In un elettorato ultra-sensibile a bandiere, tradizioni e confini da difendere, l’idea di alzare ulteriormente la barra delle difficoltà per diventare cittadini di questo Paese non può che piacere. Quindi non solo conoscenza dell’inglese a livelli che neanche molti australiani d.o.c. si potrebbero permettere, ma anche test sui ‘valori’ da inserire in una prova sempre più ostica. Il populismo funziona? E allora scende in campo anche Turnbull che improvvisamente si occupa di pedofilia e chiesa e si rivolge direttamente al Papa affinché prenda provvedimenti nei confronti dell’arcivescovo di Adelaide, Phillip Wilson, che non si vuole dimettere dall’incarico dopo essere stato condannato per aver tenuto segreti abusi sessuali su minori compiuti da un sacerdote. 

Intervento inaspettato, con sicuro eco internazionale, per un primo ministro, ma tutto aiuta quando si fa campagna: ad Adelaide poi c’è da dare una mano a Georgina Downer, che sembra essere in evidenti difficoltà nel seggio di Mayo. L’idea della dinastia (suo padre Alexander Downer è stato per 24 anni il rappresentante incontrastato del seggio che oggi è un po’ meno monoculturale ed esclusivo) non sembra avere trovato molte simpatie in un collegio dove l’ex NXT, ora Centre Alliance, Rebekha Sharkie si è fatta il suo seguito personalissimo grazie ad un gran lavoro di comunicazione diretta con gli elettori. L’avvocato  Downer, che è effettivamente cresciuta nel seggio in questione, si è poi trasferita a Melbourne dove aveva anche cercato una candidatura, che l’avrebbe portata in carrozza a Canberra, nel collegio di Goldstein, lasciato vacante nel 2016 dall’ex ministro Andrew Robb. Il partito le ha preferito Tim Wilson e, appena si è presentata la possibilità di Mayo, ecco il ‘ritorno a casa’ che gli elettori non sembrano aver gradito al punto che gli strateghi liberali stanno già parlando di un traguardo da raggiungere in due fasi: recupero voti persi nel 2016 sabato prossimo e conquista del seggio rinviata alle elezioni ‘vere’ del prossimo anno.

Con Mayo quasi già archiviato e la formalità della difesa scontata da parte dei laburisti dei seggi di Fremantle e Perth (da vedere solo quanti voti andranno invece che ai candidati Alp a verdi e indipendenti vari) battaglia vera ed estremamente aperta ad ogni risultato a Braddon (Tasmania) e Longman. Battaglia ed esito che permetteranno di dare qualche indicazione precisa su quello che pensano gli elettori non solo dei diretti contendenti nei due collegi, ma anche dei programmi in generale dei due maggiori partiti, che hanno investito tempo e risorse in questa ricerca sul campo. Ovviamente più si avvicina il giorno del test e più si cerca di mettere tutto nella giusta prospettiva: importante sì, ma pur sempre una prova suppletiva con forti componenti locali dicono quasi in coro Turnbull e Shorten. Meglio, insomma, essere anche pronti al peggio: a Braddon i liberali sperano forte di riconquistare un seggio che, dal 1998, non è mai rimasto più di due stagioni elettorali nelle mani dello stesso partito e, poiché gli ultimi sondaggi li vedono in svantaggio, ricorrono alla storia per ricordare che nessun governo è riuscito a strappare un seggio all’opposizione in una prova suppletiva dal 1920. I laburisti invece hanno già cominciato a parlare di possibili effetti statali, ricordando che il partito è uscito sconfitto dalla prova elettorale del marzo scorso, soprattutto a causa di una vigorosa ed impopolare presa di posizione anti-pokies che potrebbe non essere stata del tutto ‘dimenticata’ dall’elettorato di Braddon.

In Queensland la Coalizione teme le ripercussioni della leggerezza dimostrata da Ruthenberg con quelle medaglie non sue in bella evidenza (su giacca e curriculum): qualche volta le scuse non bastano e gli elettori di Longman potrebbero anche essere disposti a perdonare più facilmente la doppia cittadinanza non dichiarata di Susan Lamb che i falsi riconoscimenti militari del candidato LNP. Sul fronte laburista scuse pronte per un eventuale sconfitta propiziata dal ‘doppio gioco’ di One Nation che, secondo i sondaggi, ha effettivamente in mano la situazione. Le preferenze del partito di Pauline Hanson saranno decisive, sostengono i laburisti che insistono: “Un voto per One Nation è un voto per Turnbull”.

Grandi manovre quindi ormai in tutto il Continente con le urne statali (in novembre tocca al Victoria, in marzo al New South Wales) e federali in bella vista (le suppletive di sabato prossimo sono ritenute un po’ le prove generali per la sfida nazionale che si terrà probabilmente in maggio del 2019) e un dibattito che sta aumentando di intensità, e che diventerà sempre più rumoroso in ogni seggio d’Australia, sui numeri dell’immigrazione e un piano di sviluppo demografico che il governo Turnbull sta preparando e che dovrebbe essere presentato entro la fine dell’anno.

Il traguardo che sarà raggiunto a breve, con circa dieci anni di anticipo sui tempi indicati dagli esperti dell’Onu e dell’Ufficio di statistica australiano, di una popolazione di 25 milioni di abitanti deve per forza far riflettere e progettare il futuro. Tagli del numero di arrivi (Abbott lo scorso febbraio aveva suggerito addirittura 80mila ingressi in meno che, secondo il ministro del Tesoro Scott Morrison, costerebbero all’Australia, nell’arco di quattro anni, qualcosa come 5 miliardi di dollari), insediamenti ‘guidati’ nelle aree regionali, coordinamento con gli Stati per offrire un piano di sviluppo infrastrutturale legato a chiari obiettivi di crescita demografica, specie per alcune aree del Paese che sarebbero ben liete di accogliere un maggior numero di immigrati come il South Australia, il Northern Territory e il Nord del Queensland.  Un dibattito necessario che dovrebbe andare al di là di qualche vantaggio elettorale a breve termine: sperare si può, ma è meglio non illudersi più di tanto.