A prima vista un budget laburista di ‘vecchia scuola’ quello del Victoria: con i tradizionali ‘ vincitori’ e ‘vinti’ che rientrano nelle categorie prestabilite. Tra i primi, quelli cioè che riceveranno qualche beneficio diretto dalla nuova agenda di gestione: le piccole aziende con un monte salari inferiore ai 3,6 milioni di dollari, gli ospedali, le vittime delle alluvioni della scorsa primavera.
Dei secondi, cioè di chi ci rimette, fanno invece parte: le grandi imprese, le scuole private, i proprietari di seconde case, qualche migliaio di dipendenti pubblici (prevista una riduzione a livelli pre-pandemici), il collegamento ferroviario tra città e aeroporto (rimandato a data da destinarsi, anche a causa di un non proprio chiarissimo presunto ripensamento federale in fatto di finanziamenti) e naturalmente il debito pubblico che continuerà a salire.
Qualcuno ha paragonato il budget presentato martedì scorso dal ministro del Tesoro del Victoria, Tim Pallas, al ‘long Covid’, agli effetti del virus che perdurano dopo il forte impatto iniziale. Il premier Daniel Andrews ha politicamente cercato di giustificare i maxi-deficit e debito proprio alla pandemia e alle spese straordinarie che ha richiesto per affrontarla, e ha promesso una guarigione completa dello Stato solo fra una decina d’anni, quando lui e i colleghi che hanno disegnato il piano di recupero saranno quasi sicuramente usciti di scena.
Budget tradizionale dell’immediato dopo elezioni, quello in cui si può osare di più (il Covid è infatti solo una componente della narrativa) perché si è appena entrati in nuovo ciclo elettorale. A livello statale il prossimo appuntamento alle urne è, infatti, lontano quasi quattro anni, quindi ampi tempi di manovra.
Mano pesante nei confronti delle grandi aziende, con sovrattassa Covid dello 0,5 per cento per quelle con libri paga particolarmente consistenti (più di 10 milioni di dollari) e dell’1 per cento se il monte salari supera i 100 milioni l’anno. Secondo le stime del Tesoro l’imposta riguarda circa il 5 per cento delle aziende che operano nel Victoria e che contribuiranno all’operazione rientro del deficit e riduzione del debito con circa 3,9 miliardi nei prossimi quattro anni.
Più di 130 milioni arriveranno dalle scuole private, con la fine della loro esenzione delle imposte sul personale che entrerà in vigore il primo di luglio del prossimo anno. Tasse extra sulle ‘seconde case’ e investimenti immobiliari che già attirano la cosiddetta ‘land tax’, con soglia di esenzione abbassata ad un valore di 50mila dollari; fine del settore della produzione del legno già a partire del prossimo anno, con una perdita stimata di quasi 600 posti di lavoro. Una scelta ‘verde’ che va a sommarsi alla decisione, ormai consolidata, di rinunciare ad esplorazione e produzione di gas, che limitano la possibilità di entrate extra per uno Stato che sta puntando dritto verso un record senza precedenti: quello di avere un debito non solo superiore a quello sommato del New South Wales, Queensland e Tasmania, ma addirittura quasi uguale al totale dei tre Stati menzionati più Western Australia e South Australia.
IL debito del Victoria è infatti destinato a raggiungere quota 171,4 miliardi nel 2026. “Tutta colpa del Covid”, ha detto Andrews. Il governo – secondo il premier - è stato costretto a ricorrere a valori record di indebitamento per “salvare vite e salvare posti di lavoro”. “Era essenziale farlo – ha continuato -. Ora è essenziale restituire quanto dovuto e per questo abbiamo formulato una chiara e articolata piattaforma per estinguere il debito generato dall’emergenza Covid”.
Un aumento notevole del carico fiscale che avrà conseguenze nell’intera nazione (le grandi aziende tassate extra nel Victoria quasi sicuramente spalmeranno l’incremento-spese in tutta la loro rete di attività) con rallentamento preventivato anche della crescita nello Stato in questione che, secondo le previsioni (ottimistiche a detta di alcuni economisti) del bilancio Pallas, dovrebbe scendere nei prossimi quattro anni dall’attuale 2,75 al 2,4 per cento.
Tra i commenti a caldo del mondo imprenditoriale le ipotesi di una fuga degli investitori da quello che è già lo Stato più tassato del Continente e il pericolo di un calo generale di fiducia nel secondo Stato più popoloso d’Australia che sicuramente non farebbe bene all’economia nazionale, già alle prese con forti venti contrari internazionali complicati dall’accelerata transizione energetica ribadita dal primo ministro Anthony Albanese, qualche giorno fa ad Hiroshima, nel bilaterale con il presidente Usa, Joe Biden, ai margini del vertice dei G7 tenutosi in Giappone.
I due leader hanno firmato un protocollo d’intesa per procedere con sempre maggiore convinzione e impegno sulla strada della transizione energetica che il capo della Casa Bianca ha definito la “terza colonna dell’alleanza” tra i due Paesi. Le altre due si presume siano lo storico patto ANZUS (il trattato di sicurezza tra Australia, Stati Uniti e Nuova Zelanda, che risale al 1951) e il relativamente nuovo AUKUS (il patto di difesa siglato con Londra e Washington, via costruzione e dotazione di sommergibili nucleari).
Albanese e Biden hanno messo nero su bianco all’Australia-US Climate, Critical Minerals and Clean Energy Trasformation Compact che ha come obiettivo lo sviluppo di un’economia nazionale basata sull’energia pulita. Un accordo di ‘difesa’ e scambio di opportunità per le compagnie dei due alleati, usufruendo e proteggendo le risorse minerarie vitali per la costruzione di batterie, pannelli solari, turbine, automobili elettriche ecc.
Un accordo che ha anche il fine strategico (anche se i due leader si son ben guardati dal dirlo) di evitare di offrire alla Cina vantaggi nei campi economico e della sicurezza, in relazione all’estrazione e approvvigionamento di materie prime critiche per gli sviluppi industriali e tecnologici dei prossimi anni.
L’accordo Albanese-Biden prevede anche la preparazione di un piano di agevolazioni per offrire opportunità di impresa nel campo ambientale nei due Paesi, con il Victoria che potrebbe trarre un diretto vantaggio, già essendo lo Stato che attira maggiori investimenti dagli Usa e il secondo per ciò che riguarda il volume di scambi commerciali, con un giro d’affari superiore ai 12 miliardi di dollari l’anno.
Il primo ministro non ha dubbi sulle capacità del Victoria di mantenere un buon passo di crescita, nonostante le difficoltà finanziarie evidenziate nel budget, parzialmente dovute - ha fatto notare Albanese in un’intervista televisiva – ai massicci investimenti del governo Andrews nelle infrastrutture. Il leader federale ha sottolineando il pronto rimbalzo dell’economia dello Stato in questione dopo la pandemia, come nel resto della nazionale. Segnali e sensazioni positive quindi a Canberra e piena fiducia, ribadita apertamente da Albanese, nell’operato del premier e del suo governo.