CANBERRA - Nel suo intervento di sabato sera al John Curtin Research Centre, Albanese ha tracciato una linea sottile tra l’alleanza con gli Stati Uniti e l’indipendenza decisionale del paese.

“L’affermazione di Curtin secondo cui l’Australia ‘guardava all’America’ non significava semplicemente scambiare un garante strategico con un altro - ha detto Albanese -. Era il riconoscimento che il destino dell’Australia si sarebbe deciso nella nostra regione”.

Albanese ha sottolineato come Curtin abbia permesso agli australiani di “parlare per sé stessi, come nazione sovrana”, lodando la sua capacità di difendere gli interessi nazionali senza rinunciare alla collaborazione internazionale. “Onoriamo Curtin non solo perché guardò all’America, ma perché parlò per l’Australia - ha aggiunto Albanese -. Scegliere la nostra strada non significa restare soli”.

Il primo ministro ha anche ricordato che l’Australia non è “incatenata alla propria storia”, ma può apprendere dal passato e decidere in autonomia come affrontare le sfide globali.

L’intervento, che ha avuto risonanza a livello internazionale, è stato interpretato dagli osservatori politici come latore di un messaggio a Washington e alla amministrazione Trump, messaggio che ribadirebbe il punto secondo il quale “l’Australia è padrona del proprio destino”.

L’opposizione si è mostrata critica delle parole del primo ministro. L’ex ministro liberale Julian Leeser ha fatto osservare che Albanese non ha fatto abbastanza per rafforzare i legami con gli Stati Uniti, notando anche che non ha ancora incontrato di persona il presidente Trump.