Bill Shorten ha vinto una doppia scommessa la scorsa settimana, a dimostrazione che oltre ad essere un politico indubbiamente fortunato - dato che si è trovato di fronte prima Tony Abbott e poi un Malcolm Turnbull che ha rivelato di essere tutto meno quello che una gran parte degli australiani si aspettavano -, è anche strategicamente astuto. Onore al merito dunque, perché il leader dell’opposizione ha rischiato grosso e ha vinto una puntata estremamente importante. Non solo la ‘sua’ candidata Ged Kearney ha difeso con successo il seggio di Batman, ma non ha sbagliato nemmeno a presentare, proprio nella settimana del voto, una delle più controverse e rischiose riforme fiscali, mettendosi in rotta di collisione con almeno 1,2 milioni di elettori, svariate migliaia sicuramente anche nel collegio delle suppletive.
Perché l’ha fatto a cinque giorni dalle urne? Se lo sarà chiesto anche Ged Kearney che, nelle interviste a caldo del dopo annuncio di Shorten, ha dribblato la domanda cercando di riportare l’attenzione sui temi ‘locali’ che riguardavano la sfida di sabato scorso. Il leader laburista l’ha fatto perché ci crede e non avrebbe potuto più farlo se il seggio di Batman fosse caduto in mano ai verdi. Non avrebbe potuto farlo perché avrebbe avuto il suo bel daffare a respingere gli attacchi del suo stesso partito per la responsabilità della debacle: scelta sbagliata del candidato, scelta sbagliata dell’annuncio, progetto da rivedere o gettare del tutto. Così invece può continuare sulla strada intrapresa del ‘noi e loro’ e la sua leadership esce rafforzata.
Il fatto che le tasse extra sugli investimenti in borsa dei pensionati (non è vero che il provvedimento riguarda solo la fascia più agiata, come è stato costretto ad ammettere il ministro ombra del Tesoro Chris Bowen che non ha saputo fissare né un tetto di entrate prima di cadere nella rete di raccolta laburista, né una media delle ‘perdite’ annuali) non abbiano particolarmente inciso sul risultato di Batman, Shorten non lo ammetterà mai. Meglio anzi cercare di far risaltare il contrario, insistendo sul progetto che, in un’ottica strettamente elettorale, colpisce negativamente relativamente pochi ed è di beneficio per tanti: 5,9 miliardi di dollari l’anno in più nelle casse federali non sono uno scherzo e andranno a sommarsi ai ‘risparmi’ extra delle promesse modifiche sugli investimenti immobiliari, al ripristino dei livelli di tassazione pre-riforma Morrison riguardanti le piccole e medie imprese, al ritorno alla sovrattassa del due per cento sui redditi superiori ai 180mila dollari l’anno e, nonostante le smentite, quella voglia matta di togliere gli sconti fiscali sulle polizze assicurative private nel campo della sanità. Una pioggia di miliardi che dovrebbero permettere ai laburisti di presentare un rovescio della medaglia di prima classe, in fatto di spese, in vista delle prossime elezioni: abbastanza soldi in cassa per finanziare i ‘gioielli’ di famiglia, come Gonski e NDIS, per offrire tagli fiscali per i redditi medio-bassi ed eguagliare, se non migliorare, i tempi fissati dalla Coalizione per un ritorno ad un attivo di bilancio
Prima le ‘cattive’ notizie dunque, con il tempo di spiegare e far sbollire la rabbia, poi, al momento opportuno, la generosità. Peccato però che si insista, per far quadrare le spese e investire sulle promesse, ad andare a mettere le mani sui fondi pensione, continuando a cambiare le carte in tavola creando incertezza e apprensione: i governi Rudd e Gillard sono andati a ritoccare per nove volte in sette anni il sistema di Superannuation (quello privato perché per politici e dipendenti pubblici le garanzie sono blindate), togliendo qualcosa un po’ alla volta a tutti. Turnbull non è stato a guardare e ha modificato ancora il sistema, a vantaggio naturalmente delle entrate federali, tradendo addirittura gli impegni presi dal suo stesso partito, via il suo predecessore Abbott, di dare un po’ di continuità alle regole. Shorten cambierà ancora, a partire dal primo di luglio del 2019, se sarà chiamato a guidare il Paese.
Insomma, più che mai dopo il successo a Batman, dove la Kearney si è imposta con circa il 54 per cento dei consensi, su base bipartitica, con uno spostamento di voti a favore dell’Alp di oltre il tre per cento (addirittura più 7,4 per cento il voto primario), la ‘lotta di classe’ diventerà la formula sui cui puntare per scalzare Turnbull che, arrampicandosi sugli specchi, ha cercato di trovare qualche aggancio federale nel successo liberale nelle statali del South Australia.
Niente luce riflessa per Shorten che, da sabato sera, non ha lasciato più un minuto sola Ged Kearney. Sempre al suo fianco a ricevere applausi e condividere i complimenti per una vittoria di squadra che indubbiamente consolida i suoi progetti e allontana i malumori, non più tanto nascosti, registrati nel partito nel New South Wales dove le simpatie per Anthony Albanese e Tanya Plibersek sono piuttosto evidenti.
Post mortem a porte chiuse per il leader dei verdi, il senatore Richard Di Natale: sbagliato candidare per la sesta volta Alex Bhathal che è stata pubblicamente attaccata da numerosi iscritti al partito per una presunta arroganza e una difesa al di fuori delle regole della sua candidatura, ma soprattutto sbagliata la campagna che ha puntato troppo a predicare ai convertiti, parlando alla nausea dell’ormai ultra-famosa miniera Adani in Queensland e del trattamento dei profughi, rivolgendo pochissima attenzione ai temi locali e agli indecisi.