Indicazioni federali dalla Tasmania? Poche, ma tutto aiuta per il morale della Coalizione che nelle ultime due settimane ha demolito quel poco che aveva ricostruito in fatto di credibilità e aspirazioni. Prima la prolungata saga Joyce, poi la clamorosa isterica reazione di Michaelia Cash agli attacchi dell’opposizione con offese che è impossibile non condannare
Le sue scuse a denti stretti, e non sicuramente ‘sentite’, poteva risparmiarsele e i suoi ‘fan’, dopo l’imbarazzante sfuriata, sono sicuramente ridotti a famiglia e dintorni.
In Tasmania ha vinto senza necessità di aspettare il completamento dello scrutinio (13 seggi sicuri al momento di andare in stampa e siamo all’84,3% del conteggio, con due collegi ancora in dubbio) il premier uscente, il liberale Will Hodgman. Niente ‘rivoluzione’ laburista (9 i seggi conquistati), nonostante uno spostamento di voti a favore dell’opposizione del 5,5%, e niente interferenze dei verdi che hanno deluso le aspettative. Notte da incubo per il nuovo partito dell’ex senatrice federale Jacquie Lambie: il suo neonato JLNetwork non è andato neanche vicino alla possibilità di conquistare un seggio.
Hodgman festeggia dunque il raddoppio del mandato (è solo il secondo premier liberale ad essere riuscito ad ottenere una riconferma nell’isola-Stato) e festeggia anche la Coalizione a Canberra perché le vittorie ‘in famiglia’ fanno bene al morale e permettono di poter contare su qualche alleato in più quando si discute di programmi federali che hanno bisogno dell’appoggio dei vari Stati.
Contentino insomma da non buttare per Turnbull, dopo un’altra settimana da incubo grazie al ministro del Lavoro e dell’Innovazione (Cash) e alle tardive e inevitabili dimissioni ufficiali di Barnaby Joyce dal triplice ruolo di leader dei nazionali, di vice primo ministro e ministro dell’Agricoltura.
Non è uscita bene da un’altra settimana, che non può far altro che giustificare la crescente disaffezione degli australiani per la politica, il ministro degli Esteri Julie Bishop con il suo partner che ‘esiste’ solo quando serve: viaggia con lei a spese dei contribuenti, ma la partnership si scioglie quando si tratta di registrare interessi ed entrate. Ma anche sul fronte laburista non c’è da stare troppo allegri in fatto di qualità e stile. L’ex ministro dell’Industria, il senatore Kim Carr è andato a tirar fuori la ‘Gioventù Hitleriana’ per attaccare il senatore liberale James Patterson e, come sembra essere ormai consuetudine, le scuse ‘minime’ sono arrivate solo dopo l’indignazione generale dell’aula. Bill Shorten invece, oltre a continuare a dimostrare la sua ‘flessibilità’ per ciò che riguarda il futuro della miniera Adani nel nord del Queensland - ovvero la sua propensione a schierarsi sia a fianco di chi la miniera la vuole sia di chi non la vuole, a seconda del luogo, del giorno e di chi ascolta -, è stato costretto anche ad ammettere di aver ricevuto, proprio in relazione a questo scomodo soggetto, un ‘regalino’ in viaggi sponsorizzati dai diretti interessati allo sviluppo minerario del valore di 17 mila dollari.
Laburisti quindi che, secondo quanto dichiarato dall’ex direttore dell’Australian Conservation Foundation Geoffrey Cousins (che ha avuto un colloquio in privato col capo dell’opposizione), anche se la miniera Adani dovesse ottenere l’approvazione, troveranno il modo di revocare il contratto e fermare il progetto. Una promessa che l’aspirante primo ministro si guarda bene dal confermare per convenienze elettorali in vista delle suppletive di Batman e per evitare scontri all’interno di un partito diviso sul da farsi.
Cousins, vista la riluttanza di Shorten di dire esattamente quello che pensa ed intende fare, ha scelto la strada delle rivelazioni dei contenuti dell’incontro nel tentativo di ottenere conferme pubbliche per rafforzare la sua battaglia in quella che considera una delle più importanti campagne ambientali del Pianeta, “perché – ha detto- coinvolge temi di enorme portata come i cambiamenti climatici, il surriscaldamento globale e il futuro della Grande Barriera Corallina”.
Laburisti più ‘onesti’ su un altro fronte di scontro: quello cioè dei sussidi di disoccupazione. Il ministro ombra per i Servizi per l’impiego, Ed Husic, ieri, in un’intervista televisiva ha confermato l’intenzione di un eventuale governo Shorten di abbandonare il programma “Work for the Dole” perché, a suo dire, punisce chi è disoccupato, costringe i giovani a fare esperienze in posti di lavoro non sicuri e troppo spesso non offre reali opportunità d’impiego.
Una marcia indietro che apre un nuovo fronte di scontro con il governo che ha invece ribadito l’importanza e l’efficacia di un programma che era stato portato avanti anche dai governi laburisti di Rudd e Gillard.
Husic, che aveva preannunciato il cambiamento di linea giovedì scorso in Parlamento, ha promesso un’alternativa ancora in fase di elaborazione che dovrebbe concentrarsi sul “preparare i giovani all’impiego, fornendo le conoscenze-base per poter entrare a far parte della forza lavoro del 21esimo secolo”. Un annuncio insomma, al momento, di semplice differenziazione, senza un piano ben preciso già ben delineato, un ennesimo punto di rottura col passato in una strategia dell’opposizione sempre più simile a quella adottata da Tony Abbott nel 2013, quando la parola d’ordine era quella di dire e fare tutto l’opposto di quello che diceva e faceva l’allora governo impegnato più a risolvere i propri problemi interni che quelli del paese. L’atmosfera di Canberra sembra ora essere molto simile, a parti invertite: un’amministrazione sempre più lontana dalla gente, che dà l’impressione di essere incapace di prendere decisioni difficili, costretta costantemente a negoziare prima al suo interno e poi con indipendenti e rappresentati di mini-partiti e un’ opposizione che non fa sconti, senza particolari piani per il futuro, capace di ottenere il massimo dal punto di vista mediatico grazie all’incapacità del governo di mantenere l’attenzione del pubblico sulle cose che contano. Un’economia in buona salute, la creazione-record di posti di lavoro, l’inflazione sotto controllo, la dipendenza dal welfare in diminuzione dovrebbero essere armi importanti ed efficaci per dettare i ritmi e i temi del dibattito politico. Invece Joyce, Cash, Bishop e lo stesso Turnbull con il suo affrettato ricorso alla legge sul sesso vietato tra ministri e dipendenti che ha fatto il giro del mondo, hanno regalato a Shorten & Co. una pronta ripresa, con il raggiungimento di quota 30 di rilevamenti negativi ormai una certezza per il primo ministro. Non provocherà nessun ribaltone, solo qualche imbarazzo extra, una serie di interviste monotematiche con giustificazioni ripetute all’infinito e un’altra perdita di tempo prezioso per riprendere in mano il filo del discorso politico. Con solo tre giorni di sedute parlamentari prima della pausa pre-budget, lo spazio di manovra per il governo è ridotto all’osso. Shorten continua a ringraziare la buona sorte e l’incredibile capacità della Coalizione di autoinfliggersi punizioni su punizioni.