È andato in scena al Co.As.It. di Melbourne, The Sicilian Street Storytellers, uno spettacolo che reinterpreta con originalità la commedia Il pane e le rose di Nino Randazzo, storico direttore de Il Globo e voce autorevole della diaspora italiana in Australia.
Presentato al pubblico lo scorso martedì 13 maggio nella sede di Carlton, l’evento ha rappresentato il primo appuntamento di una serie di celebrazioni dedicate ai cento anni della comunità eoliana in Australia.
Lo spettacolo, interpretato e adattato da Rosanna Morales, attrice e scrittrice, e accompagnato dalla musica di Elvira Andreoli, è un omaggio sentito alla tradizione siciliana del cantastorie e alla memoria collettiva.
“È la storia di un migrante siciliano che torna al suo paese d’origine, sognato per decenni, ma che ritrova profondamente cambiato. Un ritorno carico di nostalgia, disillusione, ma anche umorismo e fede”, racconta Morales.
Originario di Leni, nelle Isole Eolie, Randazzo aveva scritto una commedia corale, con ben 14 personaggi. Morales, con delicatezza e rispetto, ha trasformato l’opera in una creazione intima, portata in scena da lei e da Andreoli, mantenendone però intatto lo spirito.
“Ho chiesto il permesso alla figlia di Nino – spiega – perché volevo celebrare una figura che ha lasciato un segno indelebile nella nostra comunità. L’occasione del centenario era perfetta”.
Il cuore dello spettacolo è un personaggio chiamato Cirino, che torna in Sicilia e decide di riportare in Australia due reliquie cariche di significato: una statua di San Nunziante e un antico vaso di famiglia.
“Ci abbiamo riso sopra – confida Morales – perché quel vaso era un oggetto simbolico, impregnato della storia e del DNA familiare. Ma accanto alla comicità, ci sono riflessioni profonde sul senso di appartenenza, sul tempo che passa, sulla fede”.
Il linguaggio della tradizione popolare, tipico del cantastorie, è stato ricreato con cura: la musica dal vivo, le improvvisazioni e i momenti di interazione con il pubblico hanno reso la performance davvero interattiva.
“C’è stata una scena in cui, girando tra il pubblico, mi sono ritrovata a parlare con loro come se fossimo davvero in un cimitero, giocando sui ‘morti che parlano’. È stato toccante e divertente al tempo stesso. Il pubblico ha risposto con entusiasmo, segno che questo linguaggio, anche se antico, è ancora vivo”.
Il lavoro di adattamento ha richiesto diversi mesi di studio. Morales si è immersa nella scrittura di Randazzo, ha studiato le tecniche del cantastorie insieme ad Andreoli – esperta di questa arte – e ha saputo integrare italiano, inglese e siciliano con grande naturalezza.
“Abbiamo scelto di usare il siciliano nei monologhi di Cirino – spiega –, per rendere il racconto più realistico”.
La scelta delle tre lingue si è rivelata anche particolarmente significativa per il pubblico: tra gli spettatori, presenti diversi studenti di lingua italiana e l’alternanza linguistica ha rappresentato le voci di tre generazioni di italo-australiani. “C’è chi parla il dialetto, chi l’inglese e chi ha studiato l’italiano. Volevamo illustrare esattamente questo mosaico linguistico che si ritrova in tante famiglie”.
Lo spettacolo ha saputo restituire voce a una tradizione italiana, e in particolare siciliana, ricca di ironia e spiritualità. Un omaggio non solo all’eredità di Nino Randazzo, ma anche a quella cultura popolare che, attraverso il racconto e la musica, vive nel sentimento della comunità e nei legami che uniscono chi è partito a ciò che ha lasciato.