CANBERRA – L’opposizione chiede a gran voce che il Primo ministro “produca le prove” della sua affermazione che Israele abbia “chiaramente” violato le leggi internazionali bloccando il flusso di aiuti umanitari verso Gaza.

Intervistato da ABC Radio National, il portavoce della Coalizione per l’Energia Dan Tehan ha detto che le accuse espresse dal Primo ministro sono gravi: “Ovviamente Israele vuole fornire aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza e Hamas continua a ostacolare quegli sforzi. Ora con il suo intervento Anthony Albanese ha portato la situazione a un nuovo livello”.

L’ambasciatore israeliano a Canberra Amir Meron, ha negato che ci sia carestia a Gaza, denunciando “false fotografie e false campagne alimentate da Hamas”. “A Gaza non si muore di fame”, ha dichiarato il diplomatico ai giornalisti.
Albanese, intervistato domenica dal programma Insiders, in onda su ABC Tv, ha affermato che si tratta di una “lampante” violazione del diritto internazionale bloccare il flusso di cibo e di acqua, una decisione presa dal governo israeliano lo scorso marzo.
Israele, che ha bloccato il flusso di aiuti umanitari per costringere Hamas a liberale gli ostaggi, ha annunciato la sospensione dei bombardamenti per 10 ore ogni giorno sulle parti più popolose di Gaza, cedendo alle pressioni internazionali.
Il blocco è stato parzialmente allentato dopo che le autorità israeliane hanno sviluppato un proprio modello di distribuzione di aiuti umanitari bypassando quello delle Nazioni Unite.

La settimana scorsa oltre un centinaio di organizzazioni umanitarie, inclusi Médecins Sans Frontières, Oxfam e Save the Children, hanno messo in guardia rispetto al fatto che Gaza sia sull’orlo di una “carestia di massa”.

Israele ha sempre negato di aver alimentato la crisi umanitaria a Gaza, accusando Hamas di aver fatto precipitare la situazione. 
Tehan ha ribadito che le violazioni sono state commesse da Hamas: “È un’organizzazione terroristica, ed è il problema della regione mediorientale – ha detto -. Se non avesse agito come ha fatto il 7 ottobre 2023 (giorno dell’attentato terroristico in territorio israeliano, in cui sono state uccise più di 2.000 persone e prese in ostaggio oltre 200 persone, ndr), non saremmo nella situazione in cui ci troviamo”.

Nell’intervista di domenica, Albanese si è astenuto dal dire se l’Australia ricorrerà alle sanzioni per mettere pressione su Israele affinché ottemperi ai propri obblighi e doveri internazionali, ma ha confermato che non seguirà l’esempio della Francia riconoscendo lo Stato di Palestina.

La scorsa settimana, infatti, il presidente francese Emmanuel Macron aveva dichiarato che, a settembre, la Francia diventerà il primo Paese del G7 a riconoscere formalmente la Palestina, un gesto che esercita ulteriore pressione a livello internazionale.

Albanese ha ribadito il sostegno dell’Australia alla soluzione dei due Stati, ma ha sottolineato che il riconoscimento non avverrà come “gesto simbolico” (questo è il valore che viene attribuito all’annuncio di Macron), bensì solo quando saranno soddisfatte condizioni concrete. In particolare, ha evidenziato la necessità di escludere Hamas da qualsiasi coinvolgimento politico e garantire che uno Stato palestinese non rappresenti una minaccia per Israele.

Dall’inizio del conflitto, scatenato dagli attacchi terroristici di Hamas il 7 ottobre 2023, le stime del ministero della Salute di Gaza parlano di almeno 60mila palestinesi morti, mentre altre ipotesi indicano un bilancio vicino agli 80mila. Almeno un centinaio di persone sarebbero morte di fame a causa del blocco degli aiuti.

In questo contesto, l’Australia sceglie la cautela diplomatica, chiedendo condizioni chiare per un riconoscimento futuro, mentre il mondo osserva con crescente preoccupazione l’escalation della crisi mediorientale.
L’ex ministro degli Esteri laburista, Bob Carr ha dichiarato che, secondo le parole del Primo ministro, il riconoscimento della Palestina è “solo una questione di tempo”, aggiungendo però che Albanese non dovrebbe attendere il riconoscimento da parte del Regno Unito, “se l’Australia si considera una grande potenza”.


“Rafforzerebbe l’idea che il nostro Paese è in grado di fare cose importanti – ha detto l’ex premier del NSW -. Seguendo l’esempio francese l’Australia darebbe prova di essere indipendente, forte e matura, e di poter prendere decisioni senza attendere il lasciapassare di Downing Street”. Anche per l’ex ministro laburista Ed Husic, il primo musulmano eletto in Parlamento, e la leader dei verdi Larissa Waters, l’Australia dovrebbe riconoscere immediatamente lo Stato palestinese.

Lo scorso 21 luglio, 28 Paesi - tra cui l’Australia - hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che esigeva formalmente la fine della guerra a Gaza e la rimozione delle restrizioni israeliane sul flusso degli aiuti umanitari.

La portavoce dell’opposizione agli Esteri, Michaelia Cash ha espresso “forte preoccupazione” per l’aggravarsi della crisi umanitaria a Gaza, ma ha altresì espresso rammarico per il Primo ministro che non ha addossato alcuna colpa ad Hamas per il blocco dei flussi di aiuti umanitari.
“Hamas potrebbe mettere fine immediatamente alle sofferenze della popolazione di Gaza, liberando gli ostaggi”, ha detto la senatrice del Western Australia.

In contro tendenza il senatore liberale Dave Sharma, ex ambasciatore australiano in Israele, che ha riconosciuto che a Gaza si soffre per la fame: “Devono venire sfamati, devono avere accesso al cibo, all’acqua, ai medicinali, poi si discuterà chi tra Israele e Hamas ha imposto il blocco al flusso di aiuti umanitari, ma la popolazione civile di Gaza non può più venir tenuta in ostaggio, finché non si risolve l’impasse”.