Era infatti il 2013 e l’artista italo-australiano di origini siciliane, Eolo Bottaro, si trovava a Palermo per condurre alcune ricerche artistiche. Casualmente la sua attenzione venne catturata da una piccola bottega con la serranda semichiusa. Quando entrò all’interno, Bottaro venne colpito dallo sguardo un po’ sospettoso dell’artigiano e proprietario Matteo che, dopo un primo momento di esitazione, gli mostrò quei piccoli capolavori creati, nel laboratorio della stanza accanto, da lui e sua moglie: le coppole siciliane. 

Iniziò così l’idea di Eolo e della sua compagna Serena Firera di proporre questo tipico prodotto siciliano anche oltreoceano, in Australia, ai grandi rivenditori di cappelli come Grand Hatters, City Hatters e Smart Alec. Serena è nata e cresciuta a Modica, in provincia di Ragusa, ed è una psicologa  che ha sempre lavorato nell’attività di formazione ed editoria della sua famiglia. È grazie al suo rapporto con Eolo che ha approfondito il suo legame con l’Australia e ha condiviso con lui questo interesse per le coppole e la loro internazionalizzazione. “Circa sei mesi fa io ho deciso che avrei lasciato il mio lavoro d’ufficio perché non mi permetteva di viaggiare e di spostarmi, per riprendere questa attività a pieno ritmo – ha raccontato Firera –. Il nostro obiettivo è quello di essere presenti in tutta l’Australia presto”. 

“Gli artigiani con cui collaboriamo sono di età un po’ avanzata e magari chi non ha la fortuna di avere figli o nipoti non ha i mezzi per internazionalizzarsi – ha proseguito –. A noi piace pensare di aiutarli in questo senso: perché quando non trovano dei giovani interessati a continuare la loro arte, il loro lavoro, purtroppo devono chiudere. Gli artigiani della coppola provengono tutti da Palermo e l’aspetto curioso è che in realtà sono della stessa famiglia. Tutto ebbe inizio con un capostipite che, negli anni ‘20, aprì un primo negozio e poi, da lì, tutta la discendenza venne impiegata nella produzione e nella vendita di cappelli. Ancora oggi, infatti, tutti i produttori che rimangono sono cugini”. 

La passione di Serena ed Eolo per questo mestiere traspare dalle parole di Firera, che lasciano intendere il grande fascino verso questa tradizione profondamente intrecciata con la storia sicula. Fino alla seconda metà dell’800, racconta, infatti, che i copricapi siciliani erano tipicamente quelli arabi, per via dell’influenza esercitata a seguito dell’occupazione. Il berretto (o flat hat) venne introdotto dagli inglesi in seguito: “Erano gli anni della Belle Époque”:– ha raccontato Serena –, e Palermo era una realtà molto effervescente dal punto di vista culturale; quindi, c’erano tante persone provenienti dagli Stati Uniti, dal Nord Europa ma soprattutto erano presenti nel capoluogo molti inglesi. Arrivavano con i loro costumi e i siciliani ne rimasero ammaliati. Così iniziarono a chiedere ai propri sarti di imitare il loro vestiario, creando però uno stile un po’ più personale. Fu così che il berretto inglese venne modificato un pochino con lo stile Mediterraneo e diede origine a quella che tutti oggi conosciamo come coppola”. 

Questo tipo di copricapo inizialmente veniva utilizzato solamente dai nobili durante le battute di caccia perché avevano necessità che il cappello non volasse via. In seguito, venne utilizzato anche da chi guidava le automobili perché gli altri copricapi non entravano all’interno dell’abitacolo e, infine, si diffuse praticamente in tutta la popolazione perché era un berretto adatto a tutti tipi di lavoro, e in qualsiasi stagione. “Divenne l’accessorio di abbigliamento più trasversale di sempre per tutte le classi sociali: dal nobile, al borghese al contadino. Era ovviamente un capo non per i giorni di festa, perché alla domenica si utilizzavano dei capi più importanti, però durante la settimana molti avevano la coppola. A me piace considerarlo un cappello molto democratico, che non faceva differenza tra ricchi e poveri”.

“‘A Bedda Coppola nasce con l’obiettivo di preservare questa antica tradizione, supportando e valorizzando il lavoro di questi straordinari artigiani, per farlo conoscere al mondo e condividere con esso un pezzo di storia della Sicilia”, ha concluso Serena.

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