Quando le cose girano per il verso giusto, anche in politica, il successo è quasi automatico. Qualsiasi decisione sembra un colpo di genio, qualsiasi commento una prova di saggezza, qualsiasi azione è premiata dal consenso che sale. Quando però si rompe l’incantesimo, la realtà non fa sconti, anzi, gli scivoloni spesso diventano inarrestabili cadute libere. Tutto è cominciato per il primo ministro Scott Morrison con quella vacanza pre-natializia alle Hawaii e la valanga di critiche, più o meno giustificate, che si è portata dietro.

Vacanza meritata dopo lo strepitoso assolo elettorale e più di un anno senza pause al timone del Paese, scelta di tempo e località però opinabili e soprattutto tentativo assurdo e più inutile che mai da parte dei suoi collaboratori di ‘proteggere’ un diritto mal gestito.

Un po’ di sfortuna, con un aggravamento ben oltre qualsiasi possibile previsione della situazione incendi nel Paese proprio in quella settimana di vacanze ‘segrete’, e addio a credibilità e rispetto guadagnati, con pieno merito, durante la campagna per la Lodge di poco più di sei mesi fa.

Rientro in Australia con almeno 48 ore di ritardo su quelli che sarebbero stati i tempi ottimali, con qualche opportunità in meno di foto-relax con la famiglia, con dibattito aperto sulla necessità o meno del rientro anticipato sotto il ‘peso’ dei media e, soprattutto, dei ‘social’ scatenati.

Il primo ministro ha fatto le sue scuse agli australiani e con un pizzico di fortuna e migliori consigli magari poteva finire quasi tutto lì. Dopotutto anche il premier del Victoria Daniel Andrews era in vacanza (ma in Australia) all’inizio dell’emergenza-fuochi, ma poi si è fatto riprendere con puntuale ritualità quotidiana sul ‘campo’, a fianco degli addetti ai lavori impegnati a combattere i sempre più devastanti incendi che hanno colpito ampie aree dello Stato.

Puntualità e presenza costante davanti alle telecamere dall’inizio della crisi invece per la premier del New South Wales, Gladys Berejiklian, sempre a fianco delle autorità competenti per l’emergenza e pronta a rendere disponibile ogni mezzo possibile per combattere una estenuante battaglia col fuoco su decine di fronti diversi.

Morrison no, Morrison ha fatto proprio quello che, in circostanze drammatiche come quelle di queste settimane di fine dicembre e inizio gennaio, non è consigliabile fare per un politico: la presenza deve essere vista e sentita, ma mai ingombrante dando la sensazione del ‘dovere’, e ogni commento deve sempre essere perfettamente calibrato. Non occorreva insomma ricordare a nessuno, rientrando dalle Hawaii, che comunque, dal punto di vista pratico dato che non è un pompiere, non avrebbe potuto di certo fare la differenza nel combattere i roghi. E cercare poi, nel bel mezzo di una crisi senza precedenti come intensità, durata e vastità degli incendi, di stringere la mano a qualcuno visibilmente traumatizzato dagli eventi, alle prese con ben altre preoccupazioni e priorità. E non è nemmeno l’ideale, in certi momenti, cercare di spiegare che le responsabilità, per quanto sta accadendo e su quanto si può e si deve fare, spettano a qualcun altro. Politicamente infelice poi il tentativo di ‘pubblicizzare’, via spot televisivi e sui canali ‘social’, il pronto (che poi così pronto forse non è stato) intervento federale, dopo la costituzionalmente dovuta richiesta degli Stati, con il coinvolgimento di personale e mezzi della Difesa per evacuazioni e aiuti sul territorio. Con tanto di musichetta di circostanza e l’assurdità, rimossa questa volta in tempi record, di donazioni a favore non delle vittime degli incendi, ma del Partito liberale.

Danni incredibili d’immagine, spiegazioni continue per cercare di correggere in corsa errori a raffica che nemmeno i due miliardi messi a disposizione per la ricostruzione riusciranno a far dimenticare totalmente una volta che la crisi entrerà nella fase delle riflessioni e delle analisi.

Indubbiamente una situazione estremamente difficile da fronteggiare per un primo ministro, anche se incendi drammatici in Australia ci sono sempre stati e ci saranno ancora, perché in questo momento si intreccia con il dibattito sui cambiamenti climatici e le politiche federali al riguardo. Morrison non ci sta e cerca di mantenere l’emergenza fuochi a debita distanza dalla sua linea anti-emergenza climatica e, dopo l’esperienza della sua visita a Cobargo (con gli insulti e le strette di mano forzate o mancate), sicuramente cercherà anche di scegliere meglio le tappe della sua presenza in diretta nelle aree maggiormente colpite dal fuoco, tenendo in considerazione la realtà di persone spesso talmente colpite dai drammatici eventi da essere fortemente arrabbiate con chiunque non indossi qualche tipo di uniforme.

Ma il dovere di esserci è fuori discussione e, soprattutto, è necessario studiare da subito una strategia d’azione coordinata, federale e statale, per emergenze future. Probabilmente opportuna anche la creazione di un fondo permanente per le emergenze da quale attingere con immediatezza proprio per evitare le critiche che sono state rivolte al primo ministro in diretta tv nella devastata Cobargo (NSW). Critiche per la lenta ‘reazione’ federale sono arrivate anche dal ministro statale (liberale) Andrew Constance che ha suggerito un’unità di crisi permanente all’interno di Centrelink, per situazioni anche meno drammatiche di quelle attuali.

Ma il danno ormai è fatto, Morrison ora può solo cercare di fare quello che avrebbe dovuto fare dall’inizio: presenza a fianco delle autorità preposte rassicurando la nazione, garantendo che si sta facendo tutto quello che è necessario fare e che nessuno sarà lasciato indietro.

Una dura lezione per tutti quella delle ultime settimane e, di certo, come sempre, ci saranno indagini e commissioni d’inchiesta sui roghi, arriveranno i consigli di esperti per minimizzare i rischi nel futuro che, purtroppo, non saranno interamente seguiti una volta che l’emergenza passera e inizierà la ricostruzione fortemente sponsorizzata dal governo. Il ministro del Tesoro Josh Frydenberg, proprio in relazione alle conseguenze finanziarie dei tragici eventi di questo inizio estate, ha già dichiarato che l’attivo di bilancio non è più una priorità. Canberra spenderà quello che servirà spendere per fare fronte all’emergenza: una inaspettata, seppur tragica, via d’uscita da un impegno non più vincolante che potrebbe facilitare l’operato del governo su altri fronti d’intervento.