È così che iniziative comunitarie si intrecciano con vicende individuali; battaglie per i diritti degli emigranti si alternano alle storie di fortune e traguardi.

Sfogliando le migliaia di pagine pubblicate nel corso di sei decenni, si nota come i temi all’ordine del giorno siano cambiati al passo con le trasformazioni di una comunità che, alla fine degli anni Cinquanta, ancora non può definirsi tale: sono migliaia gli italiani che arrivano ogni anno via nave alla ricerca di opportunità. 

Un articolo del 25 gennaio 1961 pubblica i dati dell’Ufficio di statistica: tra il primo ottobre 1945 e il 31 marzo 1960, sono 204mila gli italiani giunti in Australia (su un totale di poco superiore al milione e mezzo di immigrati censiti) nell’ambito del programma immigratorio del Dopoguerra che ha come slogan “Popolare o perire”. Nonostante l’immigrazione assistita voluta dal governo, le difficoltà per chi arriva dal Vecchio continente non sono poche: la barriera linguistica, il razzismo e la conseguente difficile integrazione, il lavoro.

Nelle prime edizioni del 1959 e poi negli anni Sessanta, ampio spazio viene, infatti, dedicato ai temi del lavoro e a quelli economico-sindacali, a questioni legate alla politica migratoria, ai ricongiungimenti e alle naturalizzazioni. Ma anche a successi professionali e personali, a manifestazioni culturali e sportive, a eventi sociali e manifestazioni che coinvolgono gli italiani di tutto il Paese. Anche se la redazione è sempre stata a Melbourne, è stata puntualmente affiancata da una rete di corrispondenti locali, attivi negli Stati australiani dove c’è una forte presenza di connazionali: South Australia, New South Wales, Western Australia e Queensland. 

Non trascorre molto tempo da quel 4 novembre 1959, prima di cominciare a percepire i piccoli grandi segnali dell’opera di graduale “costruzione” di una comunità forte, consapevole, in grado di esercitare la propria influenza nel Paese d’adozione e di far valere il peso della propria posizione. La stessa struttura del giornale viene ampliata dopo appena qualche mese: triplica il numero delle pagine, fanno la loro comparsa le prime inserzioni pubblicitarie e sono numerose le firme, anche prestigiose, di editoriali, inchieste e rubriche.

Diventa tangibile anche la necessità di erigere luoghi fisici che facilitino l’incontro e la condivisione degli italiani d’Australia. Le prime iniziative comunitarie che appaiono nelle pagine de Il Globo sono legate, per esempio, alla Casa d’Italia e al Santuario di Sant’Antonio a Hawthorn: un progetto, quest’ultimo, realizzato proprio grazie al generoso sforzo collettivo e che è rimasto un punto di riferimento per centinaia di fedeli di origine italiana. Nel 1960 viene posta la prima pietra anche per la realizzazione del Sacrario di Murchison, nel Victoria regionale, l’ossario che raccoglie le spoglie dei prigionieri di guerra periti nei campi australiani durante la Seconda guerra mondiale e che ancora oggi è meta di un annuale pellegrinaggio di autorità e gruppi comunitari come le associazioni d’arma e combattentistiche.

L’emigrazione e la crisi economica

In Italia l’inizio degli anni Sessanta corrisponde al boom e a un nuovo slancio economico che, ricorda Il Globo nel gennaio 1961, può avere anche a che fare con le sostanziose rimesse degli emigrati all’estero: secondo i dati della Commonwealth Bank, nella seconda metà del 1959, gli italiani residenti in Australia hanno inviato in Italia oltre 2,5 milioni di sterline.

La situazione australiana non potrebbe essere più diversa: nello stesso periodo, a dominare le cronache de Il Globo e della stampa australiana sono, infatti, parole quali “inflazione”, “crisi di manodopera” e “austerità”. “Stringere la cinghia” è il titolo di un editoriale pubblicato il 23 novembre 1960, e poche colonne più in là si sottolinea che nella crisi inflazionistica australiana: “La nuova politica economica tende a ridurre la capacità d’acquisto”. “Un regalo di Natale: quattrocento operai licenziati”, si annuncia una settimana dopo.

