La radio, 97 anni e non sentirli. Dalla morte di John F. Kennedy nel 1963, quando la Rai decise di interrompere le trasmissioni in segno di lutto, al discorso alla luna dell’anno prima del papa buono, Giovanni XXIII. Dalla strage di via D’Amelio con il Gr1 che annuncia la barbara uccisione del giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta, alla “Vita spericolata” di Vasco Rossi raccontata a Radio 2 negli anni ‘80. A Mike Bongiorno che annuncia la vittoria di Gigliola Cinquetti al Sanremo del 1964 con “Non ho l’età”. Per non dimenticare tutti i momenti del grande sport come la conquista della medaglia d’oro di Pietro Mennea alle Olimpiadi di Mosca 1980.
Il più antico tra i mezzi di comunicazione di massa fu strumento di propaganda del fascismo, annunciò l’avvio e la fine della seconda guerra mondiale; consentì a tutti gli italiani, ancora prima della televisione, di imparare la lingua, di conoscere la grande musica e il grande teatro; fu terreno di sperimentazione dei primi varietà, ritrovo per gli intellettuali, culla di un nuovo modo di fare informazione, veicolo di protesta. Prima con l’avvento della tv, poi con il web, in tanti l’hanno data per morta. Invece ancora oggi, in un’epoca di bulimia mediatica, la radio è viva e vegeta: fedele e discreta compagna del quotidiano.
Un amore nato in pieno Ventennio, quando la prima voce esce dai mega-apparecchi, predecessori di quelli più piccoli a transistor, svelando a tutti la potenza dell’invenzione che Guglielmo Marconi rese tangibile. E’ la violinista Ines Viviani Donarelli a dare l’annuncio del concerto inaugurale, mentre Maria Luisa Boncompagni passa alla storia come la prima “signorina buonasera”. La Rai non c’è ancora, la concessionaria è l’Unione Radiofonica Italiana (poi Eiar) e l’Agenzia Stefani è l’unica fonte delle notizie. Con le cronache del regime, negli anni ‘30, nasce la diretta e lo sport invade le case degli italiani: Nicolò Carosio accompagna la nazionale alla vittoria dei Mondiali di calcio del 1934 e del ‘38. C’è anche lui, nel 1959, quando parte “Tutto il calcio minuto per minuto”, trasmissione immortale che raggiunge i 25 milioni di ascoltatori, rendendo indelebili le voci, tra gli altri, di Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Beppe Viola, Nando Martellini.
Tutti figli della radio, come Nunzio Filogamo, che nel 1934 esordisce nella rivista “I quattro moschettieri” con la frase: “Miei cari amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate!”. Antesignano dei presentatori, dal 1951 conduce conduce le prime quattro edizioni del Festival di Sanremo, trasmesse solo in radio (dal ‘55 parte la diretta televisiva). Sono anni in cui la radio si apre a nuovi generi: il 7 maggio 1945, giorno in cui un ufficiale destinato al giornalismo, Jader Jacobelli, dà per primo in Europa la notizia dell’Italia liberata, è già lontano. Francesco Cossiga è il primo collaboratore non militare della radio postbellica, presto Giulio Andreotti gli fa compagnia. Nel 1949 vede la luce la Rai e gli studi di via Asiago diventano un simbolo.
Con l’arrivo dei tre programmi nazionali, nascono “Radiosera”, primo giornaleradio moderno, le rubriche di approfondimento, tra cui “Ciak” di Lello Bersani, il varietà con “Il Rosso e il nero”. Emergono Enzo Biagi, Sergio Zavoli e dal 1958 Indro Montanelli racconta la storia del nostro paese. Enzo Tortora conduce, invece, il primo contenitore, “Il signore delle 13”. Muovono i primi passi Alberto Sordi, con i personaggi di Mario Pio e del Conte Claro, e Franca Valeri con la sua Signorina Snob. L’intrattenimento conquista le case: nel 1966 arriva “Gran Varietà”, per anni appuntamento della domenica mattina per le famiglie. Poi tocca a “La corrida” di Corrado. La programmazione culturale trova il suo apice nel 1973 con le “Interviste impossibili”, realizzate da intellettuali come Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, Italo Calvino. Sono anni in cui la censura è ancora forte in Rai, mentre persino Radio Vaticana trasmette brani vietati come “Dio è morto” di Francesco Guccini, poi ripreso con maggior successo da I Nomadi.
La metà degli anni ‘70 è uno spartiacque: sulla scia delle rivolte studentesche, inizia l’epoca delle radio libere, celebrate nel film di Ligabue “Radiofreccia”. E’ l’Emilia Romagna la patria delle prime stazioni, le più innovative, ma presto è un boom. Molte emittenti sono connotate politicamente, come Radio Popolare a Milano (dove negli ‘80 nasce la Gialappa’s) e Radio Onda Rossa a Roma, la cui storia è legata a doppio filo a quella sinistra extraparlamentare. In Sicilia Peppino Impastato paga con la vita lo spirito di libertà di Radio Aut, che utilizza per scagliarsi contro i mafiosi della sua città. Emerge anche Radio Radicale, che si afferma come servizio pubblico alternativo alla Rai.
Lo stile delle radio libere è tutto nuovo, meno ingessato e libero dal controllo governativo. Anche la Rai è costretta ad allinearsi alle nuove tendenze, che già avevano fatto breccia con Radio Montecarlo, in grado di trasmettere dall’estero, con i mitici dj Awana Gana e Jocelyn. “Alto Gradimento”, e prima ancora “Bandiera Gialla”, trasmissioni con cui Renzo Arbore e Gianni Boncompagni rivoluzionano il modo di fare radio, sono figlie di questo clima. E poi sulla scia ecco arrivare “Per voi giovani” e la più commerciale “Supersonic”, trasmissioni che hanno fatto conoscere ai giovani di allora la musica rock straniera, ma anche gruppi o cantanti italiani che non venivano altrimenti trasmessi. Con “Chiamate Roma 3131” la Rai apre anche alle telefonate degli ascoltatori.
La partecipazione del pubblico è centrale nelle radio libere, che spesso sono proprietà di cooperative e si reggono sul lavoro dei volontari. Quello spirito negli anni si perde, la programmazione diventa più commerciale. La musica è essenziale per riempire i palinsesti e proprio in radio, come dj, iniziano la carriera star come Fiorello o Jovanotti. Si affermano emittenti come Rtl 102,5, Radio Deejay, Radio 105, Rds e trasmissioni come “Lo Zoo di 105”, “Deejay chiama Italia”, i programmi di Amadeus e Albertino, capaci di miscelare canzoni e intrattenimento, o come “La zanzara” e “Un giorno da pecora”, irriverenti e ironiche. Così la radio continua a vivere, attirando tanti ascoltatori, molti giovanissimi. Un pubblico che le tv generaliste vanno invece pian piano perdendo.