L’Australia è grande e diversa. Anzi ci sono proprio due Australie che hanno immense difficoltà a coesistere dal punto di vista politico. Lo si sa da ‘sempre’ data l’esistenza del partito agrario già dal 1919, diventato nel 1982 ‘The Nationals’, partner minori della Coalizione e rappresentanti tradizionali delle aree rurali del Continente. In Queensland per semplificare ogni cosa si è passati addirittura ad una ‘fusione’ elettorale tra liberali e nazionali che si presentano sotto l’etichetta dell’LNP, pur mantenendo le proprie individualità in fatto di candidati sul vasto territorio.

Due Australie da sempre esistenti, ma che negli ultimi tempi stanno mettendo in evidenza differenze sempre più marcate che stanno facendo suonare campanelli d’allarme su entrambi i maggiori fronti politici. I laburisti l’hanno capito dal punto di vista pratico nel peggiore dei modi lo scorso maggio, poi ci hanno messo quasi sei mesi per teorizzare sull’accaduto, lasciando alla fine al ‘nuovo’ leader Anthony Albanese il duro compito di cercare di trovare le soluzioni per una strategia politica che tenga conto di questa ineludibile realtà: non si può fare la stessa campagna elettorale nelle grandi città e nelle aree regionali. Le differenze sono troppo evidenti di un’Australia minore che si sente poco ascoltata e poco rappresentata da un mondo politico che sembra non parlare la sua lingua e non capire le sue diverse esigenze, trascinato com’è, specie per quanto riguarda i laburisti, dalla sua anima ‘progressista’ che spesso si scontra con il naturale ‘conservatorismo’ di chi vive nelle aree rurali. Una sfida nella sfida il dialogo differenziato senza deludere qualcuno: non sono sicuramente passati inosservati i contorsionismi di Bill Shorten sull’ ‘Adani no’ di Northcote (Victoria) e seggi simili in giro per l’Australia e l’ ‘Adani forse’ che tentava di far circolare in Queensland.

Differenze di aspettative e priorità tra le due Australie che sono state evidenziate, una volta di più, in questi ultimi dieci giorni di incendi che hanno devastato vaste zone del New South Wales e che stanno ancora tenendo impegnati migliaia di vigili del fuoco soprattutto nel sud-est del Queensland. Roghi per giorni fuori controllo che sono stati ‘usati’ come arma extra per far divampare il dibattito nazionale sui cambiamenti climatici, mettendo in evidenza che non sono solo i laburisti a dover cercare soluzioni differenziate in fatto di narrativa politica, ma anche la Coalizione. E se Albanese ha un po’ di tempo a disposizione per tentare di ristabilire il dialogo con una parte dell’Australia che si sente dimenticata, il primo ministro Scott Morrison ha la responsabilità di mantenere fede agli impegni presi, solamente pochi mesi fa, che gli hanno permesso di tagliare per primo il filo del traguardo elettorale. Gli incendi non aiutano di certo il suo compito, anzi ora c’è il problema in più di dover rispondere con i fatti anche al messaggio, che può anche essere in parte fuorviante e opportunistico, ma che riflette lo stato d’animo e le paure di un gran numero di australiani sulla necessità di interventi più decisi sul fronte dei cambiamenti climatici. 

Morrison si ritroverà, infatti, una volta che l’emergenza incendi  rientrerà - almeno fino all’inevitabile prossima volta, che nei mesi estivi non sarà troppo lontana e coinvolgerà (come sempre) anche altri Stati -, a dover affrontare il tema del ‘da farsi’ in relazione ad un aggravamento di un problema che ha accompagnato l’Australia da sempre (siccità, ondate di calore) a causa dell’innalzamento della temperatura terrestre, con tutte le conseguenze planetarie legate al fenomeno. Il primo ministro si ritroverà quindi con il dilemma di dare qualche risposta extra non solo agli elettori, ma anche ai loro rappresentanti parlamentari che si sono portati a Canberra aspettative ed esigenze tutt’altro che uniformi. Non sono pochi i liberali, per esempio, che non sono d’accordo con i colleghi (non solo nazionali) che sulla questione del carbone non intendono indietreggiare di un passo e che chiedono anzi il rispetto degli impegni presi di mantenere i combustibili fossili nel mix delle risorse energetiche del Paese, perché sono alla base di un volume miliardario di export (Morrison in gennaio andrà in missione in India dove ci sono ancora 300 milioni di persone che vivono senza energia elettrica e che contano sul carbone australiano per migliorare il loro standard di vita), garantiscono migliaia di posti di lavoro in aree rurali e sono una parte essenziale di alcune industrie pesanti come alluminifici, acciaierie e cementifici. Lo ha fatto osservare il ministro delle Risorse Matt Canavan che ha messo in guardia il primo ministro da un cambiamento di linea per ciò che riguarda le promesse fatte agli elettori del Queensland, con la possibilità di aprire addirittura una nuova centrale a carbone a Collinsville.

Avvisi senza tanti giri di parole anche dei vertici dell’Alcoa per qualsiasi ripensamento energetico che potrebbe far chiudere le fonderie di Portland nel Victoria, Tomago nel New South Wales e Gladstone in Queensland, come riportato sabato scorso dal quotidiano nazionale ‘The Australian’. Attenzione all’effetto domino è il messaggio che arriva dal fronte delle industrie pesanti (ed inquinanti) alle prese con la realtà delle risposte da dare al problema dei cambiamenti climatici che nesssun governo può ignorare. Morrison non cambierà gli obiettivi fissati a Parigi per quanto riguarda questo mandato, ma indubbiamente le pressioni ‘popolari’ e interne aumenteranno quando ci sarà da formulare la piattaforma elettorale per il 2022.

Sul fronte dell’opposizione, con Albanese in prudente fase di rielaborazione dei programmi, è sempre il ministro ombra per le Risorse e l’Agricoltura Joel Fitzgibbon a farsi portavoce del dilemma in cui si trovano anche i laburisti in campo energetico. Nonostante le bacchettate ricevute ‘in famiglia’ dal ministro ombra per l’Energia e i Cambiamenti climatici Mark Butler, ha ribadito la necessità di rivedere gli obiettivi per ciò che riguarda il taglio delle emissioni rispetto alle eccessive aspirazioni di Shorten e si è detto convinto che l’emergenza incendi di questi giorni non inciderà più di tanto sulle posizioni degli australiani in merito: in altre parole gli scettici rimarranno scettici, gli attivisti continueranno le loro proteste alzando di qualche decibel gli allarmismi e governo e opposizione continueranno ad essere tormentati dalla necessità di trovare le giuste misure per non dare l’impressione di non sentire, ma di avere allo stesso tempo abbastanza convinzioni e senso pratico da prendere decisioni nell’interesse di tutti, evitando quanto più possibile divisioni e malumori interni. Compito non facile perché le due Australie esistono anche nella loro rappresentanza a Canberra.