E’ ovvio che il primo ministro Malcolm Turnbull sapeva benissimo che la simpatica, anche se poco diplomatica, presa in giro del presidente Usa di mercoledì sera a Canberra sarebbe arrivata sui giornali e in tv. A parte la storia della serata ‘off the record’, l’impegno cioè dei giornalisti presenti all’annuale ‘Mid Winter Ball’ (che si tiene in Parlamento per raccogliere fondi da devolvere in beneficenza), di non riportare commenti e battute dei politici invitati per poche ore ad abbassare la guardia e lasciarsi andare all’ironia e alla spontaneità, ci sono sempre i ‘non presenti’ in contatto con altri partecipanti alla serata (uomini d’affari, funzionari governativi, lobbisti, diplomatici) che non hanno alcun impegno scritto o non scritto di non raccontare quello che vengono puntualmente a sapere.
Quindi nessuno scandalo, nessun ‘tradimento’, tutto abbastanza scontato ed è impossibile che il primo ministro non ne abbia tenuto conto, tanto più che ci sono noti precedenti. Mercoledì è successo, infatti, quello che era già successo negli anni ’90 quando Paul Keating, nella stessa serata, si era autodefinito il Placido Domingo della politica mandando su tutte le furie Bob Hawke e iniziando, di fatto, la sua campagna per la leadership e più recentemente con Kevin Rudd, che aveva rivelato alcuni particolari di una conversazione telefonica con l’allora presidente Usa George Bush sui negoziati del G20: divertenti, ma imbarazzanti per il leader americano che non aveva gradito.
Forse non ha gradito nemmeno Trump e la prossima telefonata fra i due leader potrebbe diventare ancora più interessante della prima, dello scorso gennaio, ma Turnbull ha bisogno di ricollegarsi in qualche modo con gli australiani, costi quel che costi, perché i mesi passano veloci e nessun piano, nessuna iniziativa, anche a prima vista abbastanza ‘favorevole’ come quella sulla scuola o quella sui finanziamenti a lungo termine dell’assicurazione sanitaria per le disabilità (NDIS) o, ancora, il rapporto Finkel della scorsa settimana, per cercare in qualche modo di abbinare gli impegni di riduzione delle emissioni ad una possibile riduzione dei costi energetici, non ha minimamente stimolato l’interesse del pubblico nei confronti della Coalizione.
La ‘comunicazione’ sembra essersi interrotta, come ai tempi di Julia Gillard: un bruttissimo segnale per il governo, un possibile motivo per giustificare il ricorso al ‘vero Turnbull’ che, liberatosi per un attimo dalle catene dell’incarico, sa dire con un certo stile, ironico ed intelligente, le cose che la gente pensa, senza offendere o insultare nessuno.
Un breve ritorno fra la gente comune e alle eventuali conseguenze della simpatica ‘bravata’ ci penserà quando verrà il momento. Per ora ci sono altre cose più importanti che premono, come il dibattito in aula, questa settimana, l’ultima di lavori parlamentari prima della lunga pausa invernale, sul Gonski 2.0. I finanziamenti a lungo termine per la scuola, con i tagli preannunciati per gli istituti privati, le scuole cattoliche ecc, e maxi investimenti nel settore pubblico. L’idea ha origini ‘laburiste’ eppure è proprio il partito di Shorten che si è messo di traverso sulla strada della riforma: la Coalizione ha bisogno di dieci voti extra nel Senato per farla diventare realtà e sembra contare soprattutto sui verdi, con l’aiuto di qualche indipendente, per superare l’ostacolo dopo il no a qualsiasi tipo di compromesso dell’opposizione. Un ‘no’ tattico che non prevede alcun negoziato e che potrebbe avere, in caso di impantanamento della legge, delle forti ripercussioni negative per i laburisti. Si tratta infatti di puro ostruzionismo, di una prova lampante del ritorno alla strategia di Abbott del ‘no continuo’ a prescindere dalla qualità di qualsiasi proposta e dagli effetti prodotti dalla sua bocciatura.
Sarà ‘no’ anche sul ritocco della trattenuta del Medicare per la copertura a lungo termine dell’NDIS, mentre per la concretizzazione del progetto Finkel sull’energia difficilmente si procederà in tempi brevi date le profonde divisioni all’interno della Coalizione stessa sugli obiettivi delle rinnovabili e gli investimenti da non sottrarre all’industria del carbone.
Il governo, nonostante un budget sicuramente ‘populista’ filo-laburista, la disoccupazione in leggera diminuzione, il record mondiale di durata dell’espansione economica, annaspa perché non riesce a dare l’impressione di essere in controllo della situazione, di avere capito i bisogni della gente comune. Perché gli australiani sembrano non credere più ad un esecutivo (partendo dalle promesse di Abbott a cui Turnbull ha dato continuità) che dopo aver condannato senza riserve la tendenza a spendere delle amministrazioni Rudd-Gillard-Rudd, continua imperterrito sulla stessa strada, tanto che il debito da quando la Coalizione è ritornata nella ‘stanza dei bottoni’ è raddoppiato. Perché quando si scende nei particolari della proposta Finkel cominciano a sorgere seri dubbi su quello che dovrebbe essere l’obiettivo principale dello studio: il far scendere i costi delle bollette energetiche, cosa impossibile da fare, secondo gli esperti del settore, se si rifiuta l’idea del mix alla pari tra le rinnovabili (altamente sovvenzionate) e le fonti di energia tradizionali (carbone e gas) che offrono, almeno al momento, maggiori garanzie in fatto di affidabilità e costi sicuramente inferiori.
Coalizione che non convince, laburisti che mantengono un invidiabile vantaggio vivendo di rendita, sfoggiando più o meno la stessa qualità in fatto di idee e credibilità. D’altra parte la ‘nuova classe politica’ è abbastanza omogenea: politici di carriera che scalano a colpi di gomito le gerarchie del partito, lavorando da sempre all’interno del partito stesso (o nel mondo sindacale nel caso dei laburisti). Scarsissimi i contatti con il mondo reale.
Dei presunti rappresentanti del popolo che rappresentano sempre più solo se stessi e il loro partito, che rinunciano ben presto a qualsiasi ‘indipendenza decisionale’, imparando a recitare ritornelli di parte, guardandosi bene dal metterci del proprio, di lasciarsi sfuggire un’opinione personale, di ‘non essere d’accordo’ su qualcosa. La carriera non lo permette.
La parola d’ordine è adeguarsi, dire tutto quello che serve e il contrario di tutto se serve, abituandosi a non mostrare alcun imbarazzo: l’importante è guardare sempre avanti, al prossimo ostacolo elettorale da superare, minimizzando qualsiasi rischio, cercando soprattutto di convincere gli elettori che con gli ‘altri’ sarebbe peggio. Non è sempre stato così.