SYDNEY - Dopo sei settimane di campagna e a due dal voto, i laburisti ieri dato il via "ufficiale" alla campagna stessa con la formula ormai vista e rivista dello show all’americana, con gran finale del leader sul palco con moglie e figli.

Un tantino ridicola questa ufficializzazione in prossimità del traguardo, ma i liberali faranno di meglio dato che hanno deciso di "lanciare la loro campagna" domenica prossima, a sei giorni esatti dal voto. Una chiara dimostrazione che questa "tradizione"  fa ormai solo parte dello "spettacolo", con tutti i colleghi, o quasi, schierati dietro al leader, il tifo da stadio, gli applausi a comando, la musica, gli slogan, le bandiere, le magliette rosse (per i "tifosi" laburisti) e blu (per quelli liberali) e la passerella dei grandi ex: ieri mattina a Penrith (seggio di Lindsay, guarda caso nei sobborghi occidentali di Sydney) c’erano, sommersi dagli applausi, Julia Gillard, Bob Hawke e Paul Keating; domenica prossima (di nuovo a Western Sydney) ci sarà John Howard.

Spettacolo "presidenziale" con messaggio aborigeno, coro, brevi interventi per "riscaldare" i fedelissimi prima dell’arrivo del leader che ripete, con le studiate pause pro battimani, le convinzioni e le promesse con i toni di chi "sa di essere nel giusto" per arrivare al "vinceremo" a braccia alzate, come un campione sul ring, prima con i suoi secondi (in questo caso i ministri ombra degli Esteri Tanya Plibersek e del Tesoro Chris Bowen) e poi con la famiglia, lasciandosi travolgere dal calore del pubblico che assapora la vittoria. E niente paura: se non avete avuto occasione di seguire la diretta tv dell’evento, la replica è prevista per domenica. Sfondo blu invece che rosso, e promesse in linea di massima già sentite, con qualche novità di contorno tanto per giustificare lo show che si prefigge di consolidare i consensi e magari convincere qualche elettore che ancora cerca qualche buona ragione per votare per uno o per l’altro.

A parte gli slogan del "governo dell’istruzione" e dei "cittadini prima di qualsiasi cosa", Shorten ha insistito soprattutto sui pericoli di una privatizzazione (non ben spiegata) del Medicare. Nonostante le ripetute smentite di Malcolm Turnbull su qualsiasi piano di qualsivoglia privatizzazione del sistema sanitario pubblico, il leader dell’opposizione ha parlato di voto-referendum sul futuro del Medicare a causa di uno studio commissionato dal governo Abbott e una revisione della Commissione Produttività sull’erogazione dei servizi sociali e l’amministrazione dei rimborsi dei pagamenti per le prestazioni mediche, con documento finale che sarà presentato dopo le elezioni.

Il leader laburista ha ribadito che un suo governo manterrà il Medicare in mani pubbliche, abolirà il congelamento delle tariffe delle visite mediche, bloccherà gli aumenti dei medicinali e ordinerà una marcia indietro sui tagli annunciati da Abbott ai servizi di patologia e diagnostica.

Poi, tra una ripetizione e l’altra della lunga lista delle promesse fatte nelle sei settimane di campagna che per fortuna abbiamo alle spalle, una novità pro lavoro: sconti fiscali fino a 20mila dollari per le piccole aziende, con un giro d’affari inferiore ai 2 milioni di dollari, se impiegheranno un genitore che desidera rientrare nel mondo del lavoro dopo la nascita di un figlio, o qualsiasi persona al di sotto dei 25 o al di sopra dei 55 anni. Un’iniziativa che, a detta di Shorten, dovrebbe permettere la creazione di 30 mila nuovi posti di lavoro ogni anno.

Qualche milione ed interesse extra anche su infrastrutture e trasporti per Brisbane, Sydney e Melbourne, anche se qui il discorso si intreccia parecchio con le esigenze e le responsabilità statali.

Una presentazione attenta, ricca di retorica, superficiale quel che basta per non perdersi in numeri e concetti che possono confondere chi ascolta, ripetitiva quanto serve, secondo gli "esperti" di manipolazioni comunicative che ormai sembrano avere in mano ogni dettaglio di campagne che sono private da qualsiasi tipo di spontaneità: esposizione con toni moderati, sempre uguali, dizione chiara, espressioni di circostanza, mai nessuna riflessione che sembri naturale o qualche frase non imparata a memoria.

Uno stile bipartisan al quale si unisce la capacità di trovare l’attimo o il motivo per ricorrere  ad un puntuale pizzico di paura. Perché la tattica funziona: ognuno ha infatti più o meno inconsciamente paura di perdere ciò che già ha o pensa di possedere. Ecco quindi Shorten che mette il Medicare sul piatto del rischio e si assicura di non ascoltare minimamente smentite di qualsiasi tipo e Turnbull che, domenica prossima, possiamo star certi, farà esattamente la stessa cosa parlando del traffico dei disperati che “riprenderà a causa delle debolezze laburiste”. E naturalmente a nulla servirà il giurare e rigiurare di Shorten e colleghi che tutto sarà lasciato così com’è per ciò che riguarda il (mal)trattamento dei richiedenti asilo.

Ultimi quattordici giorni di campagna con l’opposizione che si augura che la “presentazione” di ieri le possa dare nuovo impeto, dopo una terz’ultima settimana piuttosto anonima.

Come in qualsiasi "gara" anche in questa maratona elettorale è indispensabile non perdere il ritmo, rischiando di lasciare l’iniziativa all’avversario proprio quando il pubblico che conta, quello che alla fine fa cambiare le cose, alza veramente le antenne. Turnbull è convinto che gli australiani, dopo aver seguito un po’ distrattamente la campagna per quattro o cinque settimane, abbiano cominciato a prestare attenzione e abbiano capito che il governo offre le giuste garanzie di affidabilità e competenza. Per questo allo slogan dei “lavori e crescita” ha aggiunto negli ultimi giorni la “stabilità”, facendo riferimento alle incognite economiche e sociali legate al referendum sulla Brexit di giovedì prossimo in Gran Bretagna che si possono paragonare, secondo il leader liberale, alle incognite, soprattutto finanziarie, legate ad un precipitoso ritorno ad un’amministrazione laburista. E via con gli spauracchi della possibile perdita della "tripla A" a causa del mancato impegno, a breve termine, di ridurre le spese di bilancio e all’ammissione di un aumento del deficit prima di quel ritorno in attivo che sembra essere diventato, in politica, il mantra del successo e della competenza.

Ed è proprio per il suo piano economico, per quella stabilità finanziaria che garantisce, che il primo ministro è convinto di "farcela" perché gli australiani “non hanno dimenticato né Gillard, né Rudd, né le promesse mai mantenute di Wayne Swan”. Lo ribadirà domenica, augurandosi che a pochissimi giorni dal voto anche i più disinteressati prestino un minimo di attenzione.