Nessun dramma, ma un altro campanello d’allarme e qualche imbarazzo extra. Il governo, per la seconda volta in appena dieci giorni di sedute parlamentari dopo le elezioni del 2 luglio, ha ‘perso’ il controllo dell’Aula con i laburisti che, in questa occasione, lo hanno addirittura ‘costretto’ a votare per un loro emendamento che, di fatto, criticava l’operato del governo stesso. 

Una clamorosa disattenzione del ministro dell’Erario e dei Servizi finanziari, Kelly O’Dwyer che non è proprio alle prime armi. Intervento d’emergenza del presidente della Camera pronto a ‘correggere’ la procedura parlamentare, Christopher Pyne costretto invece a cospargersi il capo di cenere per spiegare l’accaduto e chiedere venia, laburisti in ‘estasi’ e Malcolm Turnbull, a denti stretti, che non ha potuto fare altro che cercare di minimizzare l’accaduto ricorrendo a felici, in questo caso, considerazioni sul ‘lasciamoli divertire dato che sui banchi dell’opposizione i momenti di soddisfazione sono piuttosto rari”.

Per O’Dwyer l’occasione per redimersi, a 24 ore di distanza, mancata per incredibile superficialità.

Un’opportunità mancata a causa della scarsa conoscenza della legge al centro dell’umiliazione del giorno precedente, con rifiuto di dare spiegazioni al riguardo per evidente impossibilità di farlo, e il primo ministro che indubbiamente ha preso nota. Considerando che la pausa natalizia che si avvicina è tradizionalmente tempo di riflessioni e possibili rimpasti, la rappresentante di Higgins (l’ex seggio di Peter Costello) almeno un po’ preoccupata per il suo futuro dovrebbe essere. Come George Brandis nel suo ruolo di ministro della Giustizia in lotta con quello che dovrebbe essere uno dei suoi collaboratori più stretti, Justin Gleeson, come lo stesso Pyne, capogruppo liberale alla Camera, che nella scorsa sessione parlamentare aveva lasciato andare a casa i colleghi prima del triplice fischio finale della settimana lavorativa mandando ‘sotto’ il governo in un voto al fotofinish. Niente di catastrofico, scaramucce, ma sensazioni che qualcosa non funziona come dovrebbe in casa liberale.

Con una maggioranza che più minima non si può, i riflettori sono costantemente puntati su una squadra che non sembra avere perfettamente capito la sua situazione di estrema precarietà. Si può sbagliare, ma ripetere l’errore diventa pericoloso, perché si cominciano ad alimentare dubbi su attenzione e competenza. E’ successo all’amministrazione Gillard di partire col piede sbagliato e di portarsi dietro una presunta incapacità di ‘controllare’ il dibattito parlamentare che è entrata nella psiche popolare. A nulla sono valsi i tentativi dell’ex primo ministro, con dati alla mano, di dimostrare l’efficacia del suo governo di minoranza dal punto di vista dei provvedimenti varati. Più di qualsiasi altro esecutivo. Eppure le sensazioni di paralisi, di caos, di debolezza decisionale, dovuta al necessario ricorso ad un dialogo costante con i verdi e i tre indipendenti che hanno sostenuto un governo nato debole e diviso dal clamoroso pareggio alle urne del 2010, non sono mai venute meno. ‘Merito’ ovviamente della tambureggiante campagna di Tony Abbott, implacabile nella sua ripetitività su ‘incompetenza, scarsa affidabilità e autorità, dipendenza’. E’ arrivato susseguentemente alla Lodge con la palma del più efficace leader dell’opposizione di ogni tempo per la sua tattica demolitrice, titolo che Bill Shorten sembra intenzionato a contendergli confermando la strategia del ‘no’ prima di intavolare qualsiasi tipo di discorso. Un ‘no’ però, almeno in qualche caso, ‘trattabile’ dato che ha permesso a Turnbull di vantare qualche successo nei suoi poco più di cento giorni di mandato: un minimo passo avanti nell’operazione rientro del budget con tagli di spesa di circa sette miliardi, la mini-riforma sulle agevolazioni tributarie sui fondi pensioni, il via libera (la scorsa settimana) a minimi sgravi fiscali per gli ‘over 80mila’ di reddito, penalizzati negli automatismi del passaggio di fascia di tassazione, e l’intervento ‘elettorale’ concretizzato, ma in questo caso ovviamente senza l’aiuto laburista, a favore dei vigili del fuoco ‘volontari’ contro l’autorità sindacale. Provvedimento che riguarda quasi esclusivamente il Victoria, annunciato durante la campagna federale quando non si guarda in faccia nessuno per racimolare qualche voto extra.

Shorten e la sua squadra invece continuano a ‘cantare vittoria’ sul plebiscito sui matrimoni gay: quando si arriverà al dunque nel Senato, il ‘no’ super-pubblicizzato - con tanto di coreografia per telecamere e obiettivi di felici coppie di persone dello stesso sesso, con bambini sorridenti e ben curati, che ‘chiedono’ di non mettere a rischio la loro serenità con un inutile test popolare sulla ‘parità di diritti’ al matrimonio -, dovrebbe diventare realtà a tutti gli effetti. A quel punto si dovrebbe aprire la fase ‘due’ di un progetto che mira soprattutto a danneggiare, quanto più possibile la credibilità, del primo ministro ‘costretto’ a far sua un’iniziativa nella quale non crede: no al plebiscito e spinta per il voto subito con qualsiasi ‘alleato’.   Il leader dell’opposizione ha impugnato la ‘causa’ dei matrimoni gay facendola diventare una questione di esagerata portata mediatica, al punto che ci potrebbero esserci rischi di ‘saturazione’ sul tema, con perdite di interesse generale e qualche sospetto di opportunismo fuori controllo.

Percezioni più importanti dei fatti anche nelle elezioni, tenutesi sabato, nel Territorio della Capitale: vittoria laburista, con l’aiutino (due seggi) dei verdi. Anche se la Commissione elettorale frena gli entusiasmi tirando in ballo i soliti voti postali, sembra che il governo di Andrew Barr si aggiudicherà 12 dei 25 seggi in palio che, con i due messi a disposizione da Shane Rattenbury e Caroline Le Courteur (verdi), lasceranno i liberali all’opposizione per un record di cinque mandati consecutivi.  Elezioni ‘localissime’ quelle dell’ACT, con più del trenta per cento degli elettori che lavorano nell’amministrazione pubblica, altamente sindacalizzata con ‘benefici’ di contratto (salari e fondi pensione) ben al di sopra della media nazionale, grazie ad una generosità pagata da tutti i contribuenti australiani. Benessere diffuso, programmi paralleli, una linea di tram di circa 12 chilometri (da Gungahlin al centro) grande ‘divisore’ tra i due schieramenti: i laburisti l’hanno promessa, il leader dell’opposizione Jeremy Hanson aveva offerto, a prezzo ridotto, un servizio di autobus assicurando che, in stile Andrews nel Victoria con l’East-West Link, avrebbe strappato i contratti già firmati per la realizzazione del progetto, che riceverà anche fondi federali. Forse anche per questo Barr potrà rimanere al suo posto per altri quattro anni in una città perfetta, data la sua ‘distanza’ dalla vita del resto del Paese, per ospitare il mondo, spesso lontano dalla realtà, della politica federale.