TEL AVIV – La sostenibilità della tregua dipende però dalla risoluzione di nodi politici e operativi complessi: si tratta solo della prima fase del cosiddetto “piano Trump” per il futuro di Gaza.

Le prospettive di una “pace duratura”, come l’ha definita il presidente americano, si scontrano con le resistenze interne in Israele e con profonde divisioni internazionali sul futuro della regione: in particolare sul disarmo di Hamas, il futuro governo del territorio palestinese e il principio “due popoli, due Stati”.

L’obiettivo di un disarmo completo di Hamas è una priorità irrinunciabile per Israele e gli Stati Uniti, ma la sua reale attuabilità richiede una cooperazione che per ora non è stata garantita. Anche il ritiro completo delle truppe israeliane dai territori occupati è una richiesta fondamentale non solo di Hamas, ma anche dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e delle Nazioni Unite.

Il delicato tema della ricostruzione – l’Onu stima 53 miliardi di dollari per Gaza e Cisgiordania – si lega invece alla governance temporanea che, nel piano Trump, prevede la presenza americana con un ruolo per lo stesso presidente, per Tony Blair e per l’Anp. Ma non per Hamas. 

L’Unione Europea conta di avere un ruolo attivo nel finanziamento. Sosterrà la ricostruzione di Gaza e sarebbe già pronta una prima tranche di 120 milioni di euro, a sottolineare l’impegno finanziario e politico di Bruxelles. Trump ha intanto assicurato che i Paesi arabi – inclusi Arabia Saudita, Qatar ed Egitto – “si faranno avanti” per finanziare la maggior parte della ricostruzione.