Sono moltissimi gli articoli che parlano di lavoro: dalle rivendicazioni salariali dei sindacati fino alla “guerra” contro i panettieri che, in spregio delle leggi locali, panificano la domenica (sono soprattutto “greci, tedeschi e italiani”, si apprende), passando per le multe inflitte ai marittimi in sciopero e l’astensione dal lavoro di un intero reparto di italiani in una fonderia di Port Melbourne, le condizioni di lavoro dei tagliatori di canna da zucchero in Queensland e dei coltivatori di tabacco del Victoria. 

Una statistica pubblicata nell’edizione del 26 settembre 1961 riporta che in soli dieci mesi il numero dei senza lavoro, a livello nazionale, è salito da 43.300 (novembre 1960) a 110.700 unità (agosto 1961): una realtà che si ripercuote pesantemente anche sui destini dei “nuovi australiani”. “Perché mai i disoccupati sono in gran maggioranza italiani?”, titola un editoriale del 16 maggio ‘61. E il mese successivo: “Sempre più preoccupante in Australia la situazione dei disoccupati italiani”.

La prima pagina del 25 luglio 1965 con la notizia delle storiche proteste degli emigrati nel campo di Bonegilla

La crisi economica, alimentando tensioni e proteste come quelle del campo di Bonegilla e mettendo in evidenza la precaria condizione di vita di molti emigrati in Australia, produce anche la spinta necessaria per organizzare in vasta scala la risposta all’emergenza: a fine luglio 1960 nasce nel Victoria la “Italo-Australian Welfare Association”, il comitato d’assistenza ai disoccupati italiani che si occuperà dei casi dei più bisognosi ricorrendo a un apposito fondo al quale perverranno anche le donazioni dei connazionali. Negli anni successivi verranno creati nuovi enti che rimangono ancora oggi punti di riferimento: rispettivamente nel 1967 e 1968 verranno costituiti i Co.As.It. in Victoria e New South Wales, con il compito di coordinare, promuovere e sviluppare varie attività assistenziali a favore della comunità italiana, nei settori sociali, giuridico, culturale, professionale, scolastico e ricreativo.

Le condizioni poco favorevoli, l’impennata della disoccupazione e le politiche migratorie rigide cominciano a scoraggiare gli emigranti e si assiste a un calo degli arrivi anche se la presenza italiana non passa comunque inosservata: l’Università Nazionale di Canberra decide di condurre, a marzo 1960, “la prima grande inchiesta sugli italiani del popolare sobborgo di Carlton”, a Melbourne.

Dai dati del censimento del 1961, si evince che i nati in Italia, residenti in Australia, sono 227mila (91mila solo nel Victoria), rispetto ai 120mila del 1954, di cui oltre 154mila non naturalizzati. Quindi, sono già quasi un quarto di milione gli italiani residenti Down Under, anche se la maggior parte continuano a essere uomini, tanto da spingere l’allora ministro degli Esteri, Alexander Downer senior, durante una visita a Roma, a lanciare un appello alle ragazze in età da marito affinché emigrino in Australia. “[E] le ragazze italiane - scriverà Il Globo il 21 agosto di quell’anno - hanno risposto all’appello del ministro Downer [ma] hanno però paura di invecchiare prima che la burocrazia dia loro il passaporto per il matrimonio”. 

Da un articolo del 21 novembre 1962 si legge che su dieci milioni di abitanti sono ben 120mila gli uomini italiani che inutilmente scandagliano gli annunci de Il Globo alla ricerca dell’anima gemella… “trentenne, di bella presenza, virtuosa con ineccepibili doti morali”. Una settimana dopo con antesignano senso del politically correct il giornale scrive che sono stati giustamente e quasi totalmente aboliti gli assurdi matrimoni per procura e sarebbe perciò illogico incoraggiare l’emigrazione di ragazze nubili in vista di ignoti mariti.

