Il primo ministro Anthony Albanese è decisamente in difficoltà: dopo le critiche per l’acquisto della casa-vacanze di Copacabana (NSW), sono arrivate le accuse riguardanti la linea diretta con l’ex amministratore delegato della Qantas, Alan Joyce, che sarebbe stata ‘usata’ per chiedere speciali favori, già quando era ministro dei Trasporti, per lui e la sua famiglia in occasioni di viaggi anche a livello personale.

Tra smentite e qualche balbettio, spiegazioni a testa alta e qualche amnesia il primo ministro è al centro dell’attenzione per tutti i motivi sbagliati, mentre preferirebbe concentrarsi sull’operazione recupero consensi imperniato, secondo quanto annunciato, su una strategia basata su tre punti-chiave, molto simile a quella che aveva adottato a suo tempo il capo di governo britannico Tony Blair: “Molto è stato fatto, molto c’è ancora da fare e molto c’è da perdere”.

Tre percorsi da seguire, senza farsi distrarre. Il più accidentato è probabilmente il primo: ‘vendere’, cioè, quanto è stato fatto, perché con l’aria che tira nel Paese più di qualcuno potrebbe trovare da ridire sulla bontà dell’operato dell’amministrazione laburista. Sicuramente più agevole il secondo sentiero elettorale: formulare un programma credibile non è mai facile, ma Albanese ha indubbiamente mostrato la capacità di non puntare troppo in alto per non complicarsi la vita e gli australiani sembrano preferire i programmi dei piccoli passi e dei rischi minimi. Sul fattore Dutton nessuna novità: è una strategia provata quella di puntare su dubbi e paure, basta non esagerare, ma tra nucleare, WorkChoices 2.0, il puntuale spauracchio Medicare, il materiale per sostenere la teoria del ‘meglio non fidarsi’ potrebbe diventare abbastanza credibile.

Sicuramente non è un momento ideale per essere un governo in carica che cerca la rielezione. La crisi del costo della vita, le bollette energetiche, le rate ipotecarie e gli affitti più elevati legati alle decisioni della Banca centrale (che continua a tenere tutti col fiato sospeso, nonostante i risultati positivi di settembre sul fronte dell’inflazione), hanno reso gli elettori quanto mai irritatati e desiderosi di esprimere il loro disappunto.

Quasi tutti i leader dei Paesi democratici si ritrovano in difficoltà e Albanese non fa eccezione. Una situazione, quella che stiamo vivendo, che crea frustrazione e preoccupazione per la squadra di governo con gli elettori che, secondo i sondaggi, faticano ad indicare qualche traguardo positivo raggiunto in questi due anni e mezzo di gestione laburista. Un sondaggio del mese scorso ha mostrato che solo il 24% degli australiani era in grado di nominare una singola decisione politica che avesse migliorato la loro vita. Di quella minoranza che poteva nominare qualcosa, la maggior parte ha indicato i rivisitati tagli fiscali della cosiddetta terza fase delle riforme iniziate dalla precedente amministrazione e gli sconti (che stanno agendo artificialmente sull’abbassamento dell’inflazione) apportati alle bollette energetiche.

Ai ministri e parlamentari vari, quindi, il compito di aggiungere qualcosa sulla lista delle cose fatte, ricordando agli elettori alcuni provvedimenti che, in un’ottica laburista, meriterebbero maggiore riconoscimento come: aver fornito farmaci e servizi di assistenza all'infanzia a prezzi più bassi; potenziato la rete di assistenza sanitaria interamente coperta dal Medicare; offerto corsi TAFE gratuiti; rafforzato il potere contrattuale dei sindacati e aumentato i salari per i lavoratori a basso reddito.

Un po’ di frustrazione quindi da parte di Albanese che ha un po’ sprecato, almeno dal punto di vista della comunicazione elettorale, buona parte dello scorso anno, focalizzato com’era a portare avanti il referendum costituzionale a favore della comunità aborigena. Gli australiani hanno avuto l’impressione che per troppo tempo il governo non fosse concentrato sui loro bisogni e preoccupazioni.  E la netta sconfitta della prova referendaria ha un po’ sottolineato l’idea di un esecutivo, ma soprattutto di un primo ministro, consumati da priorità sbagliate.

