CATANIA - “Sono trascorsi quarant’anni dal vile assassinio per mano mafiosa di Giuseppe Fava, giornalista che ha messo la sua passione civile al servizio della gente e della Sicilia, impegnato nella battaglia per liberarla dal giogo della criminalità e dalla rete di collusioni che consente di perpetuarlo. La mafia lo uccise per le sue denunce, per la capacità di scuotere le coscienze, come fece con tanti che, con coraggio, si ribellarono al dominio della violenza e della sopraffazione e dei quali è doveroso fare memoria” così in una nota il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ricorda l’anniversario dell’uccisione del giornalista e scrittore. 

“Fava ha fatto del giornalismo uno strumento di irrinunciabile libertà. L’indipendenza dell’informazione e la salvaguardia del suo pluralismo sono condizione e strumento della libertà di tutti, pietra angolare di una società sana e di una democrazia viva. Un impegno e un sacrificio a cui la Repubblica rende omaggio”, conclude il Capo dello Stato. 

Quarant’anni fa, la sera del 5 gennaio 1984, a Catania, vicino al Teatro Stabile, il giornalista Pippo Fava fu ucciso da due sicari mafiosi che gli spararono alle spalle. La loro responsabilità è stata confermata definitivamente dalla Cassazione, nel 2003. 

Il giornalista era andato a teatro a prendere la sua nipotina, Francesca Andreozzi di 5 anni, che aveva partecipato alle prove di una rappresentazione. Come racconta lei stessa a ‘Ossigeno per l’informazione’, nei mesi precedenti era stata proposta dal nonno “come giovanissima attrice, per interpretare il ruolo di Ninì nella commedia di Pirandello ‘Pensaci, Giacomino!'”. 

Francesca Andreozzi presiede la Fondazione Giuseppe Fava, che coltiva e tramanda la memoria del giornalista, ricordando il suo profilo umano e professionale scrive: “Pippo Fava, oltre a essere un coraggioso e illustre giornalista, infatti, fu anche scrittore, drammaturgo e artista di valore”. 

Quando fu ucciso aveva 59 anni. Dal 1982 era stato il direttore del mensile ‘I Siciliani’, un giornale autofinanziato e fondato da lui stesso, dopo l’esperienza scioccante di direttore del quotidiano Giornale del Sud, dal quale era stato licenziato per contrasti con l’editore. Contrasti che gli costarono anche avvertimenti e minacce. 

“Riguardavano le collusioni che legavano imprenditori, politici e mafiosi a Catania, che Pippo Fava si era impegnato a denunciare quando ancora tutti negavano l’esistenza di collegamenti e collusioni fra la criminalità e l’imprenditoria etnea e la Cosa Nostra di Palermo”, ricorda.