Ai matrimoni viene dato anche spazio nelle pagine interne del giornale con annunci e foto dei lieti eventi. Gli italiani sembrano iniziare una vera e propria moda nel settore con ricevimenti “con le torte a sedici piani e con mille e passa invitati”. E in un editoriale firmato da “un italiano”, si ipotizza scherzosamente che dietro certe repentine “fughe d’amore” pre-nozze di molti fidanzati vi sia, in realtà, un preciso piano di genitori impossibilitati a sostenere l’enorme impegno finanziario di tali celebrazioni. L’ipotesi non è del tutto azzardata: mesi più tardi all’editoriale giungerà da Adelaide la notizia di “Una diciottenne calabrese rapita dal fidanzato impaziente”.

La partecipazione alla vita politica 

Il 1963 è anno di elezioni in Australia. Sono molti gli italo-australiani attivi nel mondo della politica, sia federale che statale. Il Globo segue attentamente la campagna elettorale dato l’interesse che ormai c’è per la politica nel Paese d’adozione e il peso della partecipazione italiana al voto: “Alla fine dell’anno in corso non meno di 100mila emigrati italiani, naturalizzatisi cittadini australiani, avranno diritto al voto”.

Non mancano però delle riflessioni sui motivi che spingono molti emigranti europei (250mila nel 1963 di cui 100mila circa italiani) a non chiedere la cittadinanza australiana. Nonostante la comunità si vada assimilando, in alcuni casi anche troppo rapidamente, come evidenzia l’articolo di fondo del 5 marzo - “I nostri figli non sono più italiani, non vogliono sapere più niente dell’Italia” -, gli emigrati sono ancora oggetto di discriminazione. “Aggiungete tutta una serie di atti di corruzione, di angherie, di soprusi, aggiungete la insensibilità e le tattiche discriminatorie di talune autorità di immigrazione, e avrete un’idea della difficile situazione in cui vengono a trovarsi numerose famiglie di emigranti, divise da assurde disposizioni fra la patria d’origine e la patria d’adozione”, denuncia Il Globo, il 5 febbraio, nel primo di una serie di articoli dedicati, nel ’63, al caso della famiglia Fontana di Melbourne. Il calvario di tre dei cinque figli della famiglia, da undici anni impossibilitati a raggiungere i genitori e i fratelli in Australia anche per presunti e mai precisati “problemi sanitari” rilevati dalle autorità di Canberra, si concluderà nella seconda metà dell’anno, con la loro ammissione nel Paese, dopo anni di ricorsi. Il caso, dibattuto anche al Parlamento federale, mette in luce la corruzione di alcuni funzionari australiani e italiani: “Da Messina si emigra spesso in Australia con le bustarelle”, rivela Il Globo, che si schiererà a favore dell’istituzione di un organismo rappresentativo degli emigrati italiani, autorizzato a trattare con le autorità di entrambi i Paesi.

Una comunità ormai matura

Dal 1964 cominciano comunque a ridursi, rispetto agli anni precedenti, gli articoli che riguardano singole storie di emigrazione. Le denunce, gli appelli, i reportage riguardano ormai gruppi organizzati di emigrati. “Una comunità ormai matura” è il giudizio dell’editoriale del 18 febbraio.

Il progresso e la maturità della nostra comunità in Australia non si misurano soltanto dal grado di benessere economico raggiunto – si legge fra l’altro nell’editoriale – ma anche, e soprattutto, dal modo con cui tutti, ‘vecchi’ e nuovi abbiamo superato la prova del fuoco dell’ambientamento”. 

Se i termini ‘assimilazione’ e ‘integrazione’ nel vocabolario dell’emigrazione hanno mai avuto un significato in Australia, nessuno è mai stato più esatto di questo: eguaglianza nella diversità – che non è mai intima contraddizione – di una società cosmopolitica”. Il tutto mentre continuano le trattative tra Roma e Canberra per la stesura di un nuovo accordo per l’emigrazione assistita. Fra i nodi quello del trattamento pensionistico, il riconoscimento delle qualifiche e l’assegnamento di alloggi, anziché l’accoglimento in strutture quali quella di Bonegilla.

A fine 1965, le statistiche sui movimenti migratori evidenziano un crollo dell’emigrazione dalla Penisola. Il Globo riassume che complessivamente sono giunti in Australia dal 1945 ad oggi, 287.124 emigranti italiani, di cui però 56.752 hanno fatto ritorno definitivo in patria, lasciando così attualmente in Australia un totale di 230.372 emigrati italiani postbellici. Di questi 104.791 si sono naturalizzati cittadini australiani.

