Li chiamano Rocky Heroes, Rocky della vita reale, eroi alla Rocky, persone che c’è l’hanno fatta proprio come Rocky Balboa, il pugile dilettante di Philadelphia che ha affrontato Apollo Creed, campione mondiale in carica dei pesi massimi, nel film del 1976 che ha dato la gloria a Sylvester Stallone. A quasi 50 anni da quel primo film di una saga che ne conta ormai sei più tre spin off con Creed, Rocky resta un’ icona di riferimento. Da celebrare. A Philadelphia la città in cui è ambientata la storia che quell’anno vinse tre Oscar come miglior film, migliore regia (Stallone, autore anche della sceneggiatura) e montaggio, parecchio ruota intorno alla memoria di questo personaggio ispirato al pugile Rocky Marciano, seppure lo spunto iniziale era  l’incontro di boxe tra la leggenda Muhammad Ali e lo sfavorito Chuck Wepner. È un richiamo turistico certo ma anche occasione di fare nel nome del perenne perdente, un’esperienza autentica, magari stravagante, conoscendo intorno a quei 72 gradini di pietra un fenomeno che si ripete di struggente umanità. È anche un modo, tipicamente americano, di auto incentivare l’eterno mito della sfida da vincere, del self-made man/woman che ce la fa a ottenere qualcosa di inarrivabile, una celebrazione della tenacia, del non arrendersi, della perseveranza, della meta da raggiungere dunque infine del “sogno americano” che ha plasmato la nazione che proprio qui fu fondata dai padri della patria che firmarono la Dichiarazione d’Indipendenza e la Costituzione degli Stati Uniti il 4 luglio 1776.

C’è questo dietro le celebrazioni che al Rocky Day fanno montare un palchetto e lanciare la diretta Tv su Cbs sfidando il vento gelido che taglia la faccia in cima alla mitica scalinata con alle spalle il neoclassico Philadelphia Museum of Art che serviva a Stallone per allenarsi e che oggi, che tu sia in forma o no, in tenuta da runner o addirittura in abito da cerimonia (sì, accade anche di questo) devi salire di corsa con il nanana in testa, quel “Gonna Fly Now” di Bill Conti che ciascuno conosce.

Le autorità chiamano sul palco i Rocky Heroes ciascuno a raccontare la sua storia, dedicando loro anche un ritratto di grandi dimensioni. Per il RockyFest 2024, coordinato dal Philadelphia Visitor Center, sono stati premiati Chantay Love, che ha fondato un’organizzazione per sostenere le famiglie delle persone uccise dalla violenza delle armi da fuoco dopo la morte del fratello Emir nel 1997, cui ha dedicato EMIR ossia Every Murder Is Real, e Joshua Santiago, ex spacciatore, che ha trovato una seconda opportunità come barbiere attraverso la sua organizzazione non-profit, Empowering Cuts, tagli i capelli gratuitamente in tutta la città e lo Stato ai senza fissa dimora. “Hanno fatto davvero grandi passi avanti nelle loro vite personali. Sono degli eroi per noi. Sono degli eroi per le loro famiglie e sono degli eroi per le loro comunità”, ha detto la presidente Kathryn Ott Lovell.

I vincitori del premio Pulitzer, Michael Vitez e Tom Gralish del Philadelphia Inquirer, hanno trascorso un anno visitando il Philadelphia Museum of Art per catturare le storie dei “Rocky Runners”, che provengono da tutto il mondo per salire di corsa i gradini più famosi d’America, proprio come fece Stallone in “Rocky”. Le persone, dicono gli autori, compiono il pellegrinaggio per segnare un nuovo inizio, per cercare ispirazione, per celebrare un traguardo, per trovare lo sfondo perfetto per un amore o semplicemente perché amano il film.
Dice Sylvester Stallone: “Ho trascorso tempo a Philadelphia negli anni ‘60, andavo alla Lincoln High School di Fishtown e lavoravo nella zona del porto, per questo ho girato lì il film ma i gradini sono un’area magica. Abbiamo visto Rocky nello squallore; lui corre via da tutto questo squallore e povertà e decide che la vetta che determinerà il suo successo sarà quando arriverà correndo in cima ai gradini, come arrivasse in un’altra dimensione, come fosse l’inizio di una trasformazione. La scena nel film è stata improvvisata; non c’era niente di scritto. Perché le persone corrono qua ancora dopo quasi 50 anni? Penso che Rocky rappresenti qualcosa; è un’ispirazione. Siamo tutti underdogs, perdenti, e ci sono pochissime situazioni iconiche accessibili per diventare campione: non puoi metterti il mantello di Superman, non puoi usare la spada laser Jedi. Ma i gradini ci sono. I gradini sono accessibili. E stando lì, hai una specie di pezzo della torta di Rocky”.  

La statua con Rocky Balboa con le braccia alzate sta a Philadelphia come il David di Michelangelo a Firenze. Il paragone lo fa, l’artista Thomas Schomberg, un signore ormai in là con gli anni con il mito dell’arte italiana, che ogni anno si muove da Los Angeles a Philadelphia per partecipare alle celebrazioni. Ne parla a The Victor Cafè in South Philadelphia che nella saga è il ristorante di Rocky intitolato Adrian’s in omaggio alla mitica Adriana (Talia Shire) e nella realta è un posto molto famoso, un po’ assurdo in cui si mangia italiano (leggasi italo-americano) mentre i camerieri cantano arie d’opera essendo un posto per amanti della musica a cominciare dal proprietario melomane che ha tappezzato le pareti di questo posto famoso con le foto da Arturo Toscanini in giù.

Proprio come fosse Piazza della Signoria, d’estate per una foto davanti la statua, possibilmente imitando la posa di Balboa a braccia in aria si fa una lunga fila. Volendo oltre al passaggio allo negozio ufficiale dove comprare l’occorrente per “vestirsi” da Rocky, si può acquistare la medaglia del vincitore da indossare per lo scatto. Inevitabile il tour in bus nei luoghi di Rocky. Si prende ai piedi della scalinata e si parte con la guida a raccontare minuziosamente il personaggio, il film, i luoghi del set e quando sali sul bus ti dice “quanto sei fan?”, perché nelle oltre due ore ci sono anche i quiz da risolvere. Nel bus accappatoio giallo e guantoni per scatti a tema durante il percorso.