Siamo già a quota tre. Avevano ragione Scott Morrison e Peter Dutton a parlare di barche di richiedenti asilo pronte a partire verso l’Australia se fosse stato eletto un governo laburista. Ma aveva ragione anche Anthony Albanese quando aveva rassicurato gli australiani dicendo che non sarebbe accaduto nulla di catastrofico, perché i confini sarebbero rimasti chiusi e controllati e che l’Operazione ‘Sovereign Border’ sarebbe continuata inalterata. Promessa messa alla prova tre volte nelle ultime settimane e fedelmente mantenuta. L’ultima imbarcazione di disperati provenienti dallo Sri Lanka è stata intercettata lunedì scorso al largo delle isole Cocos (Keeling) e i ‘passeggeri’ sembra siano già stati rispediti a Colombo.
I viaggi della disperazione non si sono mai fermati dopo le elezioni della svolta, quelle del 2013, per ciò che riguarda i respingimenti e il ‘mai in Australia’ anche di coloro che in qualche modo sarebbero riusciti comunque ad arrivare sulle coste del Continente. Ma i numeri sono diventati davvero minimi.
Per facilitare la ‘difesa dei confini’ poi, il governo Abbott aveva adottato il provvedimento introdotto dall’amministrazione Gillard, nel 2012, di esaminare le richieste di asilo già a bordo delle navi di sorveglianza e salvataggio che intercettavano le barche degli aspiranti profughi.
Il tentato arrivo di una prima imbarcazione di richiedenti asilo, in prospettiva elettorale, era stato insolitamente annunciato dalle Autorità doganali il giorno delle elezioni e i 12 uomini a bordo erano stati portati a Christmas Island prima di essere trasferiti a Colombo (capitale commerciale dello Sri Lanka) il 25 maggio. Un annuncio che più strategicamente politico non avrebbe potuto essere, giusto per confermare la teoria del ‘pericolo’ di una ripresa del traffico di uomini.
Stessa sorte, nella stessa giornata, per altre 15 persone provenienti sempre dallo Sri Lanka, fatte salire - a poche ore dall’intercettazione in mare al largo di Christmas Island - su un Airbus fatto partire immediatamente verso Colombo. Avevano iniziato il viaggio della speranza il 21 maggio, il giorno delle elezioni.
Tre barche bloccate dalle autorità australiane, ma sembra che nell’ultimo mese ne siano partite almeno otto da un Paese alle prese con una gravissima crisi economica: le altre cinque sarebbero state fermate ancora in acque territoriali dalla marina dello Sri Lanka evitando il pericoloso ed inutile viaggio in mare a circa trecento disperati in fuga, incentivati dalle false notizie su una presunta apertura dell’Australia nei confronti dei profughi da parte del nuovo governo laburista. Messaggi fuorvianti dei trafficanti di esseri umani che si sono immediatamente riattivati, forti della disperazione che dilaga in un Paese che sta scivolando verso un baratro senza precedenti a causa della più grave crisi economica dalla sua indipendenza, nel 1948, dovuta a tutta una serie di fattori tra cui l’impatto del Covid-19 che ha azzerato la sua principale fonte di entrate, basata sul turismo. L’aumento del prezzo del petrolio ha ulteriormente aggravato la situazione sul fronte dell’inflazione ormai galoppante a doppia cifra, che ha portato ad una carenza di importazioni di generi alimentari e di prima necessità, come le medicine. Il mese scorso lo Sri Lanka è andato in default impossibilitato a pagare un debito internazionale di oltre 50 miliardi di dollari americani e sta negoziando un salvataggio con il Fondo monetario internazionale (Fmi).
Il governo Albanese quindi sfata le paure di un abbassamento della guardia sul controllo dei confini e smentisce paure e dubbi anche su una presunta ‘debolezza’ nei rapporti con la Cina. Una smentita che arriva con i fatti di un primo importante passo fatto verso una ripresa del dialogo con Pechino - come riportato nell’edizione di lunedì scorso -, con il ministro della Difesa Richard Marles che ha avuto occasione di incontrare a Singapore, ai margini del vertice Shangri-La Dialogue, la sua controparte cinese Wei Fenghe. Quasi tre anni dopo un ‘tu per tu’ ministeriale che mette in evidenza quanto significativo potrebbe diventare il cambio della guardia a Canberra.
Un primo piccolissimo segnale di possibile disgelo, senza farsi inutili illusioni anche perché, come ha accennato a caldo con molto realismo Marles, la linea del governo non cambia.
Un concetto ribadito martedì scorso da Albanese sottolineando che non si potrà parlare di veri passi avanti fino a quando rimarranno in vigore le sanzioni commerciali nei confronti dell’Australia. In altre parole la prima mossa verso una complicata, ma sicuramente necessaria, inversione di tendenza, in qualche modo la dovrà fare Pechino. Comunque qualcosa è stato fatto e le prospettive di un miglioramento dei rapporti sono sicuramente migliori di tre o quattro settimane fa ed è già qualcosa.
Nessuna illusione e nessun cambiamento di rotta confermato nei due giorni (martedì e ieri) che Marles ha trascorso a Tokyo dove ha incontrato la sua controparte Nobuo Kishi: al centro dei colloqui sempre la Cina e la sua politica espansionistica nell’area del Pacifico con tanto di una nuova strategia, definita ‘non militare’, che però prevede la possibilità di utilizzare soldati per operazioni di soccorso in caso di disastri naturali e in aree dove ci sono interessi strategici o che riguardano la sicurezza nazionale. Una decisione che arriva a ridosso dell’ennesima precisazione-minaccia sul fatto di non riconoscere l’internazionalità delle acque dello Stretto di Taiwan, come del Mar Cinese Meridionale, tanto che in settembre dello scorso anno Pechino ha arbitrariamente deciso di chiedere a diverse categorie di navi che entrano in quel tratto di mare di comunicare i propri dati alla sua Guardia costiera, mantenendo attivo il sistema di ‘transponder’ navale per un monitoraggio continuo della rotta. Decisione che riguarda, almeno nell’ottica cinese, anche lo spazio aereo, ma che non è internazionalmente riconosciuta con gli Stati Uniti che continuano a ‘difendere’ i diritti di navigazione nell’area in questione, rifiutando il chiaro tentativo di Pechino di ‘nazionalizzare’ uno specchio d’acqua estremamente importante per l’economia mondiale dato il transito annuale di quasi un terzo del commercio marittimo globale.
Marles, schierandosi a fianco di Washington e di Tokyo, ha assicurato che, a prescindere dalle tensioni e dalle recenti intimidazioni in volo, l’Australia continuerà le sue missioni di ricognizione e le esercitazioni marittime e aeree con i Paesi del Quad. Bene insomma il primo passo, ma la strada da fare rimane lunga e difficile per quella che comunque potrà diventare solo una ‘nuova normalità’, dato che con Xi Jinping la Cina è cambiata davvero e il dialogo è decisamente un po’ più complicato che nel passato. Sicuramente l’approccio confrontista di Scott Morrison, Peter Dutton (ex ministro della Difesa) e Marise Payne (ex portavoce degli Esteri), in questo caso, non può che aiutare: qualsiasi nuova mossa di Albanese, Marles e Penny Wong (Esteri) sembrerà sempre un po’ più distensiva.