Al giro di boa di metà mandato qualcosa si è rotto in casa laburista, ma soprattutto qualcosa si è rotto tra il primo ministro Anthony Albanese e gli australiani.
Dopo il 14 ottobre il rapporto non è più lo stesso: c’è stato un irrigidimento da una parte e dall’altra. Il capo di governo non ha ‘capito’ e accettato fino in fondo quel No alla sua proposta di cambiamento costituzionale, che l’ha turbato e deluso; a molti elettori invece non è piaciuta non solo l’idea, ma anche alcune considerazioni legate al risultato che è poi arrivato.
Momento di sconforto per Albanese, momento di riflessione all’interno del partito e inizio di qualche giro a vuoto di un governo che, se da un lato è da lodare per avere rispettato quasi interamente la sua agenda elettorale, dall’altro sembra ritrovarsi ora con un’agenda semivuota per la seconda parte del mandato, quella che ci riporterà alle urne.
Ma andiamo per ordine, con le cose fatte dall’amministrazione Albanese rispettando le promesse elettorali: costi dei servizi per l’infanzia ridotti, medicine meno care, incrementi salariali per coloro che lavorano nel campo dell’assistenza agli anziani, qualche leggero miglioramento sul fronte del Medicare anche se il lavoro da svolgere in materia è ancora notevole, aumento della paga minima, più di mezzo milione di nuovi posti di lavoro, un piano da 10 miliardi per l’edilizia popolare - abbinato ad altri 15 miliardi di interventi in collaborazione con Stati e Territori -, l’istituzione della Commissione nazionale anti corruzione, il ritorno all’ attivo di gestione.
Non inclusi nell’agenda programmatica del 2022: gli sforzi per cercare di regolare il mercato energetico (dimenticando completamente la promessa, a cui nessuno aveva comunque creduto, delle bollette meno care), il tentativo di accelerazione del progetto AUKUS sui sommergibili nucleari, il riavvicinamento alla Cina, con passi decisi verso una normalizzazione delle relazioni commerciali, anche se sul piano militare le schermaglie continuano.
Non cose da poco, ma il tema principale, quello che era stato il cavallo di battaglia della campagna laburista dello scorso anno, rimane sul tavolo e le risposte che i cittadini si attendevano non stanno arrivando, anzi la situazione sembra complicarsi di mese in mese con il continuo aumento dei tassi d’interesse: il costo della vita pesa come un macigno per la maggior parte delle famiglie australiane e gli ‘aiuti’ che Albanese e il ministro del Tesoro Jim Chalmers insistono di aver dato, evidentemente non sono sufficienti a soddisfare un elettorato che comincia a guardarsi intorno.
L’inflazione non molla la presa, la stretta monetaria imposta, senza poi tanta gradualità, dalla Banca centrale non sembra avere l’effetto che ci si aspettava e le conseguenze di uno spiacevole binomio si fanno sempre più acute.
Lo standard di vita, secondo i parametri economici, è sceso da settembre ad oggi del 10 per cento, una caduta vertiginosa paragonabile solo a quella vissuta dagli australiani durante la recessione “che il Paese doveva avere” (ormai storica considerazione dell’allora ministro del Tesoro, Paul Keating) degli anni ’80 e ’90.
E il malcontento sale al punto che all’interno della squadra laburista nessuno se la sente di appoggiare la linea di Albanese di un “ineleggibile” Peter Dutton e più di qualcuno sta cominciando ad ipotizzare, nel migliore dei casi, un governo di minoranza nel 2025.
Il primo ministro è ovviamente di tutto altro avviso e continua ad ostentare ottimismo, sicuramente rafforzato dalle sue prestazioni sui palcoscenici internazionali, che frequenta a ritmi senza precedenti: 23 missioni in 18 mesi di mandato, ma l’ultima, quella di San Francisco per il vertice APEC, è stata la più sfortunata come tempi.
Era, infatti, importante esserci, perché dopotutto si parla di un vertice con i leader della nazioni che controllano la metà dell’economia mondiale, ma sarebbe stato altrettanto importante non esserci, perché sul fronte di casa in sua assenza si è consumato uno dei più controversi momenti di politica interna.
Il governo non solo è stato letteralmente ‘costretto’ ad agire dall’opposizione sulla spinta dell’opinione pubblica, ma la veloce soluzione legislativa (altro servizio a pagina 13) potrebbe aprire un precedente non da poco nei confronti dell’Alta Corte e, secondo molti esperti legali, potrebbe prestare il fianco a ricorsi legali e ad un vero e proprio scontro costituzionale.
