L’Australia, ricchissima di carbone, gas, sole e vento si trova ad affrontare una domanda energetica crescente, a prezzi aumentati oltremisura e problemi di approvvigionamento. Si ritrova anche, dal 2009, con i due maggiori schieramenti politici in guerra fra di loro su come affrontare il problema del surriscaldamento del pianeta.
Da quando otto anni fa Malcolm Turnbull ha perso la leadership liberale per aver appoggiato la strategia laburista anti-cambiamenti climatici della borsa delle emissioni, è stato scontro aperto, elezione dopo elezione. Uno scontro che ha fatto politicamente tre ‘vittime’ illustri: il sopracitato Turnbull scalzato da Tony Abbott; Kevin Rudd che, in caduta libera nei sondaggi a causa del suo ripensamento sull’ETS è stato scaricato dal suo stesso partito e Julia Gillard, mai ‘perdonata’ per l’introduzione della ‘carbon tax’.
Ma prima ancora, già nel 2007, il clima aveva contribuito a far arrivare al capolinea il governo Howard, decretando la fine politica di un primo ministro che non aveva mai voluto accettare l’inevitabilità della ratifica del Trattato di Kyoto ‘alimentando’, con la sua ostinata resistenza a fianco degli Stati Uniti, la voglia di svolta promessa da Rudd.
Ma la guerra, la lunga guerra che ha diviso i due maggiori schieramenti politici, procurando anche vistose fratture interne, specialmente in casa liberale, potrebbe finire nelle prossime settimane o mesi grazie alla relazione presentata, venerdì scorso, da Alan Finkel nel suo ruolo di Chief Scientist, per mettere a disposizione del leader di governo e dei ministri informazioni indipendenti in materia di scienze, tecnologia e innovazione. Di buon auspicio, anche se l’abitudine ai ripensamenti legati all’aria che tira non offre certezze, la disponibilità espressa dal capo dell’opposizione Bill Shorten di raggiungere un’intesa bipartisan, seguendo le direttive di Finkel, che vada al di là delle prossime elezioni nei campi dell’energia e del contenimento del cambiamento climatico. Un piano d’azione per qualsiasi governo che verrà, un obiettivo ‘nazionale’ a medio termine da fissare rinunciando, su entrambi i fronti politici, a qualcosa rispetto a quelle che sono le posizioni attuali.
Ovviamente ora tocca alla Coalizione elaborare un progetto che possa portare ad un accordo sulle politiche energetiche per poter passare dalle parole ai fatti, basandosi sui ‘consigli’ contenuti nelle 200 pagine del rapporto Finkel. Toccherà a Turnbull cercare di trovare la giusta formula per far accettare, prima ai sempre complicati e sospettosi colleghi e poi ai laburisti, la strada che il Paese dovrebbe imboccare per ridurre le emissioni di gas a effetto serra secondo i parametri fissati nello storico vertice di Parigi dello scorso anno. Per quello che riguarda l’Australia l’impegno è di abbassare tra il 26 e il 28 per cento, entro il 2030, le emissioni inquinanti rispetto ai valori del 2005. Un traguardo ‘minimo’ per contribuire all’accordo internazionale con l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura media mondiale al di sotto dei due gradi dei livelli pre-industriali. Un impegno morale, a sostegno di un’azione globale che rimane frammentata, specie dopo il recente dietrofront Usa, e che continua a fare eccezioni ‘politiche e diplomatiche’ a due delle nazioni più inquinanti come Cina e India. Comunque, nonostante il prezzo economico da pagare, Coalizione e laburisti sono della partita ormai da tempo, anche se i primi un po’ tirati per i capelli (non per niente Abbott si è inventato l’opzione minimalista della Direct Action) e i secondi con un entusiasmo frenato solo dalla realtà di costi extra per tutti e della perdita di posti di lavoro specie nei campi dell’energia, dell’acciaio, delle raffinerie di alluminio e del settore manifatturiero in generale già ridotto all’osso.
La politica energetica dell’Australia perseguirà, ha assicurato il ministro dell’Ambiente e dell’Energia Josh Frydenberg impugnando la relazione Finkel, quattro obiettivi principali: la sicurezza dell’approvvigionamento, la competitività, la sostenibilità, ma soprattutto un contenimento e possibile abbassamento dei prezzi delle bollette energetiche. Gas e carbone rimangono quindi in gioco, anche se l’obiettivo è mettere un freno all’uso dei combustibili fossili dando slancio alle rinnovabili. Per questo è indispensabile stilare una ‘road map’ con chiari obiettivi da raggiungere nel campo dell’energia pulita (LET, Low Energy Target) a livello nazionale, con revisioni regolari che certifichino il progresso. Un approccio graduale al problema che dovrebbe permettere un abbassamento dei costi energetici, accettando almeno per il momento l’idea del ‘mix’ delle risorse esistenti (gas e spinta verso il carbone ‘pulito’) e le rinnovabili da sostenere quanto e più possibile. Un piano senza ‘punizioni’, ma con i giusti incentivi per ridurre le emissioni che prevede, se si vuole davvero arrivare ad una strategia ‘bipartisan’, rinunce e compromessi.
L’opportunità c’è, la necessità anche, di offrire certezze agli investitori sia nel campo dei combustibili fossili sia in quello delle alternative pulite. Il rapporto Finkel dovrebbe servire da guida per creare fiducia sul da farsi: Turnbull e Frydenberg sono però sembrati un po’ meno entusiasti di Shorten per ciò che riguarda futuri accordi e sarà effettivamente interessante vedere, quando si arriverà al dunque, se sarà più conveniente politicamente per la Coalizione andare oltre alla Direct Action o per i laburisti rinunciare all’Emission Intensity Scheme che ha rimpiazzato l’elettoralmente tossica’ carbon tax’, anche se il principio di penalizzare gli inquinatori non cambia.
Gli australiani vogliono il ‘trattato di pace’ dopo otto anni di guerra, gli investitori nel settore energetico (da ricordare che il carbone rimane la seconda ‘voce’ australiana nel campo dell’export) probabilmente ancora di più per capire esattamente dove il Paese vuole arrivare. Ora tocca ai partiti valutare rischi e vantaggi di eventuali compromessi (sarebbe bello che l’interesse della nazione venisse prima, ma non è così) con tanto di allettante ‘premio extra’ per entrambi i contendenti: da una parte prendere le distanze da Abbott e dall’altra dai verdi. Incentivi ‘bipartisan’ da non sottovalutare.