Prevedibilità e stabilità. Il primo ministro Scott Morrison non si nasconde. Lo dice e lo pensa. Come John Howard sa di non poter fare tutti contenti e si prende le sue responsabilità senza indietreggiare di un passo su alcuni punti che considera in linea con quanto promesso agli elettori. La vicenda della famiglia Tamil che, ormai da un paio di settimane, è al centro di un intenso dibattito tra ferree regole e un pizzico di umanità sta diventando il Tampa (con il famoso rifiuto di offrire asilo ai disperati salvati dal mercantile norvegese) di diciotto anni dopo. Un principio da difendere contro le accuse di un’intransigenza oltre i limiti del necessario. Opinione pubblica che preme, laburisti che si schierano in favore dell’eccezione perché si può essere severi e attenti, ma talvolta un attimo di flessibilità non guasta, ma governo che non fa concessioni e difende a spada tratta la politica del ‘mai in Australia’ di Kevin Rudd.

Un provvedimento introdotto, alla vigilia delle elezioni del 2013, da un governo alle corde quando - e figuriamoci se Mathias Cormann (in un’intervista concessa ieri all’Abc) se lo lasciava sfuggire -, Anthony Albanese era vice primo ministro.

Il responsabile dell’Interno Peter Dutton, come sempre, recita senza farsi il minimo scrupolo di coscienza la parte del duro, Morrison lascia fare e, anzi, precisa: “Abbiamo sempre detto chiaramente come intendiamo gestire la questione della difesa dei confini e il sistema dei visti”. “Nessuno si meraviglierà quindi – ha continuato – della nostra posizione, anche se non è d’accordo con noi”.

Difficile a questo punto un ripensamento, anche se in politica come ben sappiamo il ‘mai dire mai’ ci sta sempre tutto. Ma Morrison ha sicuramente abbracciato lo stile del più longevo (come permanenza alla Lodge) primo ministro della storia australiana dopo Menzies. Come Howard punta sulla prevedibilità nelle decisioni e mantiene la barra sempre dritta all’insegna di un ‘lasciateci lavorare esattamente come avevamo promesso di fare, senza sorprese, senza deviazioni di rotta’. “Gli australiani hanno votato per certezze, affidabilità e risultati”, ha sottolineato il capo di governo

Ecco perché il primo ministro, con ben evidenti turbolenze economiche da superare, dopo i dati al di sotto delle aspettative della crescita, non ha mostrato il minimo dubbio sulle cose da fare senza farsi prendere dal panico: niente presentazione anticipata del documento di gestione di metà anno, come chiedono con insistenza i laburisti (sarà presentato come sempre a dicembre), niente variazioni di tempi per ciò che riguarda il piano decennale sulle infrastrutture, senza farsi sfuggire però l’occasione di mettere in vetrina quello che Canberra sta facendo, ‘posando’ tra sorrisi e strette di mano con il capo di governo del Victoria Daniel Andrews per annunciare gli investimenti (in agenda) per l’ampliamento della Monash Freeway.  Nessun accenno ai costi che lievitano e come verrà ‘coperta’ la sempre più ampia differenza tra il pattuito e il necessario, ma anche niente rancori per la recente campagna pro-Shorten del premier laburista e ‘partnership in affari’ che consolida l’autorità del primo ministro sia agli occhi del pubblico che della sua squadra. I risultati, alla fine, pagano sempre importanti dividendi.

Morrison quindi ammette le difficoltà economiche del momento, ma allo stesso tempo (con una sicurezza che solo i politici riescono a sfoggiare anche quando la realtà è un po’ meno convincente) insiste sulla positività dei numeri che confermano che l’Australia continua a crescere in un momento in cui ‘giganti’ internazionali come la Germania, la Gran Bretagna e Singapore hanno fatto registrare (nell’ultimo trimestre dello scorso anno finanziario) passi indietro.

“L’Australia continua a crescere - ha ribadito  il ministro del Tesoro Josh Frydenberg - perché abbiamo un progetto, un piano d’azione che abbiamo presentato nel budget e che prevede investimenti nelle infrastrutture, nell’innovazione, nella ricerca e un potenziamento degli scambi commerciali”. E, soprattutto, continua ad assicurare il vice leader liberale, ci sono i famosi tagli fiscali che daranno man forte alla crescita, con risultati tangibili già nel trimestre che stiamo ‘vivendo’. Un punto su cui Morrison e Frydenberg si giocano una bella fetta della loro autorità economico-finanziaria.

Se la speranza (la loro sicurezza è puramente politica) si concretizza, il primo ministro avrà fatto di nuovo centro e potrà continuare ad incamerare punti credibilità e seguito, se invece i risultati continueranno ad essere quelli che sono sul fronte delle spese e degli investimenti, allora Albanese potrebbe iniziare a lasciare il segno. Al momento il leader dell’opposizione sembra, infatti, essere più che mai in una fase di ‘silenziosa ricostruzione’ di un partito uscito veramente malconcio dalle elezioni che era ‘impossibile perdere’. Una sconfitta più grave di quella patita da John Hewson nel 1993, perché almeno in quell’occasione c’era in palio la più radicale riforma fiscale della storia del Paese: l’introduzione della tassa sul valore aggiunto. Questa volta invece la sconfitta è stata più tattica che altro, determinata da una perdita di contatto con le aspettative e le paure degli elettori. Un pizzico di arroganza, una presunta voglia di ‘cambiamento’ cavalcando un’onda di protesta contro tutto e tutti che in Australia non è mai arrivata, una certa dose di ‘sfortuna’ con la valanga di milioni spesi da Clive Palmer e la controproducente campagna in alcuni seggi (sia come stile sia come propositi) dei militanti di GetUp.

Bill Shorten e il Partito laburista travolti da un insuccesso non ancora metabolizzato, con Albanese costretto a ricostruire morale e strategia. L’esame di riparazione dell’economia fissato dagli stessi Morrison e Frydenberg per fine settembre potrebbe dare una mano, ma anche rendere la vita sui banchi dell’alternativa ancora più complicata.

La Coalizione continua ad ostentare ottimismo: anche ieri il ministro delle Finanze, Mathias Cormann ha ribadito la solidità strutturale dell’economia, che i dati di giugno sono stati condizionati dalla campagna elettorale, durante la quale tradizionalmente consumatori e imprenditori mostrano la massima prudenza, e che i tagli fiscali entrati in vigore il primo di luglio daranno sicuramente una spinta ai consumi. Ribaditi anche i segnali di ripresa che arrivano dal settore immobiliare, mentre massimo riserbo su quel ritorno in attivo di gestione che potrebbe già esserci (i sorrisi di Frydenberg ad una domanda al riguardo potrebbero aver svelato una realtà solamente da ufficializzare). Un traguardo quest’ultimo (il ‘mitico’ surplus inseguito da un decennio) che potrebbe diventare l’arma in più per un’operazione-stimolo da annunciare nel mini-budget di dicembre.