico di portavoce per l’Ambiente. Promozioni per Ken Wyatt, nuovo ministro per gli Affari aborigeni e per Stuart Robert responsabile dei Servizi governativi e della gestione del National Disability Insurance Scheme (NDIS). Michael Sukkar è assistente al Tesoro e ministro per l’Edilizia abitativa, mentre la vice leader dei nazionali diventa il primo ministro donna dell’Agricoltura e a Mark Coulton vengono affidati i Servizi regionali, la Decentralizzazione e gli Enti locali. Promozione anche per Richard Colbeck ministro per i Servizi per gli anziani, gli Affari giovanili e lo Sport.
Vera novità di ieri l’annuncio degli incarichi diplomatici per Arthur Sinodinos e Mitch Fifield (altro servizio a pagina 12).
I cambiamenti climatici, il carbone della Adani e i posti di lavoro hanno formato il tris vincente della Coalizione in Queensland, un ‘mix’ che rimarrà in primo piano sull’agenda politica sia del governo sia dell’opposizione. Morrison sa che dovrà fare qualcosa di più al riguardo della lotta contro il surriscaldamento globale e i laburisti sembrano aver capito che dovranno invece offrire un piano un po’ meno ‘entusiastico’, cercando di trovare i giusti equilibri tra le ambizioni di una parte del loro elettorato, che ha il tempo e l’opportunità di pensare anche ad altro, e quelli che invece si trovano in prima linea a dover scegliere tra un incerto e preoccupante presente e un incerto, ma più distante dalla vita di ogni giorno, futuro del pianeta.
“Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire” dice un noto proverbio: Shorten l’ha capito con le cattive, Morrison fino ad ora ha dato l’impressione di essere più attento a quello che pensa la gente, senza dover seguire le indicazioni di sondaggisti e commentatori vari.
Albanese nelle prime interviste da leader in attesa di conferma, ha dato l’impressione di essere sulla strada giusta in fatto di progetti da buttare e principi da portare avanti, senza isterismi ed eccessi. Alcuni dei suoi ‘sostenitori’ non hanno dato l’impressione di essere altrettanto pronti ad accettare interamente il messaggio uscito dalle urne. La segretaria della Confederazione nazionale dei sindacati, Sally McManus, per esempio, non si è tolta mimetica ed elmetto dopo la batosta, insistendo con fermezza: “Non ci fermeremo mai di combattere”. “Se dovremo fare la resistenza, saremo la resistenza”.
Il segretario del CFMEU del Queensland, Michael Ravbar ha attaccato i proprietari della Adani definendoli dei “profittatori senza scrupoli”, mentre un altro leader sindacale del Queensland, Alex Scott non fa sconti sul catastrofismo ambientale: “Vogliamo cambiare il Pianeta e non solo proteggere posti di lavoro” e “se non lo facciamo, il mondo è spacciato” (il termine usato è stato un po’ più crudo).
Sabato 18 maggio sembra già piuttosto lontano, la partita sta per ricominciare. I buoni proposti al fischio d’inizio sono bipartisan: meno conflitti, meno scontri, mettendo a riposo una volta per tutte, almeno in casa laburista, il fastidioso e fuori tempo, “top end of town’. A Canberra dopotutto, a parte sensazioni ed umori, in termini numerici, non è poi cambiato molto. Il governo ha 78 seggi invece dei 76 del 2016. Ha vinto Bass, che ha cambiato proprietario nove volte nelle ultime dieci tornate elettorali, e Braddon, un collegio che aveva perso solo tre anni fa. Ha vinto Herbert e Longman in Queensland e probabilmente Macquarie nel New South Wales. I laburisti hanno due seggi in meno rispetto alla quasi vittoria del 2016, ma hanno conquistato tre seggi: Corangamite e Dunkley nel Victoria e Gilmore nel NSW.
Nessuna rivoluzione quindi, ma la sensazione di una ‘rivoluzione’ perché, salvo poche eccezioni, elettori, osservatori e politici si aspettavano un’ampia vittoria dei laburisti e quindi il successo della Coalizione, con una maggioranza aumentata, ha dato l’impressione di un’ondata travolgente. Realismo d’obbligo perciò anche in casa liberale, con carta bianca però sul da farsi, dato che Morrison si è presentato agli elettori praticamente senza alcun programma se non quello di mantenere l’economia in salute, anche se tanto in salute poi non è.
La verità è che gli elettori hanno preso una gran paura di quello che poteva succedere. Ora sta proprio al primo ministro dimostrare che hanno fatto la scelta giusta.