Giusta quindi la strategia del recupero consensi partendo da una ricostruzione di immagine, riportando l’attenzione del pubblico sulle cose fatte che, evidentemente, non hanno avuto l’impatto che, secondo i laburisti, avrebbero meritato, al punto che il voto primario del Partito - nelle vittoriose elezioni del 2022 già sceso al valore più basso degli ultimi 90 anni (32,6%) -, è calato ancora, un po’ a causa di risposte al problema clou del costo della vita che non arrivano, un po’ a causa delle divisioni e tensioni che si sono create in certe aree del Paese per la posizione presa o non presa sulla questione palestinese e la drammatica serie di eventi scatenati dall’attacco di Hamas, del 7 ottobre dello scorso anno, a Gaza.

 Il Partito laburista sta vivendo indubbiamente un momento storico particolarmente complicato, con le due anime tradizionali di sostegno, che si stanno disgregando: quella ‘operaia’ che si sente sempre più abbandonata e, davanti a certe priorità, si ritrova addirittura ora più vicina alle risposte della Coalizione; mentre quella più ‘progressista’ si sente altrettanto tradita da una presunta perdita di coraggio e sta spostando le sue attenzioni verso i Verdi e altre alternative spesso monotematiche. Non sono grandissimi numeri su entrambi i fronti, ma sono comunque perdite che contano.

Difficoltà evidenziate anche dall’ex ministro Kim Carr che ha analizzato, nel libro appena pubblicato, A Long March, quello che ritiene un indebolimento strutturale del suo Partito che, a suo dire, avrebbe perso il contatto con la sua base storica, quella della classe operaia, abbracciando questioni post-materialiste e cause alla moda per conquistare una nuova élite di elettori.

"La nave laburista ha colpito lo scoglio della politica identitaria, con troppi dei suoi portavoce che adottano un tono censorio verso coloro che non abbracciano le loro particolari agende sociali", ha scritto Carr.

"Concedere maggiore influenza a coloro che stanno bene e sembrano indifferenti o persino possibilmente sprezzanti nei confronti delle difficoltà di coloro che, nel linguaggio contemporaneo abusato, ‘se la passano male’  lontano dall’ambiente ben servito del centro città, è veleno politico."

Una critica doppiata dall’ex segretario della Confederazione nazionale dei sindacati, Bill Kelty, che ha parlato di una perdita di  valori tradizionali da parte del Partito laburista: ambiente, trattamento dei richiedenti asilo e abbandono del sindacalismo sono ‘colpe’ che hanno conseguenze pratiche, con un sempre maggior disinteresse da parte dei giovani che stanno rivolgendo le loro attenzioni verso altre ‘offerte’ politiche più in linea con le loro aspettative. Questa è la reale sfida per un partito che deve cercare di inseguire consensi su entrambe le estremità dello spettro politico, cercando quindi di sviluppare una narrativa coerente a raggio vastissimo per tenere in qualche modo assieme un ampio insieme di elettori.

"Senza un’agenda attiva e un processo continuo di formulazione delle politiche, un governo può trovarsi in attesa che il malcontento lo spazzi via, proprio come è successo al suo predecessore," ha scritto ancora Carr, criticando la strategia di basso profilo di Albanese.

Il malcontento generale c’è ed è più accentuato, ovviamente, nelle classi meno abbienti e nei collegi periferici. E, anche se le elezioni statali hanno sempre una loro storia, le ramificazioni e i messaggi per Canberra non mancano mai. Quelle recentissime del Queensland hanno dimostrato un disappunto sempre più evidente nei confronti dei laburisti, mano a mano che ci si allontana da Brisbane, dove ci sono gli elettori a reddito più elevato, più istruiti e aspirazionali. Un altro punto da tenere in considerazione, quindi, per la campagna che verrà.

Cose fatte, cose da fare e il ‘pericolo’ Dutton: impopolare, negativo, ostile, ostruzionista. Con il precedente “dell’ineleggibile” Tony Abbott del 2013, Albanese e gli strateghi laburisti forse farebbero bene a stare in campana in fatto di una possibile sottovalutazione dell’avversario e, soprattutto, della necessità di ricucire in fretta lo strappo che sembra essersi creato tra il Partito di governo e il suo elettorato tradizionale.