SEUL - Il presidente sudcoreano Lee Jae-myung ci ha tenuto a presentare l’accordo commerciale raggiunto a Washington con gli Stati Uniti come un successo per la quarta economia dell’Asia, quanto meno perché toglie incertezza a un sistema produttivo fortemente orientato all’export, ma per il nuovo leader sudcoreano l’intesa ancora non formalizzata apre prospettive complesse ancora tutte da definire. 

Sullo sfondo dell’accordo, permangono partite aperte e complesse, a partire da quella dei costi della sicurezza di un Paese che si deve barcamenare in una delle regioni più complesse del mondo, di fronte alle crescenti pretese del presidente Usa Donald Trump che chiede un forte aumento del contributo di Seul e tende a flirtare con il regime della Corea del Nord. 

Seul e Washington hanno raggiunto un accordo che ha fissato al 15% i dazi per l’export sudcoreano negli Usa, comprese quelle del settore automobilistico, in cambio dell’impegno sudcoreano a investire 350 miliardi di dollari in progetti negli Usa e ad acquistare risorse energetiche per 100 miliardi di dollari. Ovviamente, l’export Usa in Corea del Sud non sarà soggetto a dazi. Dal canto loro, i funzionari sudcoreano hanno sottolineato che l’accordo non prevede un’ulteriore apertura dei delicati mercati del riso e della carne bovina. 

“Abbiamo superato un ostacolo importante”, ha scritto Lee su Facebook. “Attraverso questo accordo, il governo ha eliminato le incertezze nell’ambiente dell’export e ha creato le condizioni affinché le nostre aziende possano competere ad armi pari, o in posizione di vantaggio, rispetto ai principali Paesi”, ha continuato, facendo sostanzialmente riferimento ad accordi analoghi raggiunti dagli Usa con l’Unione Europea e con il Giappone. 

Lee ha dichiarato che l’accordo, che include anche un impegno da 150 miliardi di dollari destinato al settore navale, riflette l’interesse degli Stati Uniti nel rilanciare la propria manifattura e la volontà della Corea del Sud di sostenere l’ingresso delle proprie imprese nel mercato americano. 

Insomma, sembrerebbe un lieto fine, o forse non tanto a giudicare dalle candide dichiarazioni del segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent, che alla CNBC ha raccontato di una trattativa semplice, nella quale la Corea del Sud di è presentata in una posizione di oggettiva debolezza. “La Corea del Sud – ha detto Bessent – è stata un caso speciale perché hanno avuto un’elezione e un nuovo governo; quindi, non erano in condizione di negoziare pienamente. Sono arrivati ieri pomeriggio e hanno presentato un’offerta molto buona. Il presidente Trump ha rilanciato leggermente l’offerta e abbiamo raggiunto un accordo molto positivo”.  

In effetti, Lee è diventato presidente a giugno, dopo un lungo periodo di forte incertezza politica, che ha visto la rovinosa caduta del suo predecessore, Yoon Suk-yeol, dopo un maldestro tentativo di imporre la legge marziale. Tuttavia, dal suo punto di vista, Lee può essere soddisfatto al momento, perché è stato evitato il potenziale punto di rottura: un’ulteriore apertura dei mercati del riso e della carne bovina avrebbe potuto provocare forti proteste da parte degli agricoltori e alimentare tensioni interne al Partito democratico, rischiando di interrompere prematuramente la luna di miele politica di Lee. 

Trump ha dichiarato che i dettagli del piano d’investimenti sudcoreano saranno resi noti quando Lee visiterà la Casa Bianca per un vertice “entro le prossime due settimane”. Si tratterà del primo incontro bilaterale tra i due dopo l’arrivo di Lee al potere, un appuntamento freneticamente atteso in Corea del Sud. 

Kim Yong-beom, capo di gabinetto presidenziale per la politica, ha detto che Trump ha incaricato il segretario di Stato Marco Rubio di fissare una data già a partire dalla prossima settimana, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa Yonhap. “La data e il formato specifico saranno discussi attraverso i canali diplomatici tra la Corea del Sud e gli Stati Uniti”, ha aggiunto, precisando che il ministro degli Esteri Cho Hyun incontrerà presto Rubio a Washington. 

Il primo vertice Lee-Trump, acquisita la cornice dell’accordo commerciale, si dovrebbe a questo punto concentrare su questo. Washington sta facendo pressioni sugli alleati affinché contribuiscano maggiormente alla propria difesa e si uniscano agli sforzi di Washington per contrastare una Cina sempre più assertiva. 

La Corea del Sud vive con disagio i ricorrenti segnali di Trump di un possibile disimpegno militare in Sudcorea, dove sono presenti circa 28.500 soldati americani. Seul dipende dagli Stati uniti per difesa e deterrenza e, in un momento in cui la Corea del Nord intensifica la cooperazione militare con la Russia e porta avanti il suo programma nucleare, il mantenimento della cooperazione militare con gli Usa è vitale per Seul. 

All’inizio del mese, Trump ha affermato che la Corea del Sud paga agli Stati Uniti “molto poco” per il supporto militare ricevuto, alimentando le speculazioni secondo cui la sua amministrazione potrebbe richiedere un forte aumento del contributo sudcoreano per il mantenimento delle truppe. Inoltre, il Pentagono ha recentemente dichiarato che la Corea del Sud e altri alleati asiatici saranno soggetti a un nuovo “standard globale”, che prevede una spesa per la difesa pari al 5% del Prodotto interno lordo. Si tratta dello stesso obiettivo fissato per i membri della Nato. 

Naturalmente, anche la Corea del Nord sarà con ogni probabilità un tema centrale del prossimo incontro, in un momento in cui Trump lancia segnali di voler rilanciare la sua diplomazia personale con il leader nordcoreano Kim Jong Un, dopo i tre vertici del 2018 e 2019. Su questo terreno, Lee – che ha indicato in campagna elettorale la volontà di dialogare con Pyongyang – potrebbe giocare un ruolo. Manca, al momento, però l’interlocutore. Nei giorni scorsi, la potente sorella del leader nordcoreano, Kim Yo Jong, ha escluso la possibilità di colloqui per la denuclearizzazione, ma ha osservato che la relazione personale tra Trump e Kim “non è cattiva”. In risposta, un funzionario della Casa Bianca ha affermato che Trump è aperto a un nuovo dialogo con Kim per perseguire una Corea del Nord “completamente denuclearizzata”. 

In un gesto conciliatorio, lo scorso mese Seul ha sospeso le trasmissioni di propaganda tramite altoparlanti lungo il confine intercoreano e ha invitato gli attivisti a cessare il lancio di volantini verso il Nord. Invece, Pyongyang ha respinto ogni offerta di dialogo di Seul, suggerendo che Kim ha ormai abbandonato la prospettiva ideale della riunificazione. 

L’ufficio presidenziale sudcoreano, dal canto suo, ha dichiarato che intende mantenere un coordinamento stretto con Washington sulla politica verso la Corea del Nord, inclusa la possibilità di nuovi colloqui. Un approccio obbligato, visto che il timore è che la Corea del Sud venga messa da parte da eventuali contatti tra Trump e il regime nordcoreano. Il problema per Lee, però, è che Trump è un solista, poco propenso a esibirsi in coro.