Come volevasi dimostrare: in Queensland, come nel resto dell’Australia, i maggiori partiti pagano la crescente insofferenza nei loro confronti registrando una continua perdita di consensi diretti e sono le ‘preferenze’ a fare la differenza.

Alla fine in Queensland la spunterà di misura l’amministrazione uscente che dovrebbe essere in grado di formare il governo senza aiuti esterni. Secondo le previsioni (per il risultato definitivo della sfida elettorale di sabato scorso bisognerà aspettare diversi giorni) il Partito laburista raggiungerà quasi certamente la fatidica soglia della maggioranza minima di 47 seggi, con la possibilità di arrivare a quota 48. Un traguardo che non può che soddisfare il premier Annastacia Palaszczuk che, fino alla vigilia del voto, ha escluso qualsiasi tipo di negoziato per poter governare.

Aveva infatti ribadito il suo ‘no’ a qualsiasi accordo post-elettorale con One Nation, i verdi o il Katter’s Australian Party che, a bocce ferme, probabilmente si ritroveranno rispettivamente con un seggio ciascuno i primi due e con due il KAP.

I liberal-nazionali (LNP) di Tim Nicholls, nonostante una perdita di consensi attorno all’8 per cento si dichiarano soddisfatti per una campagna condotta al positivo e, soprattutto, di essere riusciti a limitare i danni per ciò che riguarda la minaccia di One Nation che, come nel Western Australia, pur raccogliendo in questo caso circa il 14 per cento di voti primari non è riuscita a concretizzare in seggi la sua ‘popolarità’ limitata alle aree più remote dello Stato. Il partito che nessuno vuole avere come amico continua a dimostrare di avere sia grossi problemi a livello di candidati, sia un seguito concentrato prevalentemente in territorio ‘agrario’ del Queensland, Western Australia e New South Wales in grado di produrre, grazie al sistema di voto australiano, risultati concreti, in fatto di rappresentanza parlamentare, solo nella Camera di revisione sia a livello federale che statale (nel Queensland con un Parlamento unicamerale ha fallito miseramente). A parte la sua leader Pauline Hanson, One Nation non sembra in grado di attirare l’attenzione di candidati con un minimo di spessore politico e non fa certo scalpore, dopo le sue dichiarazioni ‘ai confini della realtà’ sul presunto insegnamento sessuale alle bambine nelle scuole elementari del Queensland (vi risparmio la sua imbarazzante linea di pensiero), il fatto che l’ex nazionale, diventato leader statale del partito della Hanson, Steve Dickson, sia stato bocciato nel suo ex seggio di Bunderim e non sorprende neppure che non ce l’abbia fatta nel collegio di Ipswich l’ex senatore (espulso da Canberra per doppia cittadinanza britannica e australiana) Malcolm Roberts che, purtroppo, non si rassegna e promette di riprovarci alla prossima occasione in campo federale.

Hanson deve fare buon viso a cattivo gioco e accontentarsi della possibile conquista del seggio ‘minerario’ di Mirani, ma dopo aver pronosticato per il suo partito fino a 11 rappresentanti in Parlamento, si può ben capire perché ha abbandonato in tarda serata di sabato il ritrovo per i festeggiamenti, che non ci sono stati, nel collegio di Bunderim con uin mano una bottiglia di Rum (obbligatoriamente Bundaberg).

Il partito di Nicholls alla fine arriverà a quota 39 o 40 seggi mentre i verdi hanno confermato, una volta di più, che sono una forza nei collegi metropolitani, ma che lontano dai grandi centri urbani contano ben poco. Al di fuori di Brisbane e dintorni, infatti, hanno raccolto solo il 5,8 per cento dei consensi. Probabilmente strapperanno al liberale Scott Emerson il collegio cittadino di Maiwar e sono andati vicino al colpaccio a South Brisbane, arrivando alla pari con i laburisti, che hanno tagliato per primi la linea del traguardo solo grazie alle ‘preferenze’ del candidato LNP. 

Elezioni una volta tanto senza particolari sorprese dunque, in uno Stato famoso per il voto altamente ‘umorale’ dei suoi cittadini, che può variare enormemente nel giro di un solo mandato, liberale o laburista che sia: un verdetto in linea con il ‘clima’ che si respira su scala nazionale, con il voto di protesta in cima alla lista dei desideri dei cittadini e i maggiori partiti che devono accontentarsi di un voto primario, quando va bene del 35 o 36 per cento e quando va male al di sotto della soglia matematica di ineleggibilità che va dal 34 per cento in giù (caso LNP).

Dal Queensland sono arrivate due certezze: il crescente pericolo dei verdi, in modo particolare per i laburisti, nei seggi dell’inner-city di tutte le capitali di Stato e l’effetto positivo di una chiara presa di distanze da One Nation, anche se solo per una questione più che altro di ‘immagine’, perché poi quando si tratta di scambi di ‘preferenze’ gli accordi si fanno seggio per seggio e anche i laburisti, già nelle federali dello scorso anno, hanno dimostrato di essere, quando serve, di ‘bocca buona’.

Ripercussioni federali del voto di sabato scorso? Il controverso deputato LNP George Christensen ha puntato il dito sul primo ministro Malcolm Turnbull, sulla sua leadership e la sua mancanza di direzione politica, mentre sia il capo di governo che alcuni ministri hanno subito preso le distanze dalla debàcle liberal-nazionale parlando di voto statale su temi statali, con il solito ‘ritornello’ della capacità degli australiani di distinguere tra i due diversi test elettorali. Ma probabilmente le vere conseguenze, che si sentiranno anche a Canberra, del risultato nel Queensland, riguarderanno il futuro della miniera di carbone Adani che non piace a nessuno, ma che conviene un po’ a tutti perché porta investimenti e posti di lavoro. Così a tutti i livelli di governo, sia laburisti che liberali ‘dicono e non dicono’, limitandosi per ora ad escludere semplicemente prestiti agevolati, lasciando la porta socchiusa ad ogni possibilità.

L’attenzione elettorale ora si sposta su due prove ‘clou’ per la Coalizione: quella di sabato prossimo a New England, dove l’ex vice primo ministro ed ex leader dei nazionali Barnaby Joyce dovrebbe riconfermarsi senza troppi patemi d’animo e quella molto più rischiosa per il futuro di Turnbull e del suo governo, del 16 dicembre a Bennelong dove la sfida tra John Alexander e Kristina Keneally è molto più aperta ed incerta. Alla riapertura posticipata dei lavori alla Camera (la settimana prossima) anche l’attesa dichiarazione di ‘australianità’ senza riserve dei parlamentari, con il quasi certo rinvio a giudizio davanti all’Alta Corte di alcuni e il susseguente ricorso ad altre suppletive il prossimo anno. Con entrambi i leader (Turnbull e Shorten) che evitano di parlarne, c’è da scommettere che saliranno sul banco degli ‘imputati’ sia altri liberali e nazionali che laburisti: solo da vedere chi ne ha di più. Ancora una dose di matrimoni gay e il rischio di qualche sorpresa sulla Commissione reale d’inchiesta (che i liberali non vogliono, ma qualche nazionale sì) sull’operato delle banche prima di chiudere un anno disastroso per Turnbull e la Coalizione e un cammino da sogno verso la Lodge (senza particolari pressioni né da parte del governo né dei media) per Shorten.

Bennelong può solo rendere tutto ancora più difficile per il primo ministro.