È partito il conto alla rovescia per il budget elettorale. Le ‘voci’ di possibili elezioni entro la fine dell’anno vengono puntualmente smentite, ma non ci sarà comunque tempo per un’altra Finanziaria prima di ritornare alle urne. Si voterà nella prima metà del 2019, assicurano da Canberra: Malcolm Turnbull ha sempre sostenuto che il governo completerà il suo mandato. Quindi l’improvvisa generosità nei confronti del Victoria per ciò che riguarda finanziamenti straordinari per il collegamento ferroviario con l’aeroporto di Tullamarine, la scelta di dare al Queensland la possibilità di costruire, grazie alla ditta tedesca Rheinmetall con sede australiana a Brisbane, 400 mezzi corazzati per l’Esercito creando centinaia di nuovi posti di lavoro in una zona con un alto tasso di disoccupazione e i 500 milioni che saranno investiti per proteggere la Grande barriera corallina rientrano nell’ordinaria amministrazione. Nessun ‘zuccherino’ pre elettorale in due Stati dove i liberali stanno incontrando non poche difficoltà, ma decisioni ‘dovute’ e prese in considerazione esclusivamente per i loro meriti.
Tanto più che nel caso del finanziamento per la Barriera corallina si tratta semplicemente di ‘pareggiare’ l’offerta di Bill Shorten, con l’unica differenza che i milioni liberali arriveranno subito, mentre quelli laburisti nell’arco di cinque anni.
Che ormai si sia entrati in un clima elettorale, nonostante i 12 mesi o giù di lì che ci potrebbero davvero separare dalle urne, si capisce anche dal fatto che l’opposizione, come il governo, è prontissima a reagire alle mosse degli avversari: più soldi per le infrastrutture al Victoria? “Anche noi, anzi qualcosa di più”. Perfino sul futuro della miniera Adani, il no di Shorten non è blindato.
Nessun problema anche per la marcia indietro di Scott Morrison sulla soprattassa sul Medicare per finanziare l’Assicurazione nazionale per le disabilità (NDIS). I laburisti avevano accettato di introdurla esentando le persone con un reddito al di sotto degli 87mila dollari, ma ora che il ministro del Tesoro ha detto che non serve perché i soldi ci sono, la sua controparte all’opposizione, Chris Bowen, si è detto più che contento di farne a meno. Tatticamente comprensibile, ma forse poteva risparmiarsi di insistere sul fatto che “comunque non serviva”, perché i laburisti avevano già garantito la copertura finanziaria dell’iniziativa. Ma se non serviva perché avevano accettato almeno in parte il progetto liberale?
Comunque Morrison la scorsa settimana ha eliminato quello che avrebbe potuto essere un problema in più quando si deciderà di andare alle urne. Grazie ad entrate superiori al previsto, frutto di una solida ripresa economica, una riduzione delle spese del welfare dovuta ad un aumento dell’impiego, maggiori entrate in seguito ad un incremento dei profitti delle imprese e una ripresa dell’export minerario, non servirà ricorrere al Medicare per coprire le spese dell’NDIS, ha spiegato, annunciando che sono arrivati nelle casse federali 7,2 miliardi in più di quanto preventivato nei primi nove mesi del corrente anno finanziario. Quindi si può rinunciare a quei 4,4 miliardi che erano stati messi in preventivo portando al 2,5 per cento l’imposta sulla sanità.
Costi NDIS ‘coperti’ dunque e possibilità di ‘restituire’ parte del tesoretto ai cittadini via sgravi fiscali.
Il vice primo ministro, Michael McCormack, una decina di giorni fa, nel suo primo intervento al Circolo nazionale della stampa, si era lasciato sfuggire una battuta su un Morrison travestito da Babbo Natale quando toglierà i veli al budget 2018-19. Il ministro del Tesoro aveva subito smentito il ‘travestimento’ e aveva fatto capire al leader dei nazionali che ognuno ha il suo ruolo all’interno del governo e che di budget sarà meglio parlare con conoscenza di causa solo dopo l’8 maggio.
Anche perché indubbiamente Babbo Natale potrebbe interpretarlo molto meglio Bill Shorten: nel suo sacco, infatti, potrebbero esserci addirittura 200 miliardi da spendere grazie al promesso ‘status quo’ per ciò che riguarda le imposte delle aziende con un giro d’affari superiore ai 50 milioni di dollari l’anno, con un risparmio totale di spesa di circa 35,6 miliardi; l’aumento delle tasse sui redditi superiori ai 180 mila dollari l’anno (una correzione verso l’alto del 2 per cento, reintroducendo praticamente la sovrattassa a termine che si era inventato Tony Abbott per fare fronte alla presunta ‘emergenza deficit’); le modifiche da apportare alle agevolazioni fiscali sugli investimenti immobiliari e azionistici ed ora i miliardi extra in cassa.
Qualsiasi sconto fiscale che Morrison metterà sul tavolo il prossimo 8 maggio sarà inferiore al rilancio di Shorten due giorni dopo. E’ inevitabile che sia così. Che si voti fra sei mesi o al massimo fra 12, l’asta elettorale avrà inizio e il tema tasse sarà al centro della strategia elettorale di entrambe le maggiori forze politiche.
Politicamente probabilmente astuta la mossa di Morrison per ciò che riguarda la rinuncia al balzello sul Medicare (anche se lo scorso anno, quando era stato annunciato, il ministro del Tesoro aveva puntato forte sull’equità del provvedimento e più del 54 per cento degli australiani si erano schierati, negli immancabili sondaggi, dalla sua parte), ma finanziariamente rischiosa. Rinunciare a più di 4 miliardi l’anno di entrate non è uno scherzo. Va bene quando tutto gira a dovere, ma se qualcosa si inceppa sul fronte delle entrate, è un notevole fardello extra sui conti di bilancio. Elettoralmente però la rinuncia ci sta, dato che sarebbe stato facile per l’opposizione demolire qualsiasi apprezzamento per i tagli fiscali che saranno annunciati da Morrison, con la storia del governo che con una mano dà e con quell’altra toglie, lasciando nelle tasche degli australiani solo pochi spiccioli. Adesso invece, senza quello 0,5 in più da pagare sul conto Medicare, gli sconti saranno al netto: probabilmente in media una decina di dollari extra la settimana.
Obiettivo centrale dei tagli i ceti medio-bassi. Il governo però promette il doppio salto mortale con gli sgravi alle imprese possibilmente da ufficializzare, se i due ex NXT Rex Patrick e Stirling Griff effettivamente cambiano idea, già nella stessa sessione parlamentare del budget. Turnbull e Morrison cercheranno di ricordarlo a tutti, sostenendo (teoria tutta da provare) che abbassando le tasse delle aziende si aumentano gli investimenti e i salari, dando il via ad una spirale positiva che permetterà di aumentare ulteriormente le entrate e confermare quel famoso attivo di bilancio previsto per il 2019-20, anche se solo dello 0,5 per cento del Pil (Prodotto interno lordo). I ‘surplus’ veri, secondo l’Intergenerational Report preparato dal governo nel 2015 (che rimane la guida economico-finanziaria della Coalizione), arriveranno solo verso il 2025, quando dovrebbe cominciare a scendere anche il debito che è salito, da quando a Canberra ci sono i liberal-nazionali, dai 250 miliardi lasciati in eredità da Gillard-Rudd e Swan a 500 miliardi, il 41,9 per cento del Pil (prima della crisi finanziaria era al 9,7 %). Forse per questo di eliminarlo non ne parla più nessuno.