Il tempo è prezioso anche in politica. Scott Morrison vorrebbe averne un po’ di più prima di doversi presentare all’esame degli elettori, Bill Shorten preferirebbe invece riuscire ad accorciare in qualche modo la strada che porta alle urne. Una forzata esclusione dal parlamento di Peter Dutton, abbinata a una vittoria di Kerryn Phelps a Wentworth, sarebbero due regali di inestimabile valore politico per l’opposizione. Più possibile il primo che il secondo, dato che è già stata giocata, senza fortuna, la carta della sfiducia nei confronti del ministro dell’Interno per il suo resoconto in Aula sulla vicenda delle ragazze alla pari.
La maggioranza alla Camera, anche se minima, c’è e il voto l’ha dimostrato, quindi Morrison e Dutton ritengono il capitolo chiuso su questo fronte. Resta aperto il ‘problema’ del conflitto di interessi sull’attività di famiglia del ministro, ma il ricorso all’Alta corte per una minuziosa valutazione del rispetto dei principi della Costituzione in materia è complicato, anche perché il caso di Dutton è il più eclatante ma non è il solo, potrebbe riguardare anche qualche collega laburista e nessuno sembra abbia veramente voglia di aprire un nuovo tormentone in stile doppia cittadinanza.
A Wentworth invece i liberali rischiano il passo indietro che non farebbe sicuramente bene ai tentativi di risalita di Morrison, alle prese con la faticosa ricostruzione di un partito unito. Impresa non facile ma essenziale per avere qualche speranza di arrivare a maggio in grado di competere davvero in una sfida che al momento sembra dall’esito scontato.
Eppure qualche segnale benaugurante, in un’ottica liberale, sta arrivando e Shorten sa che, a questo punto, le elezioni le può perdere solo lui. Massima attenzione quindi su entrambi i fronti per evitare passi falsi: flessibilità e correttivi da una parte, per uscire dall’ombra di Turnbull e dall’incubo dei sondaggi negativi, riposizionamento dall’altra in base al nuovo avversario che ha già saputo giocare qualche carta importante.
La politica è anche tattica, strategia, oltre che, ovviamente, idee, decisioni, fatti. E decisioni sono già arrivate in queste prime quattro settimane di leadership. Morrison le ha prese al volo, senza indugi, su temi e con un linguaggio ‘vicini’ all’elettorato: l’annuncio di una Commissione reale d’inchiesta sull’assistenza agli anziani, in relazione a scandalosi maltrattamenti e abusi in alcune case di riposo, è stata una mossa azzeccata che i laburisti non hanno potuto di certo mettere in discussione (Shorten, spiazzato, ha fatto ricorso a un “l’avevamo detto noi” senza seguito).
Più tempestivo che mai l’intervento sul sabotaggio alimentare dopo la ‘crisi’ delle fragole partita dal Queensland: legge ancora più severa di quella che già c’era, pronta e chiara. Gli australiani non possono che apprezzare, in fin dei conti la paura riguarda tutti. Quindi il ‘colpo grosso’ del compromesso sui finanziamenti per le scuole cattoliche e private. Troppi voti in libertà su questo fronte da riportare all’ovile. Il lavoro di riconciliazione era già stato avviato dall’ex ministro dell’Istruzione Simon Birmingham, ma è stato ultimato, con una necessaria accelerazione, dal nuovo responsabile del settore Dan Tehan, su richiesta diretta del primo ministro. Qualche costo extra (4,5 miliardi di dollari, oltre ai 2,9 miliardi già previsti dal Gonski 2.0), ma un investimento in un ritrovato rispetto dei principi liberali in fatto di istruzione ‘mista’ tra pubblica e privata con tutto quello che sta in mezzo, che ha avuto nel fondatore del partito Robert Menzies e nell’ex primo ministro John Howard i più strenui difensori. Morrison ha scelto la strada della tradizione e di un riavvicinamento tattico con una parte vasta ed importante dell’elettorato. C’è qualche malumore nel New South Wales, anche dovuto al fatto delle elezioni statali del prossimo marzo, ma sono già partiti i negoziati per calmare le acque.
