ROMA - Cadono oggi i 45 anni dell’agguato di via Fani, nel quale furono uccisi i carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci, e gli agenti di polizia Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino e fu rapito il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro.
La strage, assieme alla prigionia e all’uccisione dello statista più importante della Prima Repubblica, rappresenta ancora oggi il mistero più drammatico della storia d’Italia, sul quale più si scava, più emergono tasselli di una verità ancora indicibile per gli equlibri geopolitici della nazione.

Talmente indicibili che nel 2018, la Commissione Moro 2, pur facendo enormi passi avanti rispetto al passato, decise di porre il segreto su tutta una serie di elementi, a partire dal coinvolgimento nell’agguato del cosiddetto “Secret Team”, una struttura che operava in tutto il mondo e legata alla CIA, della quale si conosce l’operato solo grazie alle inchieste condotte negli Stati Uniti. Il presidente della Commissione scrive tuttavia nella sua relazione finale che “alla luce delle indagini compiute, il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro non appaiono affatto come una pagina puramente interna dell’eversione di sinistra, ma acquisiscono una rilevante dimensione internazionale”.

La “narrativa” ufficiale sull’operazione di via Fani e sul sequestro Moro, contenuta nel cosiddetto memoriale Morucci-Faranda, scrive ancora Fioroni, altro non è che una “versione ufficiale e di Stato” preparata a tavolino . Una verità di comodo, l’unica verità “dicibile” per chiudere l’epoca del terrorismo che parte proprio da ciò che avvenne quel 16 marzo del 1978 in via Fani, dove è ormai accertata la presenza di personaggi esterni alle Brigate Rosse, appartenenti appunto ad ambienti legati ai servizi segreti di Paesi stranieri e alla criminalità organizzata, in particolare alla ‘ndrangheta. 

In ulteriori indagini è stato appurato infatti che a uccidere il caposcorta, Oreste Leonardi, fu quel giorno qualcuno che il carabiniere riconobbe e non giudicò una minaccia, perché fu freddato a bruciapelo senza opporre resistenza. Quest’uomo non fu mai identificato, ma svolse un’azione fondamentale, perché neutralizzò i due agenti che viaggiavano sull’auto di Moro, permettendo al resto del gruppo di fuoco di concentrarsi sull’altra auto di scorta. E questo spiega perché in quella tempesta di piombo di 91 colpi sparati, il leader della Dc uscì illeso.  Di quei 91 colpi, tra l’altro, proprio la Commissione Moro appurò che ben 49 furono sparati da un unico killer, mai identificato e che non apparteneva alle Brigate Rosse.