CANBERRA - Tra le misure previste figurano la deportazione di non-cittadini, il pagamento di somme a quei paesi terzi che accolgono i deportati e il divieto di utilizzo di cellulari nei centri di detenzione.

Queste normative sono state approvate nell’ultimo giorno di lavori del parlamento, con il sostegno della Coalizione e alcune negoziazioni dell’ultimo minuto. L’accordo bipartisan ha suscitato forti critiche da parte di alcuni dei parlamentari indipendenti, dei Verdi, dei difensori dei diritti umani e degli attivisti pro-rifugiati.

Jana Favero, vice CEO dell’Asylum Seeker Resource Centre, ha paragonato queste modifiche alle politiche accelerate sui visti per richiedenti asilo approvate un decennio fa sotto il governo Abbott, definendole un attacco ai diritti dei rifugiati. “Stessa vergogna, stesso risultato crudele”, ha affermato.

L’autore curdo-iraniano Behrouz Boochani, che ha documentato la sua detenzione offshore a Manus Island, ha dichiarato che i rifugiati vengono usati come strumenti politici in prossimità delle elezioni: “Come sempre, i rifugiati sono bersagli facili”.

Gli esperti legali hanno sottolineato che queste leggi rappresentano un passo indietro per il sistema migratorio australiano. Jane McAdam, direttrice del Kaldor Centre for International Refugee Law, ha osservato che le misure richiamano i principi esclusivi della White Australia Policy del 1901.

Le modifiche includono anche poteri per perquisire detenuti senza mandato e utilizzare cani da fiuto, inasprendo il clima nei centri di detenzione. Il ministro degli Interni Tony Burke ha giustificato le misure, sostenendo che sono necessarie per eliminare la “cultura carceraria”.

Critiche sono arrivate anche per il divieto di visti per i familiari di richiedenti asilo da nazioni ritenute non cooperative, definito un “divieto in stile Trump” dal senatore dei Verdi David Shoebridge, che lo ha descritto come un attacco alle famiglie e alla multiculturalità dell’Australia.