Immediata era stata anche l’azione di Morrison, nei primissimi giorni di mandato, in Queensland e NSW per fronteggiare l’emergenza siccità, mentre tutta da valutare ancora la strategia dell’abbandono, senza se e senza ma, del sofferto NEG, confezionato dal suo vice [liberale] Josh Frydenberg. Va bene focalizzare gli obiettivi sulla riduzione dei costi delle bollette e altrettanto essenziali le assicurazioni sul mantenimento degli impegni di Parigi sulle emissioni, ma regalare tutto il resto ai laburisti qualche perplessità l’ha destata. Gli annunci sono importanti, la presa di distanze dal recente passato anche, per dare l’impressione che qualcosa sia effettivamente cambiato, ma l’energia è un capitolo vitale nella narrativa elettorale, il vivacchiare non accontenta nessuno e sicuramente non riporta voti a casa: ripartire con un nuovo piano energetico non sarà facile.
I laburisti avevano preso le misure di Turnbull, si stavano preparando con un certo ottimismo all’alternativa Dutton, ma si ritrovano a dover fare i conti con una via di mezzo che non si aspettavano: non ci sono dubbi che in questi giorni sono al lavoro per andare a rileggersi tutte le dichiarazioni di Morrison al Tesoro e prima ancora come responsabile dei Servizi sociali e dell’Immigrazione. Il passato conta e ci saranno spunti da sfruttare per mettere in dubbio convinzioni e meriti.
Il leader liberale non può non sapere quello che lo aspetta e prepararsi a spiegare riflessioni, la necessità di smussare certe spigolosità elettorali, alcuni cambiamenti di direzione dettati da un’accettazione di una realtà in continuo mutamento da accompagnare senza perdersi in controproducenti intransigenze, che avevano caratterizzato la leadership di Tony Abbott e Malcolm Turnbull. Un ‘resistere’ su alcuni provvedimenti ben sapendo l’impossibilità di ottenere il via libera del Senato, tanto vale voltare pagina senza perdere troppo tempo ed energie come è stato fatto con la proposta, senza futuro, dell’innalzamento dell’età pensionabile. Alla fine Morrison ha annunciato l’ovvio, ma ha tolto all’opposizione qualche colpo in canna. Sarà interessante vedere ora come si muoverà sul terreno, sempre estremamente accidentato per i liberali e fertile per i laburisti, della sanità: sabato ha vinto l’asta sull’incremento del numero delle nuove macchine per la risonanza magnetica (MRI) in dotazione nei vari ospedali d’Australia. Shorten ha promesso 20 in più con costi di servizio totalmente assorbiti dal Medicare, Morrison ha rilanciato offrendo 30 in più, con una spesa preventivata di 175 milioni di dollari. Al momento in tutto il Paese ci sono in servizio 348 macchine MRI, ma per solo la metà i costi dei test sono interamente coperti dal Medicare, pertanto ci sono notevoli liste di attesa.
Toni decisi, ma meno aspri, azioni immediate su temi per ora facili, che sono riusciti però a spostare il dibattito politico, togliendo un po’ di spazio alle critiche di Shorten, che ha comunque messo sul tavolo la carta a basso costo, ma a buon impatto mediatico, dei diritti delle donne di non restare indietro sui versamenti della superannuation durante i periodi di maternità. Una buona idea e un’opportunità di insistere sui problemi che i liberali (e i partner minori della Coalizione sono della partita) sembrano avere sul fronte femminile. Morrison rifiuta i processi, ma le turbolenze interne, pur perdendo un po’ d’intensità, non sono sparite e hanno effetti anche all’esterno. Shorten lo sa e non abbandonerà la presa.