CANBERRA -   Che sia davvero un segno del destino? Di una positiva svolta per il loro futuro? Se lo augurano sicuramente sia Malcolm Turnbull sia Matteo Renzi (in vista del referendum costituzionale di novembre o dicembre) e anche Theresa May, nuovo primo ministro britannico con il compito di guidare il paese nel tortuoso cammino della ‘brexit’. L’episodio che accumuna i leader di tre importanti nazioni come Australia, Italia e Gran Bretagna è stato raccontato dal corrispondente politico del quotidiano The Australian, David Crowe, ed è accaduto nella seconda giornata del vertice dei G20 a Hangzhou. Turnbull, Renzi e la May stavano conversando, durante una gita serale in barca, organizzata dal presidente cinese Xi Jinping sul famoso West Lake per ammirare i fuochi d’artificio, quando una carpa è saltata fuori d’acqua finendo tra i piedi dei tre illustri ospiti.

Renzi, racconta il giornalista del ‘The Australian’, con riflessi e stile degni di un ottimo calciatore, ha prontamente ‘rinviato’, a mo’ di pallonetto oltre la falchetta della barca, il pesce nell’acqua (‘The Indipendent’ conferma il calcio con stile, ma ci aggiunge un gambe all’aria del presidente del Consiglio scivolato sul ponte bagnato). L’accompagnatore cinese ha comunque assicurato che questo “regalo” del lago è un inequivocabile segno della fortuna per futuri successi, cosa di cui tutti tre i leader in questione hanno disperato bisogno. E Turnbull magari comincia a crederci davvero, dato che tre giorni dopo, mentre era impegnato nel secondo dei vertici che l’hanno tenuto fuori dall’Australia per un’intera settimana, quello dell’Asean nel Laos, è arrivata la notizia della resa del senatore laburista Sam Dastyari. Dimissioni d’obbligo dopo la paurosa serie di errori commessi accettando la ‘generosità’ di alcuni uomini d’affari cinesi più o meno sollecitata con ombre di possibili debiti di riconoscenza, ovviamente sempre negati dal diretto interessato. Mille scuse, imbarazzo in crescendo e poi il tardivo getto della spugna. Una figuraccia anche per il leader dell’opposizione Bill Shorten che, come Tony Abbott nel caso Bishop (Bronwyn), ha perso l’occasione di mostrare decisione e autorità, cercando inutilmente di evitare l’inevitabile. Difesa ad oltranza del giovane ministro ombra, inutili giorni extra di trincea e punti-credibilità persi per strada.

Le dimissioni di Dastyari hanno permesso a Turnbull e alla Coalizione di riprendere fiato e interrompere l’assedio laburista, iniziato fin dal primo giorno di lavori parlamentari nel dopo elezioni. Non solo infatti c’è un certo imbarazzo nelle file dell’opposizione per gli “errori” di valutazione del senatore, ma ci sarà anche un inevitabile indebolimento della campagna per l’introduzione di una Commissione reale d’inchiesta sulle banche, dato che era proprio Dastyari il principale ideatore e portavoce della campagna contro ‘corruzione’, ‘abusi’ e ‘irregolarità’ nel sistema finanziario del paese. Ora, con il ‘leader dell’indignazione’ colto, bene o male, con le mani in pasta, diventerà pù difficile parlare di trasparenza, di comportamenti scorretti, di interessi privati che hanno il sopravvento su quelli della gente comune.

Turnbull ha vissuto una settimana sicuramente positiva all’estero, dopo quella da dimenticare tra le mura ‘domestiche’ che ha fatto presagire il peggio già a breve termine per lui e il governo. Ora però sarà interessante vedere se si è trattato davvero di un nuovo inizio o se, una volta spenti i riflettori internazionali, il capo di governo ritornerà a procedere fra mille difficoltà, inseguendo invece di dettare i temi e i tempi del dibattito politico. Si ritorna infatti in Parlamento per la seconda settimana di lavori e un po’ tutti si attendono, dopo un anno (mercoledì l’anniversario)sul ponte di comando, qualche fatto concreto. Ormai non sono solo gli elettori a domandarsi se Turnbull abbia effettivamente la stoffa del leader e la Coalizione qualche vera idea che vada un po’ più in là di quella timida promessa di riduzione delle imposte per le piccole aziende e di circa sei miliardi e mezzo di dollari di tagli di spesa (alcuni che risalgono al primo bilancio di Joe Hockey), che devono ancora passare il test del Senato.

Prendendo in mano il partito e il Paese, a metà settembre dello scorso anno, Turnbull aveva dichiarato: “Dobbiamo diventare più produttivi così da poter mantenere alti i nostri standard di vita, … alti i nostri stipendi, generosa la nostra rete di welfare e solida la nostra economia”. E pochi giorni dopo il giuramento, il primo ministro aveva continuato sulla linea dell’entusiasmo, dicendo: “Per fare tutto quello” che è necessario fare “dovremo apportare svariate riforme, ci sarà bisogno di una leadership forte, di tanta fiducia, tanto ottimismo, tanta innovazione”. Dodici mesi dopo, con in mezzo un’elezione  e una striminzita riconferma, potrebbe tranquillamente ripetere esattamente le stesse cose perchè non è successo praticamente niente di quello che era stato annunciato: non ci sono state riforme, la fiducia e l’ottimismo scarseggiano, l’economia è tutto meno che solida (anche se il quarto di secolo di continua crescita, confermato qualche giorno fa, non può che far piacere), il tenore generale di vita sta scendendo, di innovazione si è parlato molto ma fatto ben poco e in quanto alla leadership forte i dubbi sono giustificati.

Perplesso per la piega che hanno preso le cose all’interno del governo l’ex ministro del Tesoro Peter Costello che, in un suo intervento al Menzies Research Centre, ha detto che “il Partito liberale deve decidere cosa intende inseguire e conseguire nei prossimi dieci anni”. “Quali sono le sue motivazioni” e, se ci sono, “spiegarle al pubblico”. “Perché - ha continuato l’ex braccio destro di Howard - prima che gli elettori prendano la medicina sul fronte delle spese, delle tasse o di qualsiasi altro provvedimeneo” bisogna spiegare loro che “c’è una malattia da curare, dalla quale si può guarire”.

Stessa perplessità, per quanto riguarda l’immobilismo del governo, è stata sollevata dal governatore uscente della Banca centrale, Glenn Stevens, che si è detto incredulo della mancata capacità dei politici di affrontare il tema delle riforme. “Se non avviamo questo dibattito, perché non lo consideriamo importante, ci stiamo prendendo in giro da soli”, ha affermato. Continuando poi, sostenendo che magari lo si farà “solo quando ci sarà un inevitabile momento di crisi”, ma sarebbe il caso di farlo “da subito” per prevenire la crisi stessa.

Turnbull non è certamente uno sprovveduto e sa esattamente dove bisognerebbe intervenire. L’ha spiegato lui stesso un anno fa, quando ha entusiasticamente parlato di una nuova leadership, di riforme, di maturità degli elettori, di fiducia e ottimismo: gli australiani avevano tutta l’intenzione di starci, di lasciarsi convincere e lo scorso 2 luglio hanno dimostrato di essere ancora propensi a farlo, di avere ancora un’esilissima speranza che il primo ministro, che hanno appena riconfermato a denti stretti, sia almeno un po’ la persona che si aspettavano, quella con le idee, col coraggio di spiegarle e portarle avanti, con una visione per il futuro. A questo punto speriamo davvero che la carpa porti fortuna.