E’ iniziata bene la nuova stagione parlamentare per il governo. E’ iniziata esattamente come il primo ministro Scott Morrison si augurava, con l’approvazione abbastanza indolore del progetto fiscale in tre fasi, unificate in un unico disegno di legge, con i laburisti costretti a dire sì, senza fare troppa resistenza per non perdere ulteriore credibilità. Per metterli definitivamente all’angolo c’è volute un po’ di pretattica, con il ministro delle Finanze Mathias Cormann pronto a raggiungere un accordo preventivo, per assicurarsi il via libera del Senato, con i rappresentanti di Centre Alliance e l’indipendente della Tasmania, Jacqui Lambie in cerca di una immediata visibilità, dopo l’anno e mezzo trascorso in limbo in seguito alle dimissioni forzate dal problema della doppia cittadinanza. Gran rientro dell’ex caporale della Polizia Militare con riflettori tutti puntati su di lei, proprio quello che sembra gradire per farsi sentire e ricevere una certa dose di apprezzamento, riconoscimento e rispetto. Operazione riuscita da parte sua e operazione riuscita da parte del governo che ha costretto il leader dell’opposizione Anthony Albanese a rinunciare ad un inutile ostruzionismo, rifugiandosi dietro la possibilità, che non metterà mai in atto, di rivalutare, prima delle prossime elezioni, l’opportunità di procedere con la terza fase del progetto tasse della Coalizione. Controproducente alzare un nuovo polverone sulla strada delle urne, estremamente complicato comunque intervenire su una legge approvata che entrerà in vigore (per quanto riguarda la terza fase della riforma) tra cinque anni.

Un impegno comunque dovuto, almeno a parole, per accontentare lo zoccolo duro del partito, quello dell’intransigenza e della ‘lotta continua’.

Albanese costretto da subito a giocare in difesa con Morrison che si assicura di battere il ferro finché è caldo e ribadisce che tutti i progetti elettorali, bocciati dagli elettori, portati avanti da Bill Shorten rientrano ancora nei piani del Partito laburista: ‘negative gearing’, aumento delle tasse sugli utili di capitale, la controversa ed elettoralmente devastante abolizione dei ‘dividend imputation credits’ su alcuni investimenti pensionistici. ‘Tutto ancora lì’, ha assicurato il primo ministro. Residui della campagna che c’è stata, ma ‘capitoli’ di un programma elettorale che sarà gradualmente abbandonato nel nuovo corso laburista. Costruttivamente il leader della Coalizione ha invece invitato Albanese nel suo ufficio, mercoledì scorso, per cercare di gettare le basi per un approccio bipartisan su quanti più temi possibili, specie per ciò che concerne i progetti che riguardano la comunità aborigena e l’eventuale riconoscimento costituzionale della popolazione indigena.

Ripartenza dunque all’insegna di una minore conflittualità, con provvedimento ‘clou’ già approvato con immediata soddisfazione del pubblico che, già la prossima settimana potrà beneficiare della prima rata degli sgravi fiscali promessi: poco più di mille dollari per la maggioranza della popolazione che fa tanto ricordare il ‘bonus-stimolo’ antirecessione di Kevin Rudd nel bel mezzo della crisi finanziaria globale. 

A gettare non poca acqua sull’euforia del governo il realismo della Reserve Bank con quella decisione di abbassare, per la seconda volta nel giro di altrettanti mesi, il costo del denaro, portandolo al minimo storico per l’Australia dell’uno per cento. Una scelta che mette in evidenza che l’economia del Paese non è in grande spolvero, che ci sono forti preoccupazioni per il futuro e che la Banca centrale sta facendo il possibile per ‘dare una mano’. Il governatore Philip Lowe non l’ha mandato a dire: si aspetta dalla Coalizione qualcosa di più di semplici tagli fiscali, che aiutano la causa, esattamente come la riduzione degli interessi, ma da soli non risolvono il problema.

Con un’insolita schiettezza, Lowe ha anche fornito al primo ministro qualche consiglio ricordando che il governo, grazie ai bassissimi tassi d’interesse, può investire pesantemente nelle infrastrutture, ricorrendo a prestiti decennali con interessi attorno all’1,25 per cento o, nell’arco di trent’anni, pagando un interesse attorno al due per cento. Mai stato così facile progettare e fare, mai nella storia del Paese una simile opportunità che però metterebbe a rischio, almeno a brevissimo termine, l’impegno del ritorno all’attivo di gestione. Una promessa ormai in dirittura di arrivo, un motivo di vanto, un traguardo non vincolante, ma talmente ‘megafonato’ durante la campagna elettorale da diventare una palla al piede per il governo.

E qui i dubbi saltano subito agli occhi sulla ‘voglia’ di Morrison di andare oltre ad una gestione moderata, senza particolari rischi come, di fatto, annunciato durante l’operazione recupero o pensare seriamente all’azione, trovare cioè il coraggio, che manca ormai dall’inizio dell’era Howard: investimenti anticipati sulle infrastrutture e riforme del sistema tributario. Mettere cioè le mani, come già voleva fare quando era ministro del Tesoro del governo Turnbull, sulla tassa sul valore aggiunto, rimasta inalterata dalla sua introduzione nel 1998, con le sue esenzioni e la mai portata a termine semplificazione della rete di raccolta fiscale.

Turnbull, vista l’immediata levata di scudi popolare, aveva deciso di non procedere. Morrison ora ha il potere di mettere in pratica quello in cui aveva mostrato di credere solo un paio di anni fa: ha l’autorità (dentro e fuori la squadra) per poter riaprire il dibattito in merito e le condizioni economiche generali sono dalla sua parte per proporre soluzioni che possano evitare ulteriori complicazioni e possibili rallentamenti della crescita.

Un’occasione per non diventare un secondo Malcolm Fraser (mandati senza infamia e senza lode, all’insegna del ‘tirare avanti’ e rimanere in sella): dopo lo spauracchio di pochi mesi fa però, probabilmente la maggior parte dei suoi colleghi sia in campo liberale che nazionale, preferirebbero procedere senza rischi, ma un leader che ci crede veramente e ha l’opportunità di lasciare il segno non può accettarlo. I tempi sono dalla sua parte nel bene (maggioranza sufficiente per fare qualcosa di più e una buona dose di seguito personale) e nel male (economia fragile, disoccupazione in aumento, salari bloccati, inflazione praticamente inesistente). Morrison e il ministro del Tesoro Josh Frydenberg hanno le carte in regola per iniziare a parlare con gli australiani sul da farsi: hanno vinto la battaglia elettorale senza lasciarsi dietro strascichi polemici, sotto certi aspetti addirittura facendo tirare alla maggioranza degli elettori un sospiro di sollievo per avere evitato un mandato laburista pieno di incognite. Sicuramente hanno più credibilità e serenità decisionale di quella che avevano Gillard e Swan o Abbott e Hockey.

Ovviamente nell’immediato le priorità sono altre:  diffondere i semi di fiducia nella speranza che possano rafforzare la crescita. I tagli delle tasse e degli interessi devono tradursi in ottimismo, investimenti e consumi. E già questa settimana potrebbero cominciare ad arrivare i primi segnali, con l’indagine condotta dal Westpac Melbourne Institute, sulla reazione degli australiani alle novità dei tagli bis della RBA e del bonus fiscale dopo le preoccupazioni e il pessimismo registrati in maggio dai consumatori  e in giugno dal mondo imprenditoriale.