Il Globo giustifica la decrescita nell’influsso di emigranti da un’Italia in pieno boom economico: “Era ovvio ed auspicabile che il ritmo dell’emigrazione italiana dovesse andare decrescendo con il costante processo di un più diffuso assorbimento della mano d’opera disoccupata in patria”.

A circa vent’anni dall’avvio del massiccio programma immigratorio di Canberra, Il Globo ricorda che quella italiana del dopoguerra è stata soprattutto un’emigrazione di carattere economico, sottolineando: “Questo tratto fondamentale (…) spiega parecchie cose. Spiega la limitata influenza di vecchie associazioni a carattere regionalistico o nazionale, la spesso lamentata mancanza di coesione, l’assenza di gruppi e di movimenti culturali di rilievo, la scarsezza dell’apporto come gruppo di pressione nella sfera politica”. 

D’altro canto questa preoccupazione economica, questa concentrazione comune sull’incremento del reddito individuale e familiare, questo individualismo accentuato che scarta tutto ciò che non è immediatamente produttivo e redditizio, questa corsa al risparmio, questa esaltazione del binomio casa-lavoro ha i suoi innegabili lati positivi per gli individui e per la Nazione. Si tratta di caratteristiche che sono alla base del successo dei nostri emigranti in Australia”.

In tale contesto e con i numeri marcatamente in calo, il ministro Opperman a Roma garantisce aperture su previdenza sociale e allargamento della categoria di assistiti, ma chiede al contempo alle autorità italiane “un’attiva collaborazione per l’esclusione dell’emigrazione in Australia di attivisti comunitari e di pregiudicati”.

L’accordo sull’immigrazione continua a riempire le pagine del giornale fino ad agosto: “Con una dichiarazione stampa resa nota durante la scorsa settimana il ministro federale dell’Immigrazione Opperman ha annunciato che dall’Italia e da qualsiasi altro paese europeo, sono ammessi in Australia con atto di richiamo, anche cugini ed amici”. 

Con quest’ultimo provvedimento – commenta Il Globol’emigrazione italiana in Australia può considerarsi completamente libera a tutti”.

L’inizio di un nuovo capitolo

Le vicende legate all’emigrazione italiana in Australia restano naturalmente il “cuore” del settimanale anche negli anni successivi. A maggio del 1966, per esempio, Il Globo innesca una vivace polemica con le autorità australiane in materia di emigrazione: “In crisi il programma immigratorio australiano”; “Emigranti italiani respinti da Canberra”; “Da sette anni negato senza motivazioni l’ingresso in Australia a una famiglia italiana”. Un altro fronte dello scontro tra Il Globo e il governo federale australiano è quello della coscrizione obbligatoria per gli immigrati. Il governo, concedendo agevolazioni per l’acquisizione della cittadinanza (due anni e tre mesi invece dei normali cinque anni) decide di coscrivere per il servizio di leva anche i cittadini italiani ventenni residenti in Australia.

Se i primi anni Sessanta vedevano l’Italia in una posizione nettamente favorevole in termini di progresso economico, alla fine del decennio le parti si invertono: per la Penisola, il 1969 segna l’inizio di uno dei periodi più tragici della storia repubblicana, gli anni di piombo, mentre l’Australia, invece, torna a guardare al futuro con una certa fiducia.

La comunità italiana nel ’69 è ormai molto attiva e ben integrata nel tessuto sociale della Nazione ed è sempre più apprezzata dagli australiani. Nell’editoriale dell’Australia Day, Il Globo affronta l’argomento prendendo però un atteggiamento critico nei confronti di una collettività che ancora non ha saputo sfruttare il proprio potenziale e che non ha ancora il peso politico che meriterebbe. 

Diritti e doveri degli italiani. Si tende troppo spesso ad affrontare e ingigantire i primi e tacere i secondi - Lo stato della nostra, numericamente forte, comunità, ci dice che il nostro sviluppo procede in compartimenti stagni, indispensabili e onnipresenti nel settore produttivo, intraprendenti e spesso fortunati nel campo delle attività commerciali, slegati e balbettanti negli organismi sociali rappresentativi, esasperati ed egoisti, individualisti nelle professioni, totalmente e imperdonabilmente assenti nell’agone sindacale e politico”.

