SAN JOSÉ – Con una cerimonia intima e commossa, si sono svolti a San José i funerali di Violeta Barrios de Chamorro, prima donna eletta presidente in Nicaragua, e in tutta l’America Latina, attraverso libere elezioni.
L’ex capo di Stato, scomparsa sabato all’età di 95 anni, era in esilio in Costa Rica dal 2023, dove viveva con la sua famiglia dopo anni di malattia e crescenti persecuzioni politiche nel suo Paese.
Durante la cerimonia, celebrata nel Tempio Votivo del Cuore di Gesù, la sua bara è stata avvolta dalla bandiera del Nicaragua e affiancata dalla fascia presidenziale e dal bastone usato durante il suo mandato (1990-1997). Presente una nutrita comunità di nicaraguensi esiliati, oltre a esponenti politici costaricensi e amici di lunga data.
I figli, Cristiana e Carlos F. Chamorro, hanno ricordato con parole toccanti la figura della madre. Carlos ha promesso che un giorno le sue spoglie torneranno nella sua patria: “Quando il Nicaragua tornerà a essere una Repubblica, potrai riposare in pace nella tua terra, come simbolo di libertà e speranza”. E ha aggiunto: “Hai seminato un’idea di Repubblica senza vendetta, ma con giustizia”.
Anche Cristiana Chamorro ha sottolineato l’eredità di sua madre: “La libertà e la democrazia vanno difese quando non ci sono, e conservate quando le si possiede”.
Nel corso della cerimonia, il cantautore Luis Enrique Mejía Godoy ha reso omaggio alla ex presidente con il brano “Mujer de carne y hueso” e con l’emblematica “Nicaragua, Nicaragüita”. E ha aggiunto, tra gli applausi: “Doña Violeta ha resuscitato”.
La sua vita pubblica ebbe inizio dopo l’assassinio del marito, Pedro Joaquín Chamorro Cardenal, direttore del quotidiano La Prensa e strenuo oppositore della dittatura di Somoza. Il suo omicidio, nel 1978, fu la scintilla che accese la rivolta popolare culminata nella caduta di Anastasio Somoza Debayle nel luglio 1979.
In seguito, Violeta Barrios si unì alla giunta di governo di ricostruzione nazionale, a fianco dei sandinisti, ma se ne allontanò presto per divergenze con la crescente deriva autoritaria del Fsln (Frente sandinista di liberazione nazionale), rassegnando le dimissioni nel 1980.
Dieci anni dopo, nel 1990, sorprese il mondo sconfiggendo Daniel Ortega alle urne, guidando la coalizione ampia Unión Nacional Opositora (Uno), in elezioni organizzate dagli stessi sandinisti sotto forte pressione internazionale e dopo una guerra civile sanguinosa, finanziata contro di loro dagli Stati Uniti.
La figura di Violeta Barrios de Chamorro ha rappresentato un punto di svolta nella storia del Nicaragua: la sua vittoria alle urne nel 1990 pose fine alla guerra civile. Durante il suo mandato promosse il disarmo dei gruppi insurrezionalisti – celebre il momento simbolico in cui le venne consegnato un fucile nel sancire la distruzione delle armi – e avviò un difficile processo di pacificazione nazionale.
Nonostante ciò, negli anni successivi è stata più volte attaccata dal regime attuale. La coppia presidenziale Daniel Ortega e Rosario Murillo, oggi al potere in Nicaragua, ha definito in passato il suo governo come “servile agli Stati Uniti”, accusandola di “neoliberismo selvaggio” e di “aver venduto il paese per poche briciole”.
In occasione della sua morte, tuttavia, il regime di Managua ha diffuso un comunicato ufficiale dai toni insolitamente concilianti, riconoscendo “l’apporto alla necessaria pace del nostro Paese” dato dalla ex presidente, e affermando che “il suo governo rappresentò la possibilità di ratificare la fine di una guerra ingiusta e sanguinosa imposta dagli imperialisti della terra”.
Un cambio di tono che contrasta fortemente con le numerose dichiarazioni denigratorie rilasciate negli anni precedenti, tra cui quella del 2022, in cui Murillo – senza nominarla direttamente – disse: “Nessuno dimentica gli anni di fame e privatizzazione, dei governi di signore e signorini che vendettero la patria”.
La salma di Violeta Barrios de Chamorro resterà in Costa Rica, almeno fino a quando – come auspicato dalla sua famiglia – il Nicaragua tornerà a essere una vera Repubblica. In vita, come in morte, il suo nome continua a rappresentare una speranza di democrazia, giustizia e riconciliazione per migliaia di nicaraguensi.