Un intervento ‘dovuto’, ma sui tempi non ci siamo proprio. Il problema del rilascio di oltre una novantina (il numero cresce giornalmente) di immigrati irregolari, molti dei quali accusati di gravissimi reati, poteva e doveva essere anticipato e risolto molto prima che arrivasse il verdetto dell’Alta Corte. tale.
Imbarazzo per Albanese, partito per l’America dopo avere sbeffeggiato in Aula la ‘teoria’ di Dutton, poi adottata; imbarazzo per i ministri dell’Interno Clare O’Neil e dell’Immigrazione Andrew Giles; critiche interne per la resa e la vittoria morale dell’opposizione e per gli strascichi legali e le polemiche che quasi sicuramente seguiranno con altri possibili rilasci di rifugiati.
Divisioni e diminuita autorità anche per ciò che riguarda le considerazioni in ordine sparso della squadra laburista sulla tragedia umana in corso di svolgimento a Gaza e rotta di collisione intrapresa con gli Stati dopo la revisione dei finanziamenti federali per ciò che riguarda i progetti infrastrutturali, con i governi ‘amici’ del Queensland e New South Wales in particolare, che hanno fatto partire rumorose bordate di disappunto nei confronti della ‘collega’, Catherine King, ministro federale per le Infrastrutture.
Il governo Albanese ha ovviamente tutto il tempo per riprendere il controllo del dibattito politico, focalizzando l’attenzione sulle soluzioni che i cittadini si aspettano sui temi di sempre: costo della vita, sicurezza, energia, sanità, tenendo in considerazione i messaggi trasversali che sono arrivati proprio dai collegi laburisti il 14 ottobre.
Tema particolare quello del referendum, ma da non sottovalutare alcuni motivi del No che partono da più lontano della semplice domanda referendaria. Sembra averlo capito Dutton che sta puntando dritto sui “figli dei battlers” di John Howard, anche se per lui la strada della competitività rimane tutta in salita e quella della popolarità la fa innalzare ancora di qualche grado.
Ma, ora che è passata del tutto l’euforia post elettorale, forse Albanese farebbe bene a non perdere di vista qualche dettaglio della sua risicata vittoria dello scorso anno: un successo abbondantemente dovuto all’impopolarità di Scott Morrison con un voto primario di solo il 32,6 per cento, nessun particolare miglioramento in Queensland (dove l’aria che tira è tutt’altro che favorevole per i laburisti), la crescita dei verdi (con le conseguenze positive per l’Alp sul fronte delle preferenze) e il fenomeno ‘teal’ che ha indubbiamente danneggiato la Coalizione.
Non siamo insomma arrivati ad un allarme vero e proprio per ciò che riguarda le prospettive di un secondo mandato, ma qualche considerazione in più per gli elettori che fanno veramente fatica è d’obbligo.
Chalmers ha ancora un budget a disposizione e non si lascerà sfuggire l’occasione di usarlo, come tutti i governi fanno quando bisogna cominciare a difendere seggi e puntare l’attenzione su qualche altro a teorica portata.
Sobrietà sempre, ma calcolata, tenendo conto di almeno tre varianti statali da non sottovalutare: l’uscita di scena di due premier importanti per i laburisti come Mark McGowan nel Western Australia e Daniel Andrews nel Victoria (sabato nelle suppletive per il seggio di Mulgrave rese necessarie dal suo ritiro, la laburista Eden Foster si è imposta facendo però registrare un calo di voti di oltre il 10 per cento).
Mentre sta perdendo giri e smalto anche Annastacia Palaszczuk in Queensland, con buone possibilità di un cambiamento di governo il prossimo anno.
Ogni particolare conta e qualche complicazione extra arriva anche dal campo ambientale, a causa dei traguardi troppo ambiziosi autoimposti: sul fronte delle rinnovabili, per esempio, ci sono ritardi progettuali a tutto campo con tanto di proteste e malcontento, sempre più evidenti, in numerosi collegi direttamente coinvolti con la troppo rapida transizione energetica, che prevede l’installazione di turbine e impianti di pannelli solari.
A meno che il governo non trovi il modo di rilanciare il modello Howard delle promesse “core e non core”, degli obiettivi concreti e quelli auspicabili, ci saranno parecchie spiegazioni da dare sulla strada delle emissioni e dei traguardi per il 2030.