Il Globo, conscio dei mutamenti di una società ormai più emancipata, spezza una lancia per l’apparente multiculturalismo che si comincia a respirare in Australia sottolineando il clima di “tolleranza e rispetto reciproco fra australiani di nascita e australiani di adozione” che “sono un bene sommo che va difeso ad ogni costo… contro ogni impulsività di giudizio e di azione, contro quelle piccole cricche di australiani o di immigrati che si sono votate alle cause del più geloso e sterile isolazionismo. Sono un sommo bene che è base e garanzia della futura grandezza di questa giovane Nazione”.

Ma pur riconoscendo il clima di maggior solidarietà, il giornale è sempre pronto a scendere in campo in difesa dei lettori se vittime di soprusi, soprattutto da parte delle autorità. Il 15 aprile pubblica due articoli: il primo sul “trattamento intollerabile alle famiglie negli hostels governativi” e il secondo, sulla domanda d’ingresso in Australia del siciliano Pietro Casale, ripetutamente respinta, per errata valutazione politica. Due denunce che portano a un coinvolgimento diretto nei casi in questione da parte del ministro dell’Immigrazione, Billy Snedden.

La creazione del Santuario di Sant’Antonio a Hawthorn

Visti gli arrivi costanti di nuovi emigranti assistiti, il settimanale decide di “dare un contributo alla soluzione del problema più urgente – quello dell’occupazione –; questo giornale, facendo appello allo spirito di solidarietà dei lettori inizia da questa settimana un servizio gratuito di segnalazione di italiani disoccupati, residenti nei vari campi. I lettori (…) sono quindi pregati di segnalare al giornale qualsiasi possibilità di occupazione nei propri posti di lavoro”.

Il giornale non trascura comunque piccole storie di successi come quello di Francesco Santalucia, pioniere veneto del Nord Queensland. “Un trentottenne emigrato italiano è il più grande produttore di riso del continente australiano – Giunto nel 1950, senza risorse ed appoggi di sorta è riuscito a crearsi un piccolo diversificato ‘impero’ edile e rurale”. O quello della “prima donna poliziotto italiana in Australia” (…) la ventunenne Anna Cursio, nativa di San Marco in Lamis (provincia di Foggia)” che, qualche anno dopo, sarà fondamentale per la riuscita di un’importante operazione di polizia.

I primi dieci anni del settimanale si chiudono anche con ottime notizie per quanto riguarda la promozione della cultura e della lingua italiana: “Stabilito l’insegnamento dell’italiano nelle università di tutti gli Stati d’Australia”. “La La Trobe University – terza università di Melbourne – ha già approvato l’istituzione di un corso d’italiano, ed altrettanto hanno deciso l’università di Tasmania ad Hobart ed il collegio universitario di Townsville nel Queensland. (…) Il programma per l’istituzione di tali corsi verrà attuato gradatamente entro il triennio 70-71-72. Con i progettati nuovi corsi, l’insegnamento universitario dell’italiano verrà per la prima volta esteso a tutti gli Stati d’Australia”.

Iniziano ad avere un pubblico sempre più numeroso celebrazioni e manifestazioni. A Melbourne, in occasione del due giugno, sono oltre seimila gli italiani che “si sono recati nella cattedrale di S. Patrizio (…) per assistere ad una cerimonia religiosa nel quadro delle celebrazioni per il XXIII della Repubblica. La messa è stata celebrata dallo Arcivescovo di Melbourne Dr Knox e da otto sacerdoti italiani e australiani. Alla festa hanno aderito con nutrite rappresentanze tutte le associazioni italiane di Melbourne e del Victoria”, oltre alle autorità e alla Banda G. Verdi, futura banda Bellini, diretta dal maestro Marcianò. Per il primo anno, la Festa della Repubblica si estende su più giorni e rimarrà un momento importante per la comunità anche negli anni a venire.

Di seguito, gli approfondimenti sul ‘Caso Jill’ e sul ‘Victoria Market’.