I ministri Sussan Ley, Christian Porter, Alan Tudge e il premier del South Australia Jay Weatherill hanno insolitamente ravvivato, con le loro ‘prestazioni’, la tradizionale ‘silly season’ della politica australiana, quella a minima attenzione mediatica che comprende le festività di fine anno abbinate a qualche settimana di ferie per una buona parte della popolazione. Il ministro della Sanità (Ley), infatti, non è riuscita ad evitare la bufera che si è sollevata nei suoi confronti dopo le rivelazioni su un comportamento non proprio in linea con le aspettative del pubblico. Ancora una volta a far discutere è l’abuso dei privilegi parlamentari, la scelta di sfruttare al massimo la propria posizione, l’arroganza, l’opportunismo, le mezze verità. Non è certo l’entità del ‘danno’ finanziario arrecato ai contribuenti (altro servizio a pagina 11) che fa gridare allo scandalo, ma il principio: l’approfittare cioè di un impegno ufficiale a Brisbane, per farsi poi gli affari propri, assieme al partner, sulla Gold Coast (acquisto di un appartamento con la scusa, smentita dai fatti, della decisione d’impulso nonostante si parli di circa 800mila dollari) mettendo il tutto sul conto spese del governo. E così gli ‘affari suoi’ sono diventati ‘affari nostri’ e la credibilità del ministro è scesa in picchiata col passare dei giorni, in seguito ad un susseguirsi di giustificazioni e spiegazioni sempre più pasticciate fino alla resa di ieri: come spesso succede, bastava ammettere subito l’errore di valutazione, organizzare per direttissima una correzione sul conto presentato al Tesoro e, nel giro di poche ore, il discorso si sarebbe chiuso. Ed invece c’è voluta la solita tempesta e quasi una settimana di strenua difesa prima di capitolare, con tanto di scuse e promessa di pagare di tasca propria la parte di spese che non rientrava in quelle di ‘missione’.
Con Bill Shorten in vacanza, ci ha pensato la portavoce laburista alla Sanità, Catherine King a fare la richiesta di rito delle dimissioni della Ley che, ovviamente, non sarebbero mai arrivate, mentre potrebbe essere arrivata direttamente dal primo ministro Malcolm Turnbull la richiesta di un’urgente ‘ammissione di colpa’ per evitare un inutile tormentone, in stile Bishop (Bronwyn) che, a suo tempo, ha danneggiato non poco l’immagine del governo Abbott.
Marcia indietro quanto mai opportuna quindi in questi tempi di forte allergia nei confronti dei partiti tradizionali e dei politici in generale, che sembrano vivere in un mondo parallelo, tutto loro, distante anni luce dalla realtà della gente comune alla quale continuano a chiedere sacrifici, parlando di sprechi e privilegi da contenere che sembrano non riguardarli.
Fanno la voce grossa con disoccupati, pensionati, madri sole, famiglie a basso reddito che beneficiano di una presunta ‘generosità insostenibile’ del governo. E così il ministro dei Servizi sociali, Christian Porter, difende a spada tratta i tagli ordinati per circa 317mila pensionati che, dal primo di gennaio, si sono visti togliere del tutto (91mila casi) o ridurre in qualche modo il loro assegno federale. Provvedimento ‘ideato’ dalla fallita ‘impresa’ Abbott-Hockey, concretizzato dalla nuova gestione Turnbull-Morrison e accettato, in opportunistico silenzio, dai villeggianti Shorten-Bowen.
Laburisti tra il vacanziero e l’indifferente anche sulle lettere che stanno arrivando a casa di coloro che hanno avuto a che fare, o che continuano ad avere a che fare in quanto beneficiari di vari tipi di sussidi, con il sistema del welfare. Decine di migliaia di persone si ritrovano con presunti ‘debiti’ nei confronti dell’amministrazione federale, che in moltissimi casi non sono giustificati o non esistono proprio e che sono frutto di un programma di verifica, che prevede uno scambio di dati tra l’Ufficio delle imposte e Centrelink, per evitare abusi del sistema. Senza un esame caso per caso però la verifica presenta clamorosi errori di valutazione che hanno fatto scattare l’invio, difeso dal ministro responsabile del settore Alan Tudge, di debiti, multe e minacce che a breve termine potrebbero diventare per il governo fonte di imbarazzo e, a lungo termine, tramutarsi in voti perduti.
Esattamente la stessa situazione (imbarazzo ora, voti che se ne andranno da qualche altra parte appena possibile) per il premier del South Australia che, questa settimana, si ritroverà faccia a faccia con i cittadini e gli imprenditori della Eyre Peninsula e di Port Lincoln per cercare di spiegare i continui ‘blackout’ che stanno costando centinaia di milioni a cittadine coinvolte in una forzata ‘modernizzazione’ della rete elettrica quasi totalmente dipendente dalle energie rinnovabili che, evidentemente, non forniscono ancora sufficienti garanzie di erogazione del servizio, in uno Stato che sta vivendo uno dei momenti più difficili, dal punto di vista economico e occupazionale, della sua storia. Spiegazioni che non riguardano solo Weatherill, ma che in qualche modo coinvolgono anche il premier del Victoria Daniel Andrews, deciso ad imboccare la stessa strada del solare ed eolico del South Australia, ma soprattutto Bill Shorten che ha annunciato un programma energetico per il Paese estremamente ambizioso in fatto di traguardi, ma ancora completamente privo di dati sulla sostenibilità del progetto sia per ciò che riguarda i costi di attuazione che i costi a carico dei contribuenti.
La lotta ai cambiamenti climatici, argomento che è destinato a creare non pochi problemi in questo 2017 a Turnbull per il suo forzato riposizionamento in materia, diventa quindi terreno minato anche per Shorten: va bene mirare in alto, ma i dettagli al momento opportuno contano e potrebbero essere proprio coloro che meno se lo possono permettere a dover pagare i costi di una corsa verso il futuro che deve fare i conti anche con la realtà delle esigenze economiche e finanziarie del Paese.