Il primo ministro Malcolm Turnbull ha parlato con sincero dolore del dramma della famiglia del piccolo Julian Cadman (manca solo la conferma ufficiale, ma sembra che il bambino australiano di sette anni che per un paio di giorni era dato per ‘disperso’ abbia perso la vita nell’attentato di giovedì scorso a Barcellona) e di tutte le vittime di quel furgone che ha travolto a pazza velocità decine di persone sulla Rambla, la popolare ‘passeggiata’ nel cuore della città catalana. Poche ore dopo un altro attacco con un auto-killer e un’altra vittima sul lungomare di Cambrils, cinque terroristi uccisi dalla polizia, quindi la ricostruzione di un’esplosione la sera precedente ad Alcanar, che ha evitato quello che poteva diventare una specie di 11 settembre europeo. Si scopre, infatti, che l’obiettivo dei terroristi era addirittura quello di far esplodere la Sagrada Familia. Turnbull in maniera ferma e diretta ha parlato del pericolo costante del fanatismo islamico E, ieri, ha presentato una specie di ‘guida’ per minimizzare il rischio di attentati in luoghi di grande affollamento di persone.
Un piccolo manuale, commissionato subito dopo la strage di Nizza dello scorso anno, ribadendo l’idea delle protezioni in cemento, come quelle già installate nelle maggiori città australiane in prossimità di aree pedonali, centri commerciali, stadi oltre che telecamere a circuito chiuso e vari tipi di ‘ostacoli’ per cercare di evitare tragedie come per l’appunto a Nizza, a Berlino, a Londra ed ora a Barcellona. L’auto sulla folla, una nuova arma del terrore, un tema sul quale il primo ministro non ha intenzione di fare il minimo passo indietro: la sicurezza nazionale va ‘difesa e rafforzata’, ha detto, ribadendo l’importanza della piena collaborazione con la comunità direttamente interessata, quella di religione islamica. Unendosi quindi alla risposta spontaneamente indignata che il ministro della Giustizia George Brandis ha dato alla provocazione di Pauline Hanson, presentatasi in aula giovedì scorso con il burqa per ‘aprire un dibattito a favore del suo divieto, almeno in alcune circostanze ed ambienti, qui in Australia.
Turnbull, come un po’ tutti del resto, è apparso ‘provato’ dall’ennesima strage provocata dalla pazzia fondamentalista e, nel suo caso, anche da una settimana politica di autentica passione per il suo governo. Una settimana in cui a Canberra, mettendo a dura prova la credibilità di tutti gli ‘attori’ federali, è andata in scena una incredibile farsa politica. E ci vorranno ancora alcuni giorni per capire se dalla farsa si passerà alla ‘tragedia’ per l’esecutivo, quando l’Alta Corte si pronuncerà a favore o contro l’imputato numero uno, per ‘importanza’ di ruolo e per la sopravvivenza del governo, il vice primo ministro e leader dei nazionali Barnaby Joyce.
La farsa per la verità è continuata anche fuori dal palazzo, con l’annuncio della rappresentante del Nick Xenophon Team, Rebekha Sharkie, che non avrebbe più appoggiato l’attuale amministrazione, data l’incoerente decisione (dopo l’invio sui ‘backbenches’ per lo stesso motivo della doppia cittadinanza dell’ex ministro delle Risorse e per il Northern Territory Matthew Canavan) di mantenere Joyce nell’incarico di vice leader del governo, oltre che di ministro dell’Agricoltura. Poche ore dopo, non lei ma il suo ‘capo’, il senatore Nick Xenophon (fresco aggregato alla squadra di parlamentari in attesa del verdetto dell’Alta Corte - servizio a pag. 12) ha corretto il tiro assicurando il tutto come prima per la ‘sua’ deputata. Appoggio immutato alla Coalizione. Le cose però potrebbero cambiare drasticamente in caso di ‘condanna’ del tribunale per il ministro (Joyce) con cittadinanza anche neozelandese (almeno fino alla rinuncia di qualche giorno fa) e ricorso alle elezioni anticipate per il seggio di New England per il rientro in Parlamento. Sharkie in quel caso, con l’autorizzazione di Xenophon, potrebbe fare quello che voleva fare, allineandosi con Bob Katter che ha già preannunciato una sua presa di distanze dalla squadra Turnbull nel caso Joyce venga ritenuto un ‘abusivo’ per ciò che riguarda la sua presenza in Parlamento e all’indipendente della Tasmania Andrew Wilkie.
Il governo durante la campagna per New England, che il leader dei nazionali dovrebbe riconquistare senza troppi patemi d’animo nonostante la nuova sfida di Tony Windsor, potrebbe ritrovarsi a dover dipendere interamente da Cathy McGowan che si è sempre schierata dalla parte della Coalizione ma che, sabato, facendo venire i sudori freddi ai liberali, si è riservata il “diritto di cambiare idea” in relazione alla decisione della Corte. Tutti col fiato sospeso quindi finché i giudici non si pronunceranno in materia ‘costituzionale’, ma tutto che non potrà mai più essere come prima dopo quello che è successo, sta succedendo e potrebbe ancora succedere continuando a rovistare nel passato di ogni singolo parlamentare e delle loro famiglie in fatto di ‘diritti’ ereditari della cittadinanza di qualche Paese (GB e NZ in particolare) e un possibile mancato controllo della propria situazione, pre-candidatura, da parte dei diretti interessati.
I laburisti assicurano di avere le carte in regola, ma si rifiutano di mostrare le prove per almeno un paio dei loro rappresentanti parlamentari, Xenophon si è autodenunciato all’Alta Corte, come ‘vittima’ di insospettabili, fino a qualche giorno fa, intrecci storici. Ma le regole, indubbiamente da cambiare non come principio ma come automatismi, previste della Costituzione non lasciano dubbi: per entrare a far parte del Parlamento federale bisogna essere australiani e solo australiani quindi la parola d’ordine è accertarsi della propria situazione prima di alzare la mano. L’ignoranza, come ben sappiamo, per ciò che riguarda la legge non è ammessa. Sono proprio i ‘federali’ a dirlo costantemente ai cittadini quando si parla di tasse, di sussidi, di ‘diritti’ e ‘doveri’.
Indice puntato soprattutto sui nazionali: tre i rappresentanti in bilico, a dimostrazione di un alto grado di superficialità per ciò che concerne il processo di selezione dei candidati. L’eventuale perdita di due senatori sarebbe un male ‘contenibile’, dato l’automatico ricambio all’interno dello stesso partito, ma la situazione di Joyce è esplosiva, specie se comincia a vacillare il fronte degli indipendenti o rappresentanti di partiti minori.
Bill Shorten ovviamente non può che compiacersi per il caos che regna tra le file della Coalizione con la farsa della cittadinanza ‘aggravata’ dalle assurde accuse lanciate nei suoi confronti da Turnbull e Bishop di ‘alto tradimento’ in seguito ad un presunto complotto con i laburisti della Nuova Zelanda per far cadere il governo e la dubbia scelta del primo ministro di portare in Aula un tema da ‘consiglio comunale’ (l’abolizione dell’Australia Day da parte del comune di Yarra, a Melbourne): “il tutto - ha detto il leader dell’opposizione sfruttando l’attimo favorevole - mentre le famiglie australiane sono stravolte da astronomiche bollette energetiche, i giovani sono tagliati fuori (a causa dei prezzi fuori portata dei corsi) dalle università e sono completamente esclusi dal mercato immobiliare”.
Opportunismo? Sì, ma le opportunità offerte da Turnbull e la sua squadra sono troppo ghiotte per lasciarsele sfuggire.