Ai punti ha vinto Turnbull anche la seconda settimana parlamentare del 2017: due round per il campione in carica, ancora a quota zero lo sfidante, Bill Shorten. Un buon risultato per il morale del governo, ma nessun miglioramento per quanto riguarda la possibile messa in pratica di qualche programma.

Un po’ tutti hanno puntato il dito su Nick Xenophon per aver bloccato sul nascere il progetto-tagli delle spese del welfare che il ministro del Tesoro, Scott Morrison, ha maldestramente abbinato al finanziamento dell’assicurazione sanitaria per i disabili (il National Disability Insurance Scheme lanciato dall’amministrazione Gillard e sostenuto a denti stretti da Tony Abbott, senza alcuna garanzia di poterlo sostenere a lungo termine). Ma questa volta il senatore del South Australia non si è limitato al ‘non ci sto’, ma ha proposto anche una ‘via d’uscita’: l’incremento della trattenuta sul Medicare, ma solo per gli australiani con un imponibile fiscale superiore ai 90mila dollari l’anno. Ha pasticciato un po’ aggiungendo le percentuali ‘variabili’ della soprattassa mano a mano che aumenta il reddito e il primo ministro, a sorpresa, ha lasciato la porta aperta alla ‘possibilità’.                           

Un’opzione in linea con lo spauracchio ‘tasse da aumentare’ lanciato dal ministro del Tesoro Scott Morrison, costretto poi ad un veloce aggiustamento di tiro per assicurare tutti che “è l’ultima cosa che un governo liberale intende fare”.

Contorsionismi in serie a dimostrazione di scarsa disciplina in fatto di comunicazione e, soprattutto, di un procedere a vista che non fa bene né per la salute del governo né per quella del paese. A complicare la vita, già sufficientemente complicata, dell’amministrazione federale ci ha pensato anche il rappresentante del seggio di Dawson (Queensland), George Christensen, con la sua lettera ‘mai spedita’ al primo ministro. Niente dimissioni come avevano scritto alcuni quotidiani, ma delle richieste - ha spiegato il diretto interessato (che evidentemente è anche colui che ha fatto arrivare la notizia su qualche scrivania) - in una missiva che aveva preparato, ma che non ha mai mandato al capo di governo, riguardante i coltivatori di canna da zucchero, un tema estremamente ‘caldo’ dalle sue parti, in un misto di responsabilità federali e statali. Ora tutti ne hanno parlato e il leader dei nazionali e vice primo ministro, Barnaby Joyce, è stato costretto ad intervenire offrendo dirette garanzie d’intervento a Christensen e di un’adeguata ‘protezione’  del  settore ai diretti interessati.

Il parlamentare LNP ha raggiunto quindi abilmente il suo obiettivo e, una volta di più,  ha assicurato di non avere alcuna intenzione di imitare Cory Bernardi, ma evidentemente quella di fare costantemente sapere della sua esistenza anche fuori dal suo elettorato (tentatissimo da One Nation) e di tenere costantemente il governo col fiato sospeso sta diventando la sua specializzazione.

Ma la vera novità della settimana appena trascorsa è il forzato aggiustamento di tiro dei laburisti sul futuro della produzione di energia elettrica con la doppia balbettante ‘performance’ di Bill Shorten in un’intervista radio sull’Abc e del ministro ombra del Tesoro, Chris Bowen, su Sky Tv. In ballo il programma elettorale dell’opposizione di affidare il 50 per cento dell’erogazione nazionale di energia a sole e vento entro il 2030, senza riuscire a spiegare i costi del traguardo prefissato, a carico degli australiani e del paese.

Il primo ministro, per la seconda volta in altrettante settimane, non si è lasciato sfuggire l’occasione di mettere alle corde agli avversari, in questo caso insistendo su spiegazioni che non sono arrivate che hanno notevolmente ridimensionato impegno e credibilità dei laburisti in materia.

Le promesse, infatti, sono diventate ‘aspirazioni’, i traguardi si sono tramutati in ‘speranze’ e la realtà di quello che si può e non si può fare ha preso il sopravvento. Questo naturalmente non vuol dire perdere di vista la necessità di continuare sulla strada della riduzione delle emissioni inquinanti nell’atmosfera e dello sviluppo delle energie alternative con i prezzi di produzione che indubbiamente stanno diminuendo e con la tecnologia al riguardo che sta continuamente migliorando, anche se non siamo ancora al punto, secondo gli esperti nel settore, di una completa affidabilità del servizio, specie in momenti di  grande domanda di energia. Per questo il governo insiste sulla necessità di un ‘mix’ di risorse che comprenda anche gas e ‘carbone pulito’.

Un passo indietro nel tempo? “Assolutamente no”, ha detto ieri in un’intervista televisiva il ministro dell’Ambiente e delle Risorse energetiche, Josh Frydenberg, anticipando una necessaria modifica del ‘mandato’  della Clean Energy Finance Corporation (CEFC) affinché possa finanziare anche impianti a carbone di nuova generazione, accettando il fatto che non si possono rispettare le vigenti linee guida che impongono il requisito di emissioni al di sotto del 50 per cento di quelle generate dalle centrali a carbone attualmente in funzione.

Il ministro ha insistito su una nuova linea del governo che, come ha sottolineato anche Turnbull, possa affrontare contemporaneamente tre sfide: il contenimento dei costi, l’affidabilità del servizio e la lotta ai cambiamenti climatici. Le promesse laburiste, ha fatto osservare Frydenberg, sono praticamente focalizzate solo sul terzo punto, ma la scorsa settimana la ‘resa’ è sembrata piuttosto evidente e ha permesso un ‘sorpasso’ , in fatto di obiettivi e credibilità,  del primo ministro su un tema che continuerà ad essere al centro del dibattito politico nazionale.

I laburisti conoscono bene limiti dellla CEFC (introdotta dal governo Gillard sotto dettatura dei verdi) e sanno anche che ci sono decine di migliaia di posti di lavoro e di voti a rischio legati alle garanzie di erogazione di corrente, oltre alla questione di un contenimento dei costi delle bollette.

E in questo clima di grandi incertezze, di massima mobilità del voto, di una competizione elettorale sempre più imperniata proprio sui ceti popolari, è severamente vietato distrarsi e non tenerne conto. I serbatoi tradizionali di voti sia in casa liberale che in quella laburista sono sempre più vuoti, il senso di appartenenza ad un partito non è stato mai così limitato. Turnbull e Shorten l’avranno sicuramente capito: One Nation non è un caso e non è certo una soluzione, ma un pericolo che non va sottovalutato per non dover fare la machiavellica fine, anche a livello federale,  di Colin Barnett, nel suo disperato tentativo di sopravvivenza alla guida del Western Australia.