A pochi passi dalla stazione di Newtown, c’è un ristorante che profuma di cucina pugliese e caparbietà.

Si chiama Alba, un nome che è sia un omaggio, sia un atto d’amore: “L’ho chiamato così per mia nonna - dice Andrea Taccone, il proprietario - era l’unica con cui parlavo davvero di cucina. Avrebbe voluto fare la cuoca, ma ai suoi tempi non si poteva”.

Quando ha aperto il ristorante nel 2019, Andrea l’ha voluta con sé. A 89 anni, lei ha preso un aereo dall’Italia, ha attraversato il mondo e si è piazzata in cucina per due settimane. Ha insegnato ai cuochi come si monta la maionese a mano, con l’olio versato goccia a goccia, “a filo”: “Ho una foto bellissima di lei lì, serena, forte. Una di quelle immagini che ti tengono in piedi che ti danno forza anche nei momenti più difficili”.

Perché oggi Andrea rischia di dover lasciare tutto. Non per scelta, ma per burocrazia. Il suo visto scade a settembre. Il ristorante che ha fondato, gestito e portato avanti durante la pandemia, e soprattutto che dà lavoro ad altri, potrebbe sopravvivere senza di lui.

Ma lui no, non senza un visto.
Taccone è arrivato per la prima volta in Australia nel 2012. Ha fatto due anni di Working Holiday Visa, poi un anno con sponsor, poi via, Londra, altri viaggi e infine di nuovo Australia, nel 2019, questa volta con un visto da studente. Non era un ritorno per “farsi un’esperienza”, ma un tentativo di costruirsi una vita.
Ha studiato Leadership and Management, ottenendo tre diplomi. “Mi dicevano: fai questo percorso, poi magari riesci a passare alla skill visa. Ci ho creduto”.
Intanto, apre il ristorante. Un’occasione che gli si presenta quasi per caso. E funziona. Funziona talmente bene che diventa difficile trovare il tempo per sé. E poi arriva il Covid. L’Australia chiude tutto, inclusi i confini. I lavoratori stranieri se ne vanno in massa, lo stesso Primo Ministro, in diretta TV, invita chi ha visti temporanei ad “andarsene a casa”.
E invece Andrea resta: “Se non avessi avuto il ristorante, sarei partito anch’io. Ma non potevo mollare. Per due mesi ho fatto il lavapiatti, 7 giorni su 7. Non c’era nessuno da assumere. Mi sono rimboccato le maniche”.

Il settore dell’“Hospitality” in Australia ha affrontato gravi carenze di personale, con numerose posizioni difficili da coprire. Il governo risponde: dichiara il settore “di emergenza” e inserisce temporaneamente la figura di Restaurant Manager nella lista degli skilled visa. Andrea avvia le pratiche, raccoglie documenti, paga le tasse, ripresenta tutto dopo due anni. E aspetta.
Ma niente: nessuna risposta. Nel frattempo, la posizione viene rimossa. “Ho visto persone con meno punti di me ricevere l’invito alla residenza. Gente che ha applicato dopo. Ti viene il dubbio che sia una lotteria”.

E intanto il tempo passa.
A un certo punto Andrea si siede con un Migration Agent e gli dice: “E ora?”. La risposta lo lascia di sasso. “Mi ha detto: trovati una partner australiana. Così è tutto più facile”.                                                                                                                   Non uno solo. Gliel’hanno detto in tanti, “Come se la residenza fosse un premio a una storia d’amore. Ma io non voglio fingere un sentimento per ottenere un visto. Voglio rimanere per quello che faccio, quello che so fare bene”.
Il paradosso è qui: Andrea può sponsorizzare altri (il suo lavapiatti, i suoi cuochi), ma non sé stesso: “Non posso, perché sono il titolare. E ok, capisco che l’auto sponsorizzazione sarebbe pericolosa, uno potrebbe aprire un’attività fasulla solo per ottenere il visto. Ma allora crea un percorso serio. Mettici dei criteri: ristorante aperto da almeno quattro anni, due dipendenti australiani, un certo fatturato. Dai un’opzione reale a chi contribuisce davvero”.                                                                                Intanto, una serie di domande continua a frullargli in testa, rimanendo senza risposta:
“Perché posso aprire un ristorante ma non posso comprare casa se non sono residente permanente? Perché posso assumere australiani ma non ho diritto a restare nel paese dove creo occupazione? Perché tutti i visti temporanei si basano sul lavoro, ma chi lavora davvero non è tutelato?”
Durante la campagna elettorale ha ricevuto SMS che promettevano di “tagliare l’immigrazione”, “alzare le tasse per gli studenti stranieri”. “Ma come fa uno studente a vivere a Sydney con 20 ore di lavoro a settimana, pagare scuola, affitto, cibo? È ovvio che poi nasce il lavoro nero. Il sistema lo crea, e poi lo condanna”.

Nel raccontare la sua storia, Andrea non cerca compassione ma vorrebbe che la sua esperienza, come quella di tanti altri, servisse a continuare a sollevare delle domande: “Non mi interessa se la gente dice ‘poverino’. Voglio che qualcuno si chieda se questo sistema ha senso. Se è giusto che l’unico modo sicuro per restare sia innamorarsi al momento giusto, della persona giusta, con il passaporto giusto.”

Nel frattempo, Alba continua a riscuotere un grande successo ma a settembre, Andrea potrebbe dover spegnere le luci e chiudere tutto.