BUENOS AIRES - Questa settimana, la tradizionale Cena del lunedì del Circolo Italiano di Buenos Aires è stata preceduta dalla proiezione del film El Pozo, diretto da Rodolfo Carnevale.
Girato nel 2012, il film è spirato alla vita del regista e racconta le vicende di una famiglia che affronta il tema dell’autismo attraverso l’esperienza personale di uno dei suoi membri.
“È un’opera realizzata con un profondo senso di missione, che oggi ci permette di parlare apertamente di autismo”, ha dichiarato l’attrice protagonista, Ana Fontán, anche lei presente alla serata.
L’altra ospite d’onore è stata la dottoressa Alexia Rattazzi, psichiatra infantile e co-fondatrice di Panaacea (acronimo, in spagnolo, di “Programma argentino per bambini, adolescenti e adulti con condizioni dello spettro autistico”).
Il 2 aprile si celebra la Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, istituita per promuovere il miglioramento della qualità della vita delle persone autistiche e la loro piena inclusione nella società.
El Pozo è stato il primo film argentino a portare sul grande schermo il tema, mostrando un aspetto del vasto spettro autistico. “Si parla di spettro perché esistono moltissime varianti, tante differenze da persona a persona – ha spiegato Rattazzi –. Non è un disturbo in senso clinico, perché non è una patologia, ma un insieme di caratteristiche proprie dell’individuo.”
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa il 2% della popolazione mondiale è autistica. “Non ci sono più persone autistiche rispetto al passato – chiarisce la psichiatra – ma oggi riusciamo a riconoscere meglio i casi più lievi. I casi più gravi, invece, non sono aumentati”.
Per quanto riguarda le cause, non esiste ancora una spiegazione definitiva. Le ricerche indicano una combinazione di fattori genetici e ambientali, ma nessuno di questi elementi, da solo, è determinante.
“In alcune famiglie si è osservata una predisposizione genetica – spiega Rattazzi – e si è notato anche che un’esposizione prolungata agli schermi nei bambini sotto i tre anni può influire negativamente sullo sviluppo del linguaggio e della comunicazione, che rappresentano la sfida principale per le persone nello spettro”.
Ci sono perfino casi di gemelli identici, con lo stesso Dna e lo stesso ambiente educativo, in cui uno solo dei due è autistico. “Questo ci dimostra che anche l’esperienza di vita unica e personale ha un ruolo cruciale”, sottolinea l’esperta.
Il nuovo paradigma nella sua disciplina è quello della neurodiversità, che riconosce la varietà delle menti umane: ognuno di noi è unico, con punti di forza e debolezze. L’autismo, in quest’ottica, è una forma di diversità umana che non porta con sé una connotazione necessariamente negativa.
“In effetti – continua Alexia – ci sono persone nello spettro che vivono una vita del tutto autonoma e ‘normale’, affrontando sfide non dissimili da quelle di chiunque altro, mentre altre necessitano di un supporto costante. È questo che determina la necessità o meno di coinvolgere specialisti”.
Ciononostante, in Argentina il sistema sanitario non riesce a soddisfare la crescente domanda di professionisti formati in questo ambito. “Per questo – sottolinea Rattazzi – è fondamentale offrire strumenti concreti a chi si prende cura quotidianamente di queste persone: familiari, educatori, operatori”.
Il suo ruolo di divulgatrice scientifica diventa quindi essenziale. Continua la specialista: “Al di là degli aspetti medici o scientifici, serve una grande dose di accettazione sociale. Come società, dobbiamo imparare a convivere rispettando la diversità umana. E questo riguarda ciascuno di noi.”
Le caratteristiche comuni tra le persone nello spettro includono peculiarità nell’interazione sociale, comportamenti atipici e, soprattutto, difficoltà nella comunicazione, che può manifestarsi in modi molto diversi.
Alcune persone, come la protagonista di El Pozo, non parlano, mentre altre lavorano parlando in pubblico e possono risultare molto assertive. Ma magari hanno difficoltà a decifrare la comunicazione non verbale, le battute o l’ironia. “Questo le rende spesso vulnerabili, specialmente in culture come quella latinoamericana, dove il linguaggio implicito e i non detti sono molto frequenti”, fa notare Ratazzi.
Un’altra caratteristica frequente è l’interesse totalizzante per alcuni temi, che può portare la persona a diventare un vero esperto in quel campo. Inoltre, molti hanno una memoria eccezionale.
Molti individui nello spettro presentano anche una forte resistenza al cambiamento, soprattutto se imprevedibile, e un’ipersensibilità sensoriale, in genere ai suoni. Ma anche i contatti fisici o alcuni movimenti possono risultare insopportabili.
Come spiega Alexia, tutte queste caratteristiche sono parte dell’ampio e variegato spettro autistico. Ci sono persone che non parlano affatto e altre che fanno i conduttori radiofonici. Anche il livello cognitivo può variare enormemente: alcune persone hanno una disabilità intellettiva associata (oggi non si parla più di “ritardo mentale”), mentre altre superano la media.
“È ancora in dibattito se l’autismo sia qualcosa che si ha o che si è. Oggi, si tende sempre più verso la seconda ipotesi: la persona è così, nel suo modo unico di stare al mondo,” espone la dottoressa.
È cambiato anche il modo in cui si analizzano i bisogni: non si parla più di “funzionalità”, ma si guarda al tipo e livello di supporto necessario. Ed è proprio questa una delle grandi differenze nello spettro: alcune persone richiedono un’assistenza continua, altre nessuna.
Per questo, spiega Alexia, non è corretto definirlo un disturbo, appunto perché non sempre c’è qualcosa da curare. Il valore della diagnosi, in questi casi, è aiutare a comprendere meglio e favorire l’accettazione.