Chiusi i lavori parlamentari per questo politicamente incandescente 2018. Chiusi con controverse decisioni al fotofinish e chiari segnali su quelli che saranno i temi portanti della campagna del prossimo anno, che potrebbe però arricchirsi di un altro paio di motivi di scontro.
Nonostante l’assenza del dibattito in aula, infatti, prima di Natale Scott Morrison giocherà ancora tre carte elettoralmente importanti, due estremamente rischiose. La prima riguarda la decisione sul trasloco o meno dell’ambasciata in Israele. Il primo ministro, nel tentativo di spostare qualche voto a Wentworth è andato a cercarsi una grana di straordinarie proporzioni perché, indipendentemente da quello che si prepara ad annunciare, farà inevitabilmente qualcuno scontento. Se deciderà di ufficializzare lo spostamento della sede diplomatica da Tel Aviv a Gerusalemme scatenerà critiche non solo interne, con possibili immediate conseguenze pratiche per ciò che riguarda i rapporti commerciali con l’Indonesia. Se sceglierà la strada del mantenimento degli attuali equilibri diplomatici riaprirà un nuovo fronte di scontro interno tra le due anime super inquiete del suo partito. Impossibile uscirne indenne.
La seconda carta riguarda un’altra promessa scomoda: quella di rispondere ufficialmente al rapporto Ruddock sulla protezione della libertà di religione. Una ‘patata bollente’ in questo caso ereditata. Un rapporto completato lo scorso maggio che è stato tenuto il più possibile lontano da occhi indiscreti, ma se il dibattito che si è aperto solo svelando qualche anticipazione sulla presunta discriminazione nei confronti di studenti e insegnanti omosessuali nelle scuole di ispirazione religiosa è un’indicazione dell’aria che tira, non sarà facile per il governo trovare le giuste misure su diritti e difesa di alcuni principi e valori legati a religione e istruzione senza scatenare polemiche.
La terza carta, che sarà messa sul tavolo lunedì 17 dicembre, è l’asso del bilancio di metà anno, sicuramente vincente. L’economia che viaggia al 2,8 per cento, un livello di crescita inferiore, nel mondo industrializzato, solo a quello degli Usa, un tasso di disoccupazione sceso al 5,1 per cento, un ritorno in attivo di gestione con un anno in anticipo: un perfetto trampolino di lancio per la campagna che verrà.
Tre carte sulle quali meditare, durante la tregua estiva, prima della ripresa (forse) di una mini-sessione parlamentare, in calendario a partire dal 14 febbraio, se si deciderà di arrivare effettivamente fino a maggio, nella seconda campagna più lunga di un governo alle corde. Solo Julia Gillard, un po’ nelle stesse condizioni di Morrison per quanto riguarda credibilità personale, sondaggi e governo di minoranza, ci aveva regalato qualche mese in più di sofferenza, annunciando a gennaio del 2013 che le elezioni si sarebbero tenute in settembre: nove mesi di tentativi di ritrovare la rotta, di guidare invece di inseguire, di recuperare terreno per evitare un ‘massacro’ che è stato meno ‘sanguinoso’ del previsto solo grazie al ritorno in extremis di Kevin Rudd.
Probabilmente per questo Morrison, giovedì scorso, prima di chiudere la porta del Parlamento per il 2018, ha fatto ricorso allo spauracchio di sempre in caso di emergenza: “I laburisti abbasseranno la guardia sul fronte dell’immigrazione e della sicurezza”. Ritorna insomma la strategia della paura, del dubbio, del “di chi vi fidate quando si parla di proteggere i confini?” Una specie di ‘Tampa 2’ (il mercantile norvegese carico di aspiranti profughi ai quali John Howard negò lo sbarco in Australia, in uno storico braccio di ferro che gli permise di vincere in extremis le elezioni del 2001) già c’è: è ‘ancorato’ a Nauru, con quei mille uomini e dieci bambini che l’indipendente Kerryn Phelps, spalleggiata da verdi e laburisti, vorrebbe poter portare per motivi medici e umanitari in Australia. Il governo, in minoranza, ha aggirato l’imbarazzo del voto sfavorevole in aula ricorrendo alla melina parlamentare per arrivare al triplice fischio di chiusura della partita con un nulla di fatto. Tutto rimandato a febbraio, con congresso laburista che, fra una settimana, metterà in evidenza quello su cui Morrison punta: le divisioni che esistono all’interno dell’Alp sulla questione dei rifugiati e della sicurezza dei confini (la sinistra del partito vorrebbe anche la fine dei respingimenti) che gli permetteranno di insistere sulla teoria del ‘Shorten come Rudd, promette una cosa ma intende farne un’altra’.
Sarà questo, oltre all’economia naturalmente, il grande tema di separazione del 2019, come lo è stato nel 2001 e nel 2013 quando verità e opportunismo, a dosi variabili a seconda dell’occorrenza, hanno creato un mix letale per i laburisti, che ora leggono ogni piccolo segnale come una tattica spregiudicata di una Coalizione disposta a tutto. “Stanno perfino riducendo le spese sul fronte della sorveglianza in mare sperando che qualche barca di disperati riesca a raggiungere le coste australiane”, ha affermato un allarmato parlamentare dell’opposizione. Ma Shorten, che in fatto di strategia politica indubbiamente ci sa fare, sa che non può correre rischi, che l’opinione pubblica chiede fermezza e, all’ultimo istante, prima del ‘chiuso per ferie’ del Parlamento, ha accettato di concedere nuovi poteri alla polizia e all’intelligence di poter entrare in qualsiasi stanza del privato criptato. Ha detto sorprendentemente sì al controverso disegno di legge che chiede ai big della tecnologia di fornire alle forze dell’ordine e alle agenzie di sicurezza l’accesso alle comunicazioni crittografate per prevenire possibili azioni terroristiche.
“Un attentato durante le festività a causa di un no dell’opposizione a un ulteriore invasione della privacy di ogni cittadino sarebbe stato usato per attaccare la credibilità dei laburisti sul fronte della sicurezza”, ha spiegato Shorten, che ha dato il suo via libera ottenendo la promessa di una revisione del provvedimento alla ripresa dei lavori parlamentari. La meta è all’orizzonte e non si concede nulla all’avversario. Severamente vietato commettere errori proprio in dirittura di arrivo. Ha dalla sua parte cinque anni di stabilità, una squadra unita, un tutto sommato accettabile programma fiscale, un piano energetico che la Coalizione decisamente non ha dopo avere rinunciato al Neg e ha mostrato, attraverso varie suppletive e le statali del Victoria, di avere trovato le contromisure per andare a riprendersi più di qualche voto in casa dei verdi.
Facendo brevemente il punto sull’anno che sta per chiudersi, Shorten ha dipinto perfettamente il quadro della situazione: “Il Partito laburista ha avuto un anno positivo. Abbiamo dimostrato di essere un’opposizione dura, ma non distruttiva e di essere soprattutto una credibile alternativa di governo”. Morrison ha poco tempo per convincere gli elettori del contrario. La paura non basta.