Un responsabile della sicurezza dei Talebani ha detto che non c’è  stato alcuno spargimento di sangue durante il passaggio di consegne e che una consegna pacifica delle strutture del governo è in corso in tutto il Paese. I militanti hanno fatto sapere che vogliono un governo che includa tutti. Alla Associated Press è stato detto che il gruppo militante sta tenendo colloqui volti a formare un governo islamico aperto ed inclusivo. I talebani sono pronti a restaurare l’Emirato islamico che venti anni fa era stato abbattuto dall’intervento occidentale.

Il mullah Abdul Ghani Baradar, per il momento guida provvisoria del Paese, ha detto in un messaggio televisivo: “Abbiamo raggiunto una vittoria che non ci aspettavamo. Dovremmo mostrare umiltà davanti ad Allah, ora è il momento della prova, si tratta di come serviamo e proteggiamo il nostro popolo e di come assicuriamo il loro futuro ed una buona vita al meglio delle possibilità”.

Ashraf Ghani,  presidente afghano ora in esilio in Uzbekistan, utilizzando Facebook ha affermato di aver abbandonato il Paese per evitare ai cittadini di Kabul un bagno di sangue: “Oggi, mi sono imbattuto in una scelta difficile: dover affrontare i talebani armati che volevano entrare nel palazzo o lasciare il caro paese alla cui protezione ho dedicato la mia vita a proteggere negli ultimi vent’anni, ci sarebbero stati innumerevoli connazionali uccisi”. Ghani ha poi auspicato che i talebani superino la prova, proteggendo il nome e l’onore dell’Afganistan.

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunirà domani alle 10:00 ora di New York per discutere della situazione.

La Cina non appare orientata ad inviare le proprie forze armate approfittando del vuoto lasciato dagli Usa in Afganistan ma sarebbe pronta a partecipare alla ricostruzione del Paese. Il Global Times, organo ufficiale del PCC, scrive che: “L’invio di soldati cinesi è una speculazione totalmente infondata, e il massimo che la Cina può fare è evacuare cittadini cinesi se si verificasse una massiccia crisi umanitaria, o contribuire alla ricostruzione post-bellica e allo sviluppo, spingendo in avanti i progetti sotto la Belt and Road Initiative proposta dalla Cina quando la sicurezza e la stabilità saranno ripristinate nel paese devastato dalla guerra”. 

Il presidente Usa Joe Biden ha ordinato l’invio di altri mille soldati a Kabul in aggiunta ai 5.000 già pronti al dispiego per garantire l’evacuazione dei civili americani e afghani. Biden è così diventato il presidente del “Saigon moment”, il presidente che fugge in rotta, quello che ha riportato l’America indietro di 46 anni, ai giorni del drammatico ritiro dal Vietnam. L’entrata dei talebani a Kabul rende evidente il tracollo del presidente degli Stati Uniti, alle prese con la prima vera crisi politica da quando è entrato alla Casa Bianca, un tracollo che arriva a meno di un mese dalla commemorazione dei vent’anni dall’